
Maurizio Zuccaro l'uomo misterioso dietro l'omicidio Ilardo
«Ilardo sarebbe stato devastante per questo Stato democratico se fosse stato in vita e poteva parlare. Era a conoscenza di tutti i fatti più nascosti che non hanno avuto, sino ad ora, luce».
A dirlo non è il cittadino di strada, uno qualunque, ma il sostituto commissario della Dia, Mario Ravidà che, all’epoca dei fatti, prestava servizio presso la Dia di Catania e che nel 1994 aveva collaborato con il colonnello Michele Riccio alla ricerca dei latitanti di Cosa Nostra.
Il punto di partenza è davvero ideale per provare a mettere ordine su questa tragica vicenda che pose fine alla vita dell’unico infiltrato che Cosa Nostra abbia mai conosciuto.
Chiediamo ai nostri lettori di concentrare la loro attenzione su due nomi attorno ai quali, secondo il nostro punto di vista, ruotano molti dei misteri sul caso “Ilardo” e che fanno riflettere circa la presenza di “Entità” esterne dietro quell’omicidio.
Ci stiamo riferendo a Giovanni Napoli e Maurizio Zuccaro.
Due personaggi distanti, il primo un insospettabile veterinario locale, reggente di Mezzojuso, che aveva curato la latitanza del Provenzano dall’inizio del ‘94 fino al ‘98, anno in cui, nel mese di novembre, era stato tratto in arresto nel blitz “Grande Oriente”.
Per quanto attiene a Zuccaro siamo di fronte ad esponente di minore importanza, parente di Nitto Santapaola, personaggio ambiguo, confidente dei carabinieri e a quando si dice dei servizi segreti.
Tutto ebbe inizio quando Eugenio Sturiale,[1] all’epoca inquadrato all’interno della famiglia Santapaola decise di pentirsi dopo il suo arresto, siamo nel 2001. Sono trascorsi ben cinque anni dall’omicidio Ilardo.
Sarà grazie alle rivelazioni di Sturiale, testimone oculare dell’omicidio, che l’allora sostituto Pasquale Pacifico potrà rinviare a giudizio gli autori e i mandanti dell’omicidio.





Perché la magistratura non intervenne?
Seppur dopo ventuno anni si è avuto la prima sentenza di condanna per il commando di fuoco che agì in via Quintino Sella, la sera del 10 maggio del 1996, giustizia sembrava fatta. Trovati i mandanti: Vincenzo Santapaola e Piddu Madonia; gli organizzatori ed esecutori del delitto: Maurizio Zuccaro, Santo La Causa, oggi collaboratore di giustizia, Benedetto Cocimanno. Nel gruppo di fuoco anche Maurizio Signorino e Pino Giuffrida che nel frattempo erano stati uccisi.
A questo punto entra in scena un terzo nome: Mario Ravidà, all’epoca in servizio alla Dia di Catania e una data 15 gennaio del 2001.
Cosa accadde di così strano prima di quella relazione di servizio trasmessa dall’ispettore Ravidà?
Prima di pentirsi ufficialmente Sturiale, vicino alla famiglia mafiosa dei Santapaola, aveva deciso di parlare con Ravidà fornendogli molte informazioni sulla famiglia retta dal boss Nitto Santapaola e insieme a queste anche delle importanti informazioni sull’omicidio Ilardo di cui era stato testimone oculare indicandone gli autori in alcuni soggetti appartenenti alla squadra di Maurizio Zuccaro ossia: Santo La Causa, Maurizio Signorino, Benedetto Cocimano e Pietro Giuffrida.
Da non credere potrebbe esclamare qualcuno!
Invece sarà proprio così: nel 2001, l’autorità giudiziaria di Catania e la Dia erano a conoscenza dei nomi e cognomi e dei mezzi usati dal gruppo di fuoco che prese parte all’omicidio Ilardo attraverso una relazione che l’ispettore Ravidà presento ai suoi superiori in data 15 gennaio 2001.
Ma quel che è più grave, come ci racconterà Laura Ilardo
«Il Ravidà provvederà a fare relazione di servizio che consegnerà all’epoca alla dott.ssa Monterosso cugina dello stesso dottor Pappalardo,[2] che screditò ampiamente l’operato del Riccio e di mio padre, la quale non disporrà nessuna immediata attività di indagine»
Quella relazione di servizio rimase nel cassetto per più di otto mesi.
Soltanto dopo nove mesi circa, ancora una volta a seguito della pressione esercitata dall’ispettore Ravidà, la relazione sarà protocollata alla Dia e con lettera di accompagnamento inviata alla procura di Catania.
Ma anche in questo caso la procura non mosse un dito.
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Si dovette aspettare il pentimento ufficiale di Sturiale per aprire formalmente l’indagine sull’omicidio Ilardo che poi il dott. Pacifico portò in giudizio concludendo la prima fase con la sentenza di condanna dei mandanti e autori materiali.
Abbiamo atteso diciassette anni dall’uccisione di Ilardo per fare un processo agli stessi personaggi che si conoscevano nel 2001.
Perché le istituzioni preposte a fare luce su questo grave episodio, cioè la Dia e la magistratura non hanno mosso un dito?
Chi è il magistrato a cui arrivo la relazione di servizio del Ravidà che ripose anch’esso nel cassetto?
Perché il processo Ilardo si è chiuso con un nulla di fatto sulle eventuali connessioni istituzionali?
Il dato di fatto che emerge e che dopo cinque anni dal delitto si conoscevano gli assassini e a quale squadra criminale appartenevano legata alla famiglia Santapaoliana che, come ha affermato Ravidà, in molte occasioni era “avulsa dal contesto” perché diretta da un personaggio ambiguo qual era Maurizio Zuccaro che nonostante fosse stato condannato all’ergastolo era sempre agli arresti domiciliari per “finte malattie”, tale da far pensare che la notizia che fosse un possibile confidente dei carabinieri e dei servizi segreti non fosse così campata in aria.
Forse dietro Zuccaro ci stanno quelle “Entità” che hanno voluto quel processo di accelerazione della morte dell’Ilardo?
Del resto ci viene difficile segnare una strada diversa perché risulta inspiegabile come un nome sconosciuto al gotha mafiosa abbia potuto eseguire l’omicidio di Ilardo senza una previa autorizzazione di Provenzano, che peraltro aveva deciso di uccidere Ilardo e a tal fine si era rivolto a Nino Giuffrè, oggi pentito, ma che in passato aveva rivestito una posizione di vertice all’interno di Cosa Nostra.
Non occorre molta immaginazione basta fare i nomi di Giuffrè, Provenzano, Brusca e Madonia, cugino dell’Ilardo, che m aveva anch’esso decretato la sentenza di morte: il gotha di Cosa Nostra e poi un illustre sconosciuto, il signor nessuno, Maurizio Zuccaro che superando le più alte gerarchie della cupola mafiosa e senza nessuna autorizzazione si permette di eseguire l’omicidio di Luigi Ilardo, ex capo provinciale della famiglia mafiosa di Caltanissetta, cugino di Pippo Madonia nonché nipote di don Ciccio Madonia.
Mi viene in mente la riflessione dell’ex agente dei servizi segreti Francesco Pazienza
“Nei servizi segreti, quelli seri, funziona in questa maniera, molte volte si usano delle persone…Si eliminano dopo!”
Guglielmo Bongiovanni
Note
[1] La fonte si inquadrava all’interno della famiglia Santapaola, e vicino ai parenti di Santapaola. Cioè, nel senso, era molto vicino a Salvatore Santapaola, germano di Nitto Santapaola, e al figlio di esso, Enzo Santapaola, con cui avevano delle frequentazioni all’epoca giornaliere, e poi era stato anche in passato incaricato dalla famiglia Santapaola ad assumere la dirigenza di alcuni supermercati, la responsabilità, quindi da un punto di vista di responsabilità alVinterno della famiglia parentale che era alta. Poi nelle successive, almeno da quello che mi ha raccontato Sturiale nel tempo, nel successivo perìodo Sturiale ha avuto dei contrasti con la famiglia Santapaola, e proprio penso con parenti del Maurizio Zuccaro, proprio con lui. Pubblico Ministero – Lei ricorda questi contrasti secondo lo Sturiale a cosa erano addebitati? Testimone, Ravidà M. – Con un parente che veniva chiamato “u salaru per una questione di un appartamento venduto e soldi non dati, in questo senso, un appartamento che apparteneva a Sturiale, penso, o a ll’altro. Pubblico Ministero – Sempre per completare questo inquadramento, lei ha detto che sostanzialmente lo Sturiale ha mantenuto questo rapporto di confidenza con lei fino quasi a quando lei è andato in pensione. Testimone, Ravidà M. – Sì, ha cambiato diverse formazioni mafiose, è passato prima ai Laudani, e mi continuava a fornire notizie per quanto riguarda la famiglia Laudani. Anzi, prima dei Laudani i Cappello, poi i Laudani, e basta penso” (Sentenza primo grado omicidio Ilardo 27 marzo del 2017);
[2] Tuccio Pappalardo, alto dirigente della Dia ebbe a definire il colonnello Riccio un terrorista come confermerà lo stesso Ravidà invitandolo a rompere ogni forma di rapporto lavorativo: “Dovete rompere con Riccio. È un criminale, merita di essere arrestato: quando era all’antiterrorismo ha ucciso quattro terroristi nel sonno”. Noi lo contrastiamo: “Riccio ci ha fatto fare un sacco di brillanti operazioni, ci ha fatto arrestare Quattroluni e diversi mafiosi, era arrivato alla cattura di Provenzano e non gli è stato consentito”. Quando sente questa cosa, Pappalardo si irrigidisce e dice: “Questo Mori non me l’ha detto”.