Luigi Ilardo: verità negate e segreti di Stato. Il grido inascoltato di una figlia
In un’intervista intensa e senza filtri, Luana Ilardo racconta la verità su suo padre Luigi, il confidente dell’Arma dei Carabinieri infiltrato in Cosa nostra, poi assassinato a Catania il 10 maggio 1996. Una testimonianza che scuote le coscienze e apre interrogativi pesanti sul ruolo dello Stato, dei servizi e degli apparati deviati.
Luigi Ilardo: il mafioso pentito per amore, non per convenienza
“Luigi Ilardo ovviamente era il mio papà che purtroppo ha avuto la sfortuna di nascere in una famiglia sbagliata… si innescò un processo di forte pentimento soprattutto dovuto a questioni familiari, soprattutto direi legate me e mia sorella.”
Dopo anni di detenzione e un lungo travaglio interiore, Ilardo decide di collaborare. Ma non per ottenere vantaggi giudiziari.
“Non si pente per uno sgravio della pena, perché già aveva finito di scontare la sua pena… Il problema che si pose era: ‘una volta tornato in Sicilia, i Madonia non mi permetteranno di vivere da uomo libero’.”
L’incontro con il colonnello Riccio fu decisivo. “Fu scelto un uomo non a caso… un uomo di un certo prestigio e valore professionale.” Da lì nacque un rapporto operativo che Luana definisce senza esitazioni:
“Non si può chiamare proprio una collaborazione… è stata una vera e propria infiltrazione da parte di mio padre nelle dinamiche di Cosa nostra.”
La sua infiltrazione nelle file mafiose fu devastante per Cosa nostra. Ilardo di giorno fingeva da mafioso, la sera riferiva tutto a Riccio.
“Una serie di operazioni importantissime… circa 50 arresti, tra cui sette capi provincia. Un risultato che nessun altro è riuscito a ottenere.”
Il casolare di Provenzano: l’arresto mancato e il cortocircuito di Stato
Nel 1995 Ilardo e Riccio pianificano l’irruzione finale: catturare Bernardo Provenzano
“L’arresto di Provenzano doveva essere l’obiettivo finale… invece si verificò un vero e proprio cortocircuito.”
Il 31 ottobre 1995, Ilardo entra nel covo del boss con un GPS. Sta lì otto ore.
Ma qualcosa, come precisa Luana Ilardo, si spezza verificandosi quello che la figlia di Luigi Ilardo definisce “un corto circuito”
Ilardo entrò davvero nel covo, “per ben otto ore”, con un GPS: “Quel GPS l’ho montato io a tuo padre… mi disse un ufficiale dei ROS.” Ma i colleghi di Riccio non intervennero
“I ROS si limiteranno a fare uno shooting fotografico… 29 foto. Nessun arresto. Né quel giorno né nei sei anni successivi.”
Luana è netta: “C’era una vera e propria volontà di non procedere a quell’arresto.” E ancora: “L’arresto non solo non è avvenuto il 31 ottobre, ma non è avvenuto né il giorno dopo, né un mese dopo, né due mesi dopo, né per sei anni successivi.”
Le giustificazioni dei vertici del ROS sono per Luana inaccettabili:
“Diranno che pecore, pastori e armenti rendevano difficile la condotta di quell’operazione… Offendendo non solo l’intelligenza di noi familiari, ma dell’intera nazione.”
Eppure, tutto era noto come precisa Luana Ilardo
“Esiste una relazione di servizio fatta dallo stesso Riccio… con tanto di coordinate geografiche.”
La stessa Luana Ilardo ha verificato essendosi recata personalmente in quella masseria, rifugio del latitante più ricercato d’Italia:
“Strada per Mezzojuso, rifornimento di benzina sulla sinistra, 400 metri dopo, prima traversa a destra, c’è la masseria.”
La riunione di Roma: il giorno in cui firmò la sua condanna
Il 2 maggio 1996 Luigi Ilardo si presenta nella sede centrale del ROS, per incontrare “Giovanni Tinebra, Teresa Principato e Caselli.” Sceglie simbolicamente di sedersi di fronte a Caselli, rifiutando Tinebra
“Trovò la sedia posizionata davanti a Tinebra… la spostò e la mise davanti a Caselli….Non voleva assolutamente avere a che fare con la procura di Caltanissetta… aveva certezza che quella procura fosse una procura malata sotto la conduzione di Tinebra.”
“Mio padre starà lì seduto diverse ore, quasi cinque ore… Poi fu lo stesso Tinebra a interrompere i lavori perché si era pure scocciato… alzandosi un paio di volte per andare in bagno come se si stesse parlando di ladri di biciclette.”
Ilardo parlò di delitti eccellenti ancora oggi senza colpevoli:
“Le due stragi di Palermo, l’omicidio di Piersanti Mattarella, di Claudio Domino, di Insalaco, di Emanuele Piazza.”
Nessuna verbalizzazione, nessuna traccia dell’incontro: “Mio padre venne rimandato a casa senza addirittura essere verbalizzato… non c’è traccia neanche del suo ingresso nella sede dei ROS.”
Otto giorni dopo, il 10 maggio, Luigi Ilardo venne ucciso.
La notifica a casa Madonia: un atto “inspiegabile”
Una delle pagine più oscure è legata a una notifica giudiziaria per un differimento pena.
“Quella notifica l’andranno a prendere Riccio insieme al capitano Damiano”
Ma accadde l’imprevedibile:
“Damiano, senza dire niente a Riccio… va a notificare l’atto di differimento pena a casa di Maria Stella Madonia, la sorella di Piddu Madonia.”
“Non esiste nessuna logica né tecnica,” afferma Luana
“Maria Stella Madonia da indagini annesse verrà confermato che faceva da ambasciatrice tra i colloqui in carcere e Provenzano.”
Il risultato è tragico:
“Dopo questa notifica… mio padre neanche dopo 15 giorni viene ucciso.” La motivazione? “Maria Stella Madonia ha potuto dare conferma a tutto quello che già si sospettava in Cosa Nostra.”
Luana è categorica
“Mio padre è stato ucciso da apparati dello Stato… Le menti raffinatissime”
in altri termini un sistema criminale del quale Cosa nostra rappresentava il braccio armato
SEZIONE 5 – Un ergastolano a piede libero: l’omicidio anticipato di Ilardo
“Mio padre è stato ucciso da un soggetto che era condannato all’ergastolo e invece in quel determinato momento si trovava libero, che girava liberamente sotto casa mia.”
Un dettaglio che Luana Ilardo definisce agghiacciante e gravissimo. Il soggetto che sparò a Luigi Ilardo non avrebbe dovuto trovarsi lì. Era un ergastolano, ma non stava scontando la pena, né era ricoverato in regime di sicurezza.
“Credo che non debba io spiegare che un soggetto condannato all’ergastolo che ha problemi di salute viene curato o in regime penitenziario o, se il regime penitenziario non è consono, viene trasferito con le giuste precauzioni nei presidi ospedalieri pubblici.”
Quella sera del 10 maggio 1996, Ilardo fu colpito a pochi metri dalla sua abitazione. Venne ucciso prima ancora che Provenzano potesse formalmente dare il consenso, secondo i codici interni di Cosa nostra.
“Addirittura Provenzano non arrivò neanche a dare l’ordine di uccidere Luigi Ilardo, perché capite bene che è un personaggio… mio padre non poteva essere sicuramente ucciso senza il consenso degli alti vertici della Cupola.”
Luana parla di un’accelerazione del progetto omicidiario, una decisione presa in fretta da
“apparati che avevano tutto l’interesse a farlo tacere prima che fosse troppo tardi.”
Una ferita ancora aperta
Il caso Luigi Ilardo è una ferita aperta nella storia della Repubblica. Un uomo che offrì allo Stato un’occasione storica, e fu lasciato solo. Una figlia che non si è mai arresa, e che continua a chiedere giustizia con nome, voce e coraggio.
“Vi posso garantire che molti magistrati e uomini delle forze dell’ordine, quando mi guardano in faccia, mi fanno capire che sanno. Sanno che quello di mio padre non è un omicidio solo di mafia.”
Noi, con il nostro sito www.luigiilardo.it, in memoria di Luigi Ilardo, continueremo a dare voce a questa storia.
Nei prossimi articoli approfondiremo le accuse, i protagonisti, i silenzi. Perché la verità non muore.
LE FIGURE CHIAVI CITATE
Colonnello Michele Riccio
Responsabile della gestione di Luigi Ilardo, lo seguì personalmente e raccolse i suoi rapporti.
Capitano Damiano
Agì in autonomia nella consegna della notifica. “Senza logica, senza avvisare Riccio… consegnò l’atto a casa Madonia.”
Giovanni Tinebra
Procuratore di Caltanissetta, rifiutato da Ilardo: “Quella procura era malata… mio padre spostò la sedia per non parlargli.”
Gian Carlo Caselli
Procuratore di Palermo.Ilardo chiese di collaborare solo con Palermo. Caselli era il punto di riferimento legale ed etico.
Maria Stella Madonia
Sorella di Piddu Madonia. “Faceva da ambasciatrice tra Provenzano e il carcere.” Ricevette la notifica decisiva.
Mori, Subranni, De Donno, De Caprio
Alti ufficiali del ROS, accusati di aver bloccato l’operazione Provenzano. “Li chiamo la Banda Bassotti… hanno giustificato l’inerzia con le pecore.”