Provenzano trattava. Riina cadeva. I latitanti cadevano.
Le verità taciute dietro la fine della stagione stragista
La storia che stiamo per raccontare non è frutto di supposizioni o teorie. È il racconto di fatti concreti, emersi nelle aule di giustizia, che si intrecciano con alcuni dei momenti più oscuri della nostra storia recente: la stagione delle stragi, la fine dell’egemonia di Riina, l’ascesa silenziosa di Bernardo Provenzano.
Attraverso la testimonianza del collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, riaffiorano dettagli inquietanti su un possibile dialogo segreto tra Provenzano e apparati istituzionali. Un dialogo che avrebbe scavalcato Riina e avrebbe segnato la fine della stagione stragista, pilotando gli arresti eccellenti di una parte della mafia siciliana.
Questo racconto, rimasto troppo a lungo ai margini delle grandi inchieste, offre nuove chiavi di lettura su fatti mai chiariti: la mancata cattura di Provenzano, la misteriosa mancata perquisizione del covo di Riina, l’omicidio di Attilio Manca e quello di Luigi Ilardo.
Una vicenda che, letta oggi, apre interrogativi profondi su cosa sia realmente accaduto negli anni più bui della nostra Repubblica.

Chi era Filippo Malvagna
Questa è la storia di un collaboratore di giustizia che non ha mai avuto le prime pagine dei quotidiani. Questa è la storia di un collaboratore di giustizia che ha deposto in numerosi procedimenti giudiziari offrendo uno scenario dove il confine tra mafia, massoneria, servizi segreti sembra non esistere.
Ma chi era il boss mafioso Filippo Malvagna?
Era stato affiliato al gruppo mafioso Pulvirenti/Santapaola, fin dal 1982. Era a capo del gruppo San Pietro Clarenza e Misterbianco, nipote acquisto di Giuseppe Pulvirenti detto “u Malpassotu”, braccio destro di Nitto Santapaola.
Parliamo di un personaggio che ricopriva un ruolo di vertice all’interno di Cosa Nostra e che aveva stretti rapporti con personaggi del calibro di Aldo Ercolano, Calogero Campanella, Salvatore Santapaola, Vincenzo Santapaola, figlio di Salvatore, Eugenio Galea, Alfio Fichera, insomma il gotha della famiglia mafiosa catanese e pur non essendo stato formalmente un uomo d’onore esercitava funzioni che solo chi aveva quello status poteva ricoprire.
Arrestato il 25 marzo del 1993. Inizia a collaborare l’11 marzo del 1994
Un carabiniere a libro paga di Cosa Nostra
Il vicenda Malvagna è ricca di particolari.
Secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia catanese il suo gruppo poteva avvalersi di un carabiniere “a stipendio”. Così lo definisce dinnanzi alla Corte che lo sentì, nel procedimento giudiziario contro Mori e Obinu, il 10 marzo del 2015.
In altri termini un confidente al servizio della mafia che aveva un nome e cognome: Cosimo Bonaccorsi.
Questo carabiniere, sempre secondo il racconto di Malvagna, un giorno venne trasferito a Palermo e il gruppo mafioso catanese lo volle presentare anche a quello palermitano per continuare il suo lavoro di “confidente” che sapeva fare bene, a detta del Malvagna. Venne subito posto sotto la protezione di un certo Enzo Meli, titolare di una rivendita d’auto.
L’informazione che scosse Cosa Nostra
Nell’estate del 1992, a cavallo tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, Malvagna dice di trovarsi a Palermo, in un ristorante, con degli amici palermitani con i quali avevano avviato un traffico di sostanze stupefacenti.
Ad un tratto arrivò il carabiniere infedele che chiese di parlare con Malvagna perché aveva da riferire una cosa importante.
Aveva saputo “che da lì a poco” la moglie di Bernardo Provenzano doveva incontrarsi con un “capitano dei carabinieri”.
Incalzato dalle domande del sostituto su chi era questo capitano dei carabinieri Malvagna affermò che Bonaccorsi parlava
“di carabinieri che venivano da fuori”
Malvagna non ha dubbi: quando nell’ambiente si parlava di carabinieri che venivano da fuori significava che si trattava di ufficiali che provenivano dalla capitale romana.
A detta del Malvagna il carabiniere infedele consegnò un biglietto
“dove c’era scritto il luogo dell’incontro e il nominativo del capitano dei carabinieri”
Quindi in una masseria di campagna si sarebbero dovuti incontrare la moglie di Provenzano e il presunto ufficiale dell’arma.
Qual era l’oggetto di questo incontro?
Malvagna a questo punto afferma che la sensazione provata dalle parole che gli riferì il Bonaccorsi era che poteva trattarsi di una possibile collaborazione o con la moglie del boss corleonese o con lo stesso Provenzano tramite la moglie o come ebbe a sussurrare il collaboratore di giustizia catanese, nel processo ‘ndrangheta stragista, era lo stesso Provenzano che doveva partecipare all’incontro.
La notizia certamente allarmò il Malvagna che dopo aver fatto copia di quel bigliettino partì subito per Catania ad avvisare i suoi capi catanesi.
Malvagna si recò dallo zio latitante, Pulvirenti, il quale lo mandò subito da Pietro Puglisi, uno dei generi del “u Malpassotu”, personaggio di grande carisma che sarebbe stato, secondo la Procura di Catania, uno dei componenti del gruppo di fuoco che uccise Ilardo la sera del 10 maggio del 1996 in via Quintino Sella.
Giuffrida all’epoca, ricorda Malvagna, rivestiva una posizione di vertice dentro Cosa Nostra, addirittura era stato fatto uomo d’onore prima dello stesso Pulvirenti e a confermare lo spessore criminale e mafioso del Puglisi ci sta il nome del suo padrino di battessimo: Nitto Santapaola.
Informato il Puglisi e consegnategli il bigliettino il fedele Malvagna torna a casa.
L’appuntamento fu fissato per l’indomani mattina.
L’indomani, difatti, con lo stesso Puglisi il Malvagna si reca in un “ufficio” che si trovava vicino piazza Michelangelo a Catania.
Entrato dentro l’ufficio il Malvagna si trova il gotha di Cosa Nostra catanese: Eugenio Galea, Enzo Aiello, Aldo Ercolano, Salvatore Santapaola, Alfio Fichera ad eccezione di Nitto Santapaola.
A questo punto il Malvagna stranito per il luogo scelto per la riunione, che non era il solito, preoccupato anche al cospetto dei capi, iniziò a raccontare la vicenda che aveva vissuto in terra palermitana.
La reazione dei boss catanesi non fu delle migliori tanto che la preoccupazione del nipote di Pulvirenti crebbe ancora di più.
Il finale del summit la dice tutto.
Malvagna racconta che Salvatore Santapaola, fratello di Nitto ebbe a dire
“Filippo questo discorso e questa cosa e come se non fosse mai successa”
Insomma bisognava tenere la bocca chiusa e dimenticare l’episodio.
Il misterioso attentato al carabiniere infedele
Dopo appena un mese, a quanto ci racconta Malvagna, il carabiniere Bonaccorsi subì un attentato: affiancato da un’automobile venne fatto oggetto di colpi d’arma da fuoco.
La paura dell’ufficiale dell’arma fu tanta che volle incontrare il latitante Pulvirenti per chiedere aiuto e soprattutto protezione.
Il mistero dell’attentato da li a poco si sarebbbe trasformato in una nebbia fitta perché il Malpassotu chiamò il suo nipote acquisito per incaricarlo di sapere chi aveva potuto fare una cosa del genere al Cosimo Bonaccorsi.
Ebbene Malvagna si mette in moto contattò numerose persone dell’ambiente ma un ragno dal buco non ne venne fuori.
In altri termini non si seppe mai il nome dell’attentatore.
Tutto rimase avvolto nel buio più assoluto.
La domanda è d’obbligo: Il carabiniere denunciò mai l’attentato?
Secondo Malvagna no.
Del resto, seppur non abbiamo nessuna conferma ufficiale dell’esistenza della denuncia, non possiamo che propendere per la risposta data dal Malvagna poiché una denuncia di un carabiniere, peraltro al soldo di Cosa Nostra, avrebbe fatto rumore e non sarebbe sfuggita ai giornali dell’epoca.
Un carabiniere confidente, Cosa Nostra, presunti ufficiali dell’arma che trattano con la moglie di Provenzano.
Gli interrogativi che nascono dalla vicenda Malvagna sono davvero tanti.
Trattativa Stato-Mafia: la conferma che nessuno ha voluto vedere?
In primo luogo, possiamo porci l’interrogativo e chiederci se l’episodio di Malvagna possa essere un’ulteriore conferma del presunto accordo che lo Stato stipulò con Bernardo Provenzano dopo che con Riina “le trattative erano saltate”?
Sebbene lo Stato gli concesse, tramite provvedimento emesso dal nuovo Ministro della Giustizia Giovanni Conso, che in una notte cancellò oltre 300 regimi detentivi sul 41 bis applicato ai detenuti mafiosi?
Possiamo avanzare l’ipotesi che “Cosa Nostra”, facendo riferimento alla parte che condivideva la politica non stragista del Provenzano, che dialogava direttamente con la moglie dello Zio, che aveva accettato gli accordi promessi dallo Stato ottenendo impunità per lui e per tutti coloro che si riconoscevano nella sua linea più morbida?
E che quando Malvagna lo disse ai suoi vertici mafiosi questi non gradirono che fosse uscita tale notizia tanto che Malvagna temette per la sua vita?






Una lista di arresti scomodi
Del resto quel che è certo sono gli arresti di una fetta di componenti di Cosa Nostra che avevano sposato la politica del terrore e delle stragi volute da Totò Riina:
Totò Riina, 15 gennaio 1993;
Nitto Santapaola, 18 maggio del 1993
Filippo e Giuseppe Graviano, 27 gennaio 1994
Leoluca Bagarella, 24 giugno 1995
Giovanni Brusca, 12 gennaio del 1996
Domande senza riposte
E potremmo, forse, affermare che per qualcuno di questi arresti eclatanti esistono delle prove di accordi con la componente di Cosa Nostra legata a Bernardo Provenzano?
Potremmo allora, in conclusione, leggere la vicenda del Malvagna come una risposta concreta alla mancata perquisizione del covo di Totò Riina? O della mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso quando l’infiltrato Ilardo, il 31 ottobre del 1995, portò lo Stato ad un passo dal covo dello Zio Binnu u tratturi?
Potremmo leggere a questo punto la vicenda Malvagna come una risposta alle strane modalità dell’arresto di Nitto Santapaola?
Potremmo prendere la vicenda Malvagna per dare, anche, una risposta all’omicidio di Attilio Manca che avrebbe curato Provenzano per volere di Entità ancora sconosciute?
E potremmo chiederci a questo punto che la storia del Carabiniere che riferisce queste cose al Malvagna e che viene fatto oggetto di colpi di arma da fuoco, potrebbe essere letta come una minaccia proveniente da ambienti mafiosi o peggio da apparati dello Stato fatti all’uomo dell’Arma che aveva detto una cosa che non doveva dire?
L’ultima domanda che grida ancora
Sono state mai fatte delle indagini approfondite su quanto ha affermato in diversi procedimenti giudiziari il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna?
Si sono mai fatti indagini per risalire al presunto a i presunti ufficiali dell’arma che dovevano incontrare la moglie di Provenzano?
È stato mai sentito ufficialmente il carabiniere Cosimo Bonaccorsi?
O anche questa verità è stata insabbiata, come troppe altre?
Siamo alle solite
Ma quante persone implicate?
Nella “giostra della mafia”
Per far sì che si possa reggere il confronto con questa surreale storia proporrei delle soap opera con la differenza da quelle attuali che il tutto è maledettamente vero! Nessuna finzione le stragi parlano e sanguinano ancora oggi!
#lamafiaèunavalangadimerda