“Strategia della tensione: la madre di tutte le stragi”

Dalle bombe del ’69 alle stragi del ’92: cambiano i volti, non gli scenari

“Anni di piombo, fili invisibili: capire le stragi per non subirne altre”

Ci sono verità che, per troppo tempo, sono rimaste sepolte sotto cumuli di menzogne, silenzi e archiviazioni frettolose. Ma c’è una lezione, lasciata in eredità da Luigi Ilardo — uomo solo, ma lucido fino alla fine — che oggi più che mai va raccolta e rilanciata:
“Solo attraverso la conoscenza delle stragi degli anni ’70 si possono comprendere davvero le stragi del 1992 e 1993. Cambiano gli interpreti, ma gli scenari restano immutabili.”

È da questa consapevolezza che nasce questo nuovo spazio: Strategia della Tensione. Una rubrica che si addentra nei meandri oscuri della nostra storia repubblicana, per portare luce laddove per anni si è preferito non guardare. Perché comprendere significa sottrarre all’oblio, rompere il muro dell’impunità e, – soprattutto – armarsi di memoria per difendere la democrazia.

Gli anni Settanta sono stati un decennio di sangue, ambiguità e doppi giochi, dove la violenza non veniva solo dalle piazze, ma anche dai palazzi. Una stagione segnata da bombe, depistaggi e “apparati paralleli”, dove l’eversione nera si saldava spesso a segmenti dello Stato deviato, in una saldatura criminale che avrebbe trovato nuovi travestimenti nei decenni successivi.

In questo spazio racconteremo, con documenti, testimonianze e inchieste fedeli ai fatti, alcuni degli eventi chiave di quella stagione.

Partiremo da piazza della Loggia a Brescia, 28 maggio 1974: una bomba fascista, otto morti, e cinquant’anni di verità a intermittenza.
E ci inoltreremo fino a piazza Fontana, Milano, 12 dicembre 1969, dove tutto iniziò: la madre di tutte le stragi, quella che aprì ufficialmente la stagione della “strategia della tensione”, e che vide per la prima volta all’opera quella rete di complicità tra neofascisti, apparati di sicurezza e intelligence internazionali che ritroveremo ancora – mutata solo nei volti – nelle stragi degli anni Novanta.

Questo è il nostro impegno: dare voce ai fatti, ridare nome ai colpevoli, e impedire che la strategia della tensione venga consegnata al dimenticatoio. Perché il passato non è mai finito. E perché la verità, anche quando fa paura, è l’unico antidoto alla ripetizione della storia.

Una memoria che interroga ancora

Da quanto si apprende sembrerebbe che anche dalla destra politica arriva la condanna per i ‘neri’ che hanno provocato la strage di piazza della Loggia, a Brescia, il 28 maggio 1974.

Ma ci sono ancora delle colonne d’Ercole oltre le quali nessuno sembra voler avventurarsi.

Le responsabilità dirette degli estremisti neofascisti sono ormai acclarate in sede giudiziaria, ma le coperture, le connivenze, i silenzi e le ombre che accompagnano quella stagione eversiva restano in parte avvolti dal mistero.

Eppure la storia giudiziaria è lunga e articolata: diciassette i processi celebrati, uno ancora in corso. I nomi dei colpevoli emergono lentamente, in un cammino verso la verità durato oltre cinquant’anni.

La tragedia del 28 maggio 1974

Alle 10:02 del mattino, nel cuore di una manifestazione promossa dal Comitato permanente antifascista e coincidente con uno sciopero generale dei sindacati, esplose una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti. L’ordigno – almeno un chilogrammo di esplosivo – deflagrò due minuti dopo l’inizio del comizio del sindacalista della Cisl, Franco Castrezzati.

L’esplosione uccise otto persone: Luigi Pinto, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi, Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda. Altre 102 rimasero ferite.

Le condanne definitive (e non)

Il 20 giugno 2017, Maurizio Tramonte, alias fonte Tritone, ritenuto ex infiltrato dei servizi segreti e militante di Ordine Nuovo, viene condannato in via definitiva all’ergastolo per concorso in strage. Con lui anche Carlo Maria Maggi, morto nel 2018, considerato il “regista” dell’attentato e leader del gruppo neofascista nel Triveneto.

Secondo i giudici, Tramonte ispirò una relazione del SID – il servizio segreto militare – nella quale si affermava che nel 1974 Ordine Nuovo, sebbene formalmente sciolto, aveva deciso di riprendere clandestinamente l’attività. Una riunione chiave si svolse ad Abano Terme tre giorni prima della strage, dove Maggi dichiarò che era necessario continuare la strategia stragista iniziata con la bomba di piazza Fontana nel 1969.

In un altro incontro, Maggi spiegò che la strage di Brescia non doveva rimanere un episodio isolato, ma rappresentare l’inizio di “altre azioni terroristiche di grande portata da compiere a breve scadenza”, finalizzate ad aprire un conflitto interno da risolvere con lo scontro armato.

Nella sentenza milanese della giudice Anna Conforti, confermata poi dalla Cassazione, si legge un passaggio cruciale:

“Dagli atti processuali emerge la prova certa di comportamenti ascrivibili ai vertici territoriali dell’Arma dei carabinieri e ad alti funzionari dei servizi segreti”.

La strage di piazza della Loggia, dunque, non fu solo opera di neofascisti: fu coperta, tollerata, forse anche favorita da componenti dello Stato.

Marco Toffaloni: il presunto esecutore materiale

L’ultima condanna, ancora non definitiva, riguarda Marco Toffaloni, noto anche come Franco Maria Muller, giudicato dal Tribunale dei Minori perché all’epoca era minorenne. La Corte lo ha condannato a trent’anni di carcere in primo grado. Secondo l’accusa, Toffaloni sarebbe stato l’esecutore materiale: colui che mise la bomba nel cestino.

I pubblici ministeri Silvio Bonfigli e Cate Bressanelli hanno prodotto numerosi elementi probatori, a partire dalle dichiarazioni di Gianpaolo Stimamiglio, ex membro del Centro Studi Ordine Nuovo. Stimamiglio, collaboratore della Procura dal 2010, raccontò un incontro avvenuto nel 1989 in un hotel di Peschiera del Garda, dove Toffaloni gli avrebbe confessato:

“A Brescia gh’ero mì”.

Determinanti anche le parole di Ombretta Giacomazzi, ascoltate in aula. La donna raccontò di aver visto Toffaloni a Verona, in ambienti frequentati da servizi segreti italiani e americani, ritenuti centri nevralgici della strategia della tensione. Riferì inoltre di una violenta discussione avuta con Toffaloni, legata al rifiuto da parte sua di compiere un attentato già pianificato.

Il ‘terzo livello’: la pista NATO e Palazzo Carli

L’inchiesta più recente, culminata con il processo a carico di Roberto Zorzi, ha toccato una delle zone più sensibili della storia repubblicana: il coinvolgimento della NATO.

Il procedimento – condotto ancora dai magistrati Bonfigli e Bressanelli – ha evidenziato l’esistenza di un ‘terzo livello’ di copertura, che avrebbe agito dai vertici militari e istituzionali. Le indagini, sostenute da un supertestimone, hanno indirizzato i riflettori su Palazzo Carli, sede del Comando NATO a Verona.

Nel secondo dopoguerra, Palazzo Carli fu sede del Comando delle forze militari NATO e successivamente del COMFOTER, il Comando delle forze operative terrestri dell’Esercito Italiano. Secondo l’accusa, in quella struttura si sarebbero tenute riunioni preparatorie del progetto stragista, con la copertura di generali paracadutisti italiani e statunitensi.

Durante il processo Zorzi, le testimonianze di Ombretta Giacomazzi e dell’ufficiale dell’Arma Giraudo hanno contribuito a delineare un quadro inquietante e dettagliato.

Il ricordo e le parole del Presidente

Anche quest’anno, la città di Brescia ha commemorato le vittime della strage. Sul palco, accanto alla sindacalista Maria Rosa Loda, sono intervenute due studentesse del liceo Gigli di Rovato e la segretaria nazionale della UIL Vera Buonuomo.

Loda, nel ricordare i nomi degli otto caduti, ha dichiarato:

“Noi non dimentichiamo i nomi, i volti degli innocenti caduti. Non dimentichiamo le omissioni, i silenzi e le connivenze. Non dimentichiamo le forze opache che si scatenarono in quella tragica stagione di sangue”.

Ha poi proseguito:

“La loro testimonianza resta immortale. La loro eredità ideale deve aiutarci a far crescere una società più giusta, inclusiva e solidale”.

Infine, ha letto la lettera inviata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il 51º anniversario:

“La città di Brescia ha reagito con fermezza e coraggio. Le istituzioni democratiche, le parti politiche, sindacali e sociali sono state capaci di una risposta unita in difesa della nostra costituzione che la catena nera dell’eversione voleva aggredire. Vincere i terrorismi e sventare i piani eversivi è stato un percorso difficile e travagliato, pagato con il sangue da tanti innocenti”.

Con un riferimento chiaro alla sentenza su Toffaloni, Mattarella ha aggiunto:

“Le risorse morali e civili di chi si è battuto dalla parte della libertà e della democrazia hanno prevalso sugli stragisti, i conniventi e i loro complici. E la giustizia, sia pure con ritardo rispetto alle angosciose attese, ora è giunta a una prima sentenza anche sugli esecutori materiali”.

Conclusione

La strage di Brescia è uno degli episodi più emblematici e drammatici della strategia della tensione. La verità giudiziaria ha faticato decenni per emergere, tra assoluzioni, insabbiamenti, processi riaperti, e nuove piste investigative. Eppure, se da un lato i mandanti e gli esecutori cominciano ad avere un nome e un volto, dall’altro le connivenze istituzionali e le implicazioni internazionali – come quella legata alla NATO e a Palazzo Carli – aprono scenari che mettono ancora oggi in discussione la sovranità democratica del nostro Paese.

Perché, come ha insegnato Luigi Ilardo,

“Solo attraverso la conoscenza delle stragi degli anni ’70 si possono capire le stragi del 1992 e 1993. Cambiano gli interpreti, ma gli scenari restano immutabili.”

Allora come oggi, servizi segreti, destra eversiva, massoneria, apparati deviati dello Stato si muovono nell’ombra, lasciando dietro di sé scie di sangue e verità negate.

In questo Paese dove regna il mistero e il depistaggio il decreto sulla sicurezza, voluto dall’attuale Governo che affida il Paese nelle mani dei Servizi che hanno avuto, per certi versi, un ruolo attivo nelle stragi non sembra essere un buon “servizio” offerto ai cittadini italiani.
La storia continua.
Ecco perché questo spazio è necessario. Per non dimenticare. Per non cedere. Perché la verità, anche quando brucia, è l’unico antidoto al ritorno dell’oscurità.

Guglielmo Bongiovanni

Questo articolo ha 2 commenti

  1. Orlando

    Analisi perfetta si sapeva e si sa tutto sulle stragi fasciste.

  2. Flavio

    Per non dimenticare.la storia. Per ricordare che certe idee ci sono ancora e che la storia può ripetersi

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