Stefano Baudino: Vi racconto Luigi Ilardo

Luigi Ilardo: il boss che scelse lo Stato e fu tradito

Chi era Luigi Ilardo

Un boss. Uno importante. Un uomo cresciuto dentro la mafia, tra codici d’onore e silenzi di morte.

Un uomo che portava il peso di un cognome pesante, legato a doppio filo con una delle famiglie più potenti di Cosa Nostra: i Madonia di Caltanissetta.

Era cugino di Piddu Madonia, uno dei principali artefici delle stragi degli anni ’90. Eppure, proprio da lì, da quel cuore di tenebra, sarebbe partita una scelta destinata a cambiare tutto.

Nel 1993, dopo dieci anni di carcere, Luigi Ilardo prende una decisione che avrebbe richiesto un coraggio fuori dal comune: voltare le spalle alla mafia.

Non lo fa per paura o per calcolo. Lo fa per amore.

Ha due figlie, e vuole dare loro una possibilità. Vuole cambiare squadra. Vuole passare dalla parte dello Stato.

Non diventa un collaboratore subito, non un pentito nel senso tecnico del termine. No, Ilardo diventa qualcosa di molto più rischioso: un infiltrato. Torna in Sicilia, si reinserisce nell’organigramma mafioso, ma sotto la superficie continua a lavorare per i Carabinieri del ROS, contribuendo a far arrestare alcuni dei più importanti latitanti della Sicilia orientale. È un lavoro delicatissimo, solitario, pericoloso. Nessuno, neppure la sua famiglia, ne sa nulla.

Nel 1995, Ilardo arriva a un passo dal cuore del potere mafioso: ottiene un incontro diretto con Bernardo Provenzano, il capo dei capi. Una svolta clamorosa. È tutto pronto per catturarlo. Eppure, i ROS — gli stessi che in passato avevano intavolato una trattativa con i vertici di Cosa Nostra — decidono di non intervenire. Provenzano rimane libero, nascosto in un casolare di Mezzojuso.

Ci rimarrà per altri undici anni.

Ilardo comincia a sospettare. Qualcosa non torna. Dopo tre anni da infiltrato, capisce che è il momento di parlare. Di dire tutto. Vuole diventare ufficialmente collaboratore di giustizia, mettere a verbale le sue conoscenze, raccontare la verità sulle stragi del ’92 e ’93, sulle collusioni tra mafia, pezzi deviati dello Stato, servizi segreti, e persino su certi legami tra Cosa Nostra e Forza Italia.

È pronto. Ha fissato un incontro con i magistrati. Ma quattro giorni prima, qualcuno lo uccide a Catania. Lo uccidono perché sapeva troppo. Perché stava per parlare. E, molto probabilmente, perché qualcuno dentro le istituzioni aveva fatto trapelare la notizia del suo pentimento imminente.

Luigi Ilardo non è mai diventato formalmente un collaboratore. Le sue dichiarazioni non sono mai finite in un verbale. E così, molte delle sue verità sono andate perdute.

O forse, sono state silenziate.

Come ha ricordato il giudice Nino Di Matteo, Luigi Ilardo avrebbe potuto essere il nuovo Buscetta. Ma è stato fermato prima. Fermato da chi aveva interesse a non far emergere certe verità. Fermato da un sistema che, ancora una volta, ha scelto il buio alla luce.

Il caso Ilardo non è solo una pagina nera della lotta alla mafia. È lo specchio di una verità scomoda: che non esiste una distinzione assoluta tra lo Stato buono e la mafia cattiva. Esistono connivenze. Esistono tradimenti. Esistono apparati deviati che hanno contribuito — e forse contribuiscono ancora — a deviare le indagini, a costruire finti pentiti, a proteggere i veri responsabili delle stragi. Lasciando che in carcere finiscano innocenti, al posto di chi dovrebbe davvero pagare.

Guarda il video:
A chiudere questo racconto, proponiamo un contributo prezioso del giornalista Stefano Baudino, dal titolo “Luigi Ilardo spiegato agli studenti”. In pochi minuti, Baudino riesce a restituire con chiarezza e passione l’intera parabola umana e investigativa di Ilardo: da boss di Cosa Nostra a infiltrato dello Stato, fino al suo assassinio il 10 maggio 1996 a Catania. Un video pensato per i più giovani, ma utile a chiunque voglia capire — davvero — perché Luigi Ilardo era diventato un uomo da eliminare.

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