Omicidio di Stato: il caso Luigi Ilardo e le contraddizioni del Capitano Damiano
“Il prezzo del silenzio paga”
Luana Ilardo
La notifica mortale
C’è una storia che merita di essere raccontata.
Una storia che ha il sapore della tragedia annunciata, un copione già scritto, dove i protagonisti sembrano recitare ruoli assegnati da un potere invisibile e spietato. È la storia di Luigi Ilardo, infiltrato in “cosa nostra” e confidente dei carabinieri, ucciso a Catania il 10 maggio 1996, pochi giorni prima di diventare ufficialmente collaboratore di giustizia.
Il mistero di una consegna che sa di condanna
Catania, primavera del 1996. In una Sicilia attraversata da tensioni indicibili, dove le linee tra legalità e complicità si fanno sempre più sottili, un uomo sta per compiere il passo più rischioso della sua vita. Luigi Ilardo, ex capomafia della provincia di Caltanissetta, da due anni collabora segretamente con lo Stato sotto il nome in codice “fonte Oriente”.
Grazie a lui sono stati catturati numerosi latitanti, compresi pezzi da novanta di Cosa nostra. Ha anche condotto gli inquirenti a un soffio dall’arresto di Bernardo Provenzano, portando il colonnello Michele Riccio fino alle campagne di Mezzojuso dove il boss si nascondeva.
Ma proprio nel momento in cui Ilardo si prepara a formalizzare la sua collaborazione con la giustizia, qualcosa si spezza. Una serie di eventi si susseguono con inquietante rapidità, fino alla sera del 10 maggio 1996, quando viene assassinato sotto casa, a pochi passi dal Tribunale di Catania.
Una delle chiavi più oscure di questa vicenda ruota attorno a una notifica giudiziaria, il differimento della pena da scontare per Ilardo.
Non un dettaglio banale: secondo quanto raccontato dalla figlia, Luana Ilardo: la notifica non venne recapitata a lui personalmente — né presso la sua residenza né presso la sua azienda agricola — bensì consegnata a mano da due uomini del ROS a Maria Stella Madonia, sorella di Giuseppe “Piddu” Madonia, storico capomafia detenuto, da sempre vicino a Provenzano.
“Un mese prima della morte di mio padre, lo stesso Damiano — l’agnello sacrificale di turno — recapita quell’atto a casa di Maria Stella Madonia […] senza peraltro fare il minimo accenno di tutto questo al Col. Riccio,” scrive Luana Ilardo [1]
Nella sua testimonianza, Damiano afferma vagamente che l’atto fu notificato “a Gela, presso la sorella di Giuseppe Madonia”, ma non ricorda se fosse stato specificato che si trattava di un atto riguardante la “gestione del rapporto fiduciario con Ilardo” [2]
Eppure a quanto ci è dato sapere il capitano Damiano conosceva benissimo chi fosse Ilardo. Sapeva dove abitava e, soprattutto, conosceva la delicatezza della sua posizione.
Non c’è ne vogliano ma risulta davvero inspiegabile un tale comportamento.
Perchè notificare un atto tanto sensibile a cento chilometri di distanza, presso una donna che nulla aveva a che fare con la documentazione in oggetto?
Come ha potuto un ufficiale esperto qual’era il capitano Damiano fare una scelta così grave?
La sentenza, purtroppo, non scioglie questo enigma. Anzi, conferma che Riccio aveva chiesto che la pratica venisse seguita con la massima discrezione, proprio per evitare che la sua fonte venisse scoperta. E Damiano stesso, secondo la figlia di Ilardo, era ben consapevole dei rischi. Tanto da parlare con il Procuratore Tinebra e col magistrato di sorveglianza.
Ma, nonostante questo, nulla impedisce che quella notifica finisca nelle mani sbagliate.
Questa semplice, ma devastante anomalia procedurale — la notifica di un atto giudiziario a una persona non solo diversa dal destinatario, ma anche legata ai vertici mafiosi — getta ombre pesanti sulla gestione del pentito Ilardo da parte dei vertici del Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri.
Una scelta che, a detta di Riccio, era gravissima e inspiegabile:
“La disposizione di Damiano data ai suoi dipendenti di notificare l’atto del tribunale di Caltanissetta non al diretto destinatario ma alla cugina Maria Stella Madonia, residente a Gela, costituiva un fatto gravissimo”[3]
La stessa sentenza riconosce la pericolosità di quell’errore, evidenziando che Maria Stella Madonia era sospettata di essere “il trait d’union tra Giuseppe Madonia e Bernardo Provenzano”. Tanto che dopo la consegna all’autorità giudiziaria del rapporto “Grande Oriente” Maria Stella Madonia verrà arrestata.
Del resto, come confermerà Riccio, lo stesso capitano Damiano era a conoscenza della residenza di Ilardo
Agli atti dell’Ufficio del Ros anche di Caltanissetta erano presenti sicuramente più atti giudiziari che attestavano come Luigi Ilardo fosse da tempo residente a Catania, in via Quintinio Sella 5. Tanto è vero che nella scheda redatta sul collaboratore dallo stesso Damiano, e allegata al rapporto “Grande Oriente”, si indicava quella residenza di Catania[4]
Ma il dato più grave dell’inizitiva presa è quello di non avere informato Riccio
Damiano non mi aveva informato dell’iniziativa che avrei immediatamente bloccato[5]
Inziativa che peraltro non si spiega perchè l’unico che aveva il compito di gestire l’infiltrato Ilardo era il colonnello Michele Riccio.
In questo quadro drammatico non possiamo che condividere appieno la conclusione a cui perviene Luana Ilardo
“Quella notifica è stata la vera condanna a morte di mio padre. […] Ha dato esclusiva e certa conferma a Piddu Madonia e Provenzano che i sospetti erano fondati.”[6]
lardo viene ucciso il 10 maggio. Dieci giorni dopo, il 20 maggio 1996, in un covo di Brusca viene ritrovato l’ultimo pizzino di Provenzano in cui si chiede di
“tenere ancora sotto osservazione Ilardo”.
Una richiesta evidentemente superata dai fatti: l’omicidio era già avvenuto, in fretta e furia.
Riccio, che fin dal primo momento aveva denunciato ritardi, omissioni e ostacoli da parte di alcuni superiori nel gestire la fonte, definì quella notifica
“la pietra tombale”
sulla vita del suo confidente.
La vicenda della notifica a Maria Stella Madonia, per quanto singolare possa sembrare, resta uno dei punti più inquietanti dell’intera storia di Luigi Ilardo. Non solo per le sue implicazioni pratiche — che potrebbero aver effettivamente innescato l’esecuzione — ma per ciò che suggerisce sul livello di compromissione delle strutture istituzionali.
Come afferma Luana Ilardo, la notifica non fu un errore.
“È l’inconfutabile prova che l’omicidio Ilardo sia un omicidio commissionato di Stato.”
A quasi trent’anni dai fatti, la domanda resta sospesa nell’aria, più viva che mai: chi ha davvero tradito Luigi Ilardo?
Writer & Blogger
Ascolta la deposizione del capitano Damiano del 24 aprile del 2015
Note:
[1] Racconto di Luana Ilardo in un post sulla sua pagina facebook;
[2] Sentenza emessa dalla corte d’assise di Catania sull’omicidio Ilardo del 21 marzo del 2017;
[3] Anna Vinci e Michele Riccio, La strategia parallela, Zolfo, 2024;
[4] Idibem;
[5] Idibem;
[6] Racconto di Luana Ilardo in un post sulla sua pagina facebook;