Mi chiamo Luigi Ilardo

Nota della redazione

Pubblicare oggi questo documento significa dare voce non solo a un collaboratore di giustizia, ma all’uomo Luigi Ilardo. In queste dichiarazioni spontanee, rese il 13 maggio 1995 davanti al tenente colonnello Riccio, c’è la testimonianza autentica di un percorso umano, interiore e radicale. Luigi Ilardo non cerca vantaggi, non cerca assoluzioni: sceglie la verità, per sé e per i suoi figli. www.luigiilardo.it ritiene fondamentale riportare per intero e fedelmente il contenuto di questo atto, affinché resti vivo il significato della sua scelta.

“Ho deciso di uscirne formalmente”: la confessione di Luigi Ilardo, uomo e padre

«Se riesco in quello che mi sono prefisso per me è una vittoria»

È il 13 maggio del 1995. Luigi Ilardo ha appena compiuto 44 anni. È detenuto, ma non è più l’uomo di prima.
In quella data, davanti al tenente colonnello Michele Riccio, sceglie di firmare con le parole il suo vero atto di rottura con Cosa Nostra. Non si tratta di una dichiarazione tecnica, né di un verbale d’interrogatorio: è una confessione dell’anima, una resa dei conti personale e definitiva.
Un atto spontaneo che mette nero su bianco la sua decisione di collaborare con la giustizia e, soprattutto, di uscire dalla mafia per sempre.

“Ho deciso formalmente di collaborare con la giustizia dopo essermi reso conto di quello che effettivamente ho perduto durante questi anni passati lontano dai miei familiari e dai miei figli…”

Quello che emerge dal documento è il volto umano di un uomo combattuto, un padre che vuole redimersi per amore dei figli, un ex mafioso che riconosce di aver vissuto una vita fondata sull’inganno, la violenza e la morte.

“Come fu allora per me, che sono arrivato a prendere il mondo nelle mani ogni giorno in cui fui fatto uomo d’onore… spero che la mia collaborazione dia atto di quanto tutto ciò che fanno apparire è falso”.

“Cosa Nostra è diventata una macchina solamente di morte”

Ilardo non cerca giustificazioni. Anzi, guarda con lucida freddezza la realtà della mafia contemporanea. Racconta di un’organizzazione che ha perso qualunque sembianza di onore, e che è ormai dominata da “tragedie e da tante menzogne”.

“Oggi, dopo tutto quello che abbiamo assistito, dato tutti i delitti così orrendi ed atroci che si sono macchiati certe persone che sono state ai vertici di questa organizzazione, facendo ricadere la colpa su tutti gli affiliati…”

Non ha più dubbi: Cosa Nostra non è mai stata davvero un rifugio, ma solo una trappola. E se oggi c’è ancora chi cerca una “normalizzazione”, è perché non ha capito che il tempo è finito, che l’unica cosa rimasta è “una corsa sanguinaria e cattiva”.

La spinta decisiva: i figli

Il motore della sua decisione, più di ogni altra cosa, è l’amore per i figli. Sono loro, con la loro assenza e il loro dolore, ad avergli mostrato l’atrocità della vita che ha condotto.

“Una cosa che mi ha spinto è stata effettivamente la ricerca della normalità della mia vita e di quella dei miei figli, perché sono stati i loro sacrifici, i loro disagi ed i loro dolori…”

Ilardo non solo prende coscienza, ma rivendica il valore della famiglia come ancora di salvezza. Capisce che i veri valori sono quelli che aveva trascurato. Per questo, nel suo atto scritto, dice chiaramente:

“Spero che da questo mio atto di buona volontà possa almeno ricavare quello che effettivamente cerco: il beneficio di avere una tranquillità per me e per la mia famiglia”.

“Sono pronto ad ammettere tutte le mie colpe”

Ilardo non si nasconde. Si dice pronto ad assumersi ogni responsabilità, senza ambiguità. “Tutto quello che ho fatto”, dice, “anche se in fondo all’animo sono sereno perché di tutto mi si può accusare al di fuori di avere commesso omicidi o fatto del male a persone umane”.

E aggiunge:

“Di tutto quello che ho fatto sono pronto a rispondere personalmente anche perché ormai il mio debito con la giustizia è quasi del tutto saldato…”

L’uomo che scrive chiede solo silenzio, anonimato e un poco di pace. Non per sé soltanto, ma per chi ha sofferto a causa sua.

“La mia decisione è stata, ed è solamente quella di collaborare solo per avere un po’ di tranquillità e ritornare nell’anonimato e vivere tranquillo con i miei cari”.

Una vittoria silenziosa

In chiusura della sua dichiarazione, Ilardo lascia emergere la parte più fragile e vera: la speranza. Non quella di ottenere vantaggi giudiziari, ma di potersi sentire, per una volta, in pace con se stesso.

“Se riesco in quello che mi sono prefisso per me è una vittoria. Posso dire di avere raggiunto quello che per 10 anni ho sempre sofferto dentro il mio animo…”

In quelle ultime righe, il suo grido è semplice, spoglio, senza retorica. Racconta di un uomo che ha trovato nell’uscita da Cosa Nostra l’unica strada possibile.

“L’ho accettata volentieri e sono pronto ad andare incontro a tutto quello che questa mia decisione comporta…

Conclusione

Le parole di Luigi Ilardo, rese il 13 maggio 1995, non sono soltanto la testimonianza di un collaboratore di giustizia. Sono la voce di un padre, di un uomo stanco, di un essere umano che vuole interrompere la catena della violenza.
In una stagione in cui molti si piegavano al potere, lui – da solo – ha scelto di parlare.
Non per vendetta. Non per tornaconto. Ma per amore.

“È la mia scelta, non influenzata da nessuno. Sono stato disponibilissimo a tutto quello che c’è da fare… Sono pronto a parlare di tutto quello che conosco…”

Commento finale

Rileggere queste parole, a distanza di trent’anni, non lascia indifferenti.
Ilardo non chiede pietà, non fa retorica: restituisce dignità alla sua umanità ferita, rivendica un amore tardivo ma profondo per la famiglia e rompe con un mondo che aveva creduto invincibile.
È questo il cuore della sua testimonianza: il coraggio di uscire.

Pubblicare oggi questo testo su www.luigiilardo.it significa custodire la memoria di chi ha pagato con la vita la scelta di parlare.

Redazione luigiilardo.it