Ilardo e il patto nascosto. Mafia e politica alla vigilia della Seconda Repubblica
Il testimone che disturbava il patto
Che Luigi Ilardo non sia stato un mafioso qualunque è un dato da cui partire per leggere quei terribili nove colpi d’arma da fuoco sparati quella maledetta sera del nove maggio del 1996 in via Quintinio Sella, a Catania, contro chi poteva cambiare la storia della lotta contro quel sistema di cui Cosa nostra era solo uno dei tasselli di un disegno criminale molto più ampio.
Luigi Ilardo era una figura che attraversava in silenzio le vicende più oscure della fine della Prima Repubblica e che proprio per questo viene, ancora oggi, a distanza di trent’anni da quel 10 maggio del 1996, sistematicamente ignorata, screditata o rimossa.
Luigi Ilardo, non era solo il mafioso, infiltrato, vicecapo della provincia di Caltanissetta per conto di Cosa Nostra. Ma Ilardo era anche il confidente del colonnello Michele Riccio, e nel biennio 1993–1995 raccontò all’Arma e alla DIA molto più di quanto oggi si voglia ricordare.
Luigi Ilardo non si limitò a indicare il covo di Bernardo Provenzano a Mezzojuso — il 31 ottobre 1995 — ma parlò con Riccio di nomi, accordi, leggi promesse e personaggi politici coinvolti in una presunta trattativa che doveva accompagnare il passaggio dalla stagione delle stragi a quella del consenso, della Pax mafiosa.
«Cosa Nostra è diventata solo una macchina di morte, di tragedie e di tante menzogne»
Ilardo voleva spezzare il ciclo di sangue, ma anche svelare i garanti della nuova fase. E questi garanti non erano né uomini qualunque né solamente mafiosi. Erano politici, referenti, mediatori. Erano il volto istituzionale del nuovo patto.
Non siamo alla ricerca di scoop, non è il nostro mestiere, ciò che ci preme è raccontare ai più giovani che non conoscono questa storia il coraggio di un uomo che si spinse, nelle sue rivelazioni ad un livello mai toccato da nessun collaboratore di giustizia. Che si spinse fino all’inimmaginabile facendo nomi e cognomi che sono di dominio pubblico grazie a Michele Riccio
Oggi siamo più convinti che mai: Chi continua a denigrare Ilardo e il colonnello Riccio infanga la verità



Il progetto Provenzano: dalla guerra alla mediazione
Secondo Ilardo, la svolta avvenne con Bernardo Provenzano.
Dopo l’arresto di Riina nel 1993 e la morte di Borsellino, Cosa Nostra si trovava isolata, assediata, colpita nel cuore.
I beneficiari della stagione stragista — i corleonesi più estremisti — avevano portato la mafia sull’orlo del suicidio.
Provenzano, raccontò Ilardo a Riccio, voleva “ritornare all’antico”: silenzio, mediazione, affari. Nessun clamore.
Ilardo lo incontrò personalmente in un summit riservatissimo in una masseria di Mezzojuso, e lo descrisse così:
«Un volto scavato, vestiva con modestia, parlava con cautela, ma controllava tutto. Era ‘u zu Binu. Il garante»
Era il 31 ottobre del 1995.
Da quel giorno lo Stato sapeva dov’era Bernardo Provenzano, il capo di Cosa Nostra, il latitante più ricercato d’Italia dopo l’arresto di Totò Riina, e non intervenne: le pecore avrebbero ostacolato l’operazione questa è una delle tante spiegazioni che venne offerta all’Italia e ai siciliani.
Com’è noto Provenzano verrà arrestato undici anni dopo nel 2006
Durante quell’incontro, il boss parlò della necessità di ristabilire rapporti con l’imprenditoria, di evitare lo scontro frontale con lo Stato, di riconqistare il territorio di “sistemare tutto nell’arco di sei o sette anni”
«Provenzano aveva capito che si doveva agire in silenzio, lentamente, e che bisognava cercare nuovi interlocutori: non nelle periferie, ma ai vertici dello Stato»
La transizione si compì nel 1994. Dopo il fallimento del progetto di un partito mafioso autonomo — sostenuto da Provenzano e da ambienti imprenditoriali del Sud — Cosa Nostra si orientò verso Forza Italia, il nuovo soggetto politico nato dall’iniziativa di Silvio Berlusconi e gestito sul territorio da uomini come Marcello Dell’Utri.
Qui si apre il focus delle rivelazioni di Ilardo che ci sono state raccontate con coraggio dal colonnello veneto Michele Riccio, peraltro riportate non solo in deposizioni e udienze che possono essere reperite e ascoltate.
Lo ripetiamo qui non siamo alla ricerca di scoop qui vogliamo raccontare fatti denunciati da un fedele servitore dello Stato che ha avuto il coraggio di renderli noti al pubblico.
Certo avremmo voluto essere supportati anche da “verbali” firmati da Ilardo, ma, ahimè, anche qui chi doveva fare non fece, chi doveva agire non agì.
Noi non ci tireremo indietro!
Restate con noi: CONTINUA CON MARCELLO DELL’UTRI E FORZA ITALIA…
Fonti:
Anna Vinci e Michele Riccio, La Strategia parallela, Zolfo, 2024
Il Patto di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci, Chiarlettere, 2010;
La relazione completa del colonnello Michele Riccio pubblicata sulla rubrica “Michele Riccio” Antimafia Duemila.
Continuate a sfondare con il giusto bisturi.