Ilardo, Dell'Utri e il patto con Cosa Nostra: la verità mai raccontata
Certe cavolate le potete raccontare solo a chi è nato e cresciuto al nord. I siciliani, sanno quello che è successo in Sicilia, non dimenticatelo mai! Prima o poi la verità vi verrà sbattuta in faccia con uno schiaffo sonoro. Questione di tempo.
Luana Ilardo
La svolta silenziosa del 1994: quando Cosa Nostra sceglie Forza Italia
Con questa parte delle rivelazioni di Luigi Ilardo al colonnello Michele Riccio si apre uno dei filoni più delicati: i nomi dei politici.
Emerge con forza che Luigi Ilardo non era un mafioso qualunque: vicecapo della provincia mafiosa di Caltanissetta, uomo d’onore di peso, testimone diretto delle strategie più riservate di Cosa Nostra.
Secondo Ilardo, la transizione strategica si compì nel 1994.
Dopo il fallimento del progetto di un partito mafioso autonomo — tentato da Provenzano e ambienti imprenditoriali e dopo l’intesa che, nel lontano 1985, Riina volle stabilire con l’allora Psi — Cosa Nostra dirottò il proprio sostegno su Forza Italia, il nuovo soggetto politico nato su iniziativa di Silvio Berlusconi, con Marcello Dell’Utri a fare da cerniera tra il potere economico e “Cosa Nostra”
Ilardo lo disse senza ambiguità a Riccio:
«È stato stabilito un contatto con un uomo dell’entourage di Berlusconi, un insospettabile, che in cambio dell’appoggio elettorale garantì l’impegno a varare leggi più favorevoli per i detenuti e a rallentare l’azione della magistratura».
Su questo episodio riteniamo che citare le date potrebbero aiutare i nostri lettori a contestualizzare meglio alcuni episodi che sono accaduti in Sicilia.
L’incendio alla Standa: un episodio oscuro mai chiarito
Ilardo viene reinserito, in qualità di infiltrato per conto dello Stato, all’interno della famiglia mafiosa dei Madonia il 3 febbraio del 1993, così come ci ha raccontato più volte il colonnello Riccio.
Le sue rivelazioni abbracciano il periodo che va, più o meno, dal 1993 al 1996.
Proviamo a mettere ordine con le date.
Qualche anno addietro, ed esattamente il 18 gennaio del 1990, un incendio distrugge i tre piani della Standa di via Etnea a Catania.
Standa che nel frattempo era stata acquistata dal gruppo Fininvest, controllato da Silvio Berlusconi, che acquisì dal gruppo Ferruzzi-Montedison il 70% della proprietà, per quasi 1000 miliardi delle vecchie lire, diventando la “Casa degli Italiani” e godendo di un enorme battage pubblicitario grazie alle televisioni della nuova proprietà utilizzando i volti noti della Tv.
Su questa vicenda si è davvero parlato poco, per dirla tutta, in realtà, quasi niente, nonostante da fonti ben informate furono fatte alcune indagini dagli organi investigativi che, a quanto pare, all’epoca, non ebbero un sostanziale seguito.
La curisità è d’obbligo in questo caso: quell’incendio doloso ebbe solo una natura estorsiva organizzata dalle famiglie mafiose catanesi e palermitane?
Operazione che secondo il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna si aggirava a poco più di 200 milioni.
Oppure ebbe anche una valenza politica finalizzata, soprattutto, a costringere il gruppo Berlusconi a stringere degli accordi con Cosa Nostra?
L’unica cosa certa che possediamo sul piano storico è l’avvento in politica del cavaliere Berlusconi che lo porta, per la prima volta, come leader di Forza Italia, a Palermo, il 20 marzo del 1994, con a fiano Marcello Dell’Utri.
Ancora una volta le date ci aiutano a contestualizzare meglio i fatti.
Ilardo si era già infiltrato all’interno di Cosa Nostra da più di un anno e cominciava a fare importanti rivelazioni al colonnello Riccio anche su questo versante.
Difatti fu proprio Ilardo a fare per primo il nome del braccio destro di Berlusconi: Marcello Dell’Utri.



Dell’Utri: l’insospettabile mediatore del nuovo equilibrio
Nel racconto di Ilardo, Marcello Dell’Utri emerge come figura chiave.
Il contatto non fu improvvisato né occasionale, ma parte di una strategia organica e consapevole.
Il dialogo con Riccio è eloquente:
«Per caso l’uomo dell’entourage di Berlusconi di cui mi parlavi è Dell’Utri?»
«Colonnello, ma se lei le cose le capisce, che me le chiede a fare?»
La promessa era chiara:
Forza Italia — riferì Ilardo — aveva promesso che entro sei, sette anni avrebbe introdotto leggi più garantiste e favorevoli agli interessi delle organizzazioni mafiose e la possibilità di sviluppare affari con maggiori coperture.
Le indicazioni che Ilardo diede a Riccio, in merito ai candidati di Forza Italia, sui quali indirizzare il voto per disposizione di Cosa Nostra, non si fermarono solo a Dell’Utri.
Su questi ambigui personaggi della politica siciliana, citati da Ilardo, ci torneremo a breve perché in questa sede abbiamo preferito disegnare il contesto generale sul piano politico e se volete storico che poi si chiuse nel 2001 con lo storico successo di Forza Italia, in Sicilia, per 61 a zero e quindi soffermarci sui personaggi chiave che presumibilmente mediavano con Cosa Nostra.
Dei restanti nomi fatti da Ilardo, a partire dall’avvocato calabrese Minniti, ritenuto dal pentito catanese uno degli esponenti più influenti di Forza Italia in Calabria, ci torneremo a breve.
In questa sede vorremmo solo segnalare ai nostri elettori un altro dato che gravava sul nuovo soggetto politico creato dal cavaliere Berlusconi.
Da fonti ben informate esisteva un’indagine della Dia catanese che si occupò dei neo nascenti circoli di Forza Italia perché, a quanto possiamo sapere, emergevano esponenti politici “vicini” alle cosche mafiose.
Quali sviluppi ebbe questa indagine non ci è dato saperlo.
Del resto questo contesto è emerso in tutta la sua gravità durante lo svolgimento del processo denominato ‘ndrangheta stragista’ che si è svolto a Reggio Calabria con l’accusa sostenuta dal dott. Giuseppe Lombardo
La condanna definitiva: Dell’Utri garante esterno della mafia
La veridicità delle rivelazioni di Ilardo trova comunque un riscontro formale nella sentenza della Corte di Cassazione del 9 maggio 2014, diciotto anni dopo il barbaro assassinio di Luigi Ilardo.
Sentenza che condannò Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
La sentenza ha stabilito che Dell’Utri, nella sua qualità di dirigente Fininvest e mediatore politico, ha contribuito a mantenere e rafforzare l’accordo tra Cosa Nostra e ambienti imprenditoriali e politici, fornendo all’organizzazione mafiosa una stabile disponibilità a recepire e favorire le sue istanze.
Sempre dalla sentenza della suprema Corte di Cassazione si legge che dal 1974 al 1992 sarebbe stato operativo un patto tra Silvio Berlusconi e Cosa Nostra.
In particolare la Corte ritiene definitivamente provato che nel 1974 avvenne, a Milano, un incontro, a cui partecipò anche Silvio Berlusconi, che rappresentò una delle tappe fondamentali del rapporto tra Marcello Dell’Utri e Cosa Nostra.
Secondo quanto accertato dai giudici, Dell’Utri, già vicino agli ambienti imprenditoriali milanesi e in contatto con esponenti mafiosi, favorì l’organizzazione di una riunione con personaggi di primissimo piano della mafia siciliana: Stefano Bontate, Mimmo Teresi e Gaetano Cinà
L’incontro aveva due finalità:
Offrire protezione a Silvio Berlusconi, all’epoca importante imprenditore del Nord Italia, dai sequestri di persona, fenomeno allora molto diffuso;
Stabilire un canale di collaborazione tra Cosa Nostra e ambienti imprenditoriali e politici emergenti.
In quella riunione, riferisce la sentenza, fu pattuito che Cosa Nostra avrebbe protetto Berlusconi in cambio di una disponibilità a favorire gli interessi dell’organizzazione.
Non si trattava di una semplice tutela personale: il patto prevedeva, come contropartita, l’apertura futura di relazioni e vantaggi economico-politici.
Come espressione concreta di quell’accordo, fu deciso di collocare un uomo fidato della mafia nella villa di Arcore.
Fu così che Vittorio Mangano, affiliato a Cosa Nostra, in particolare alla famiglia mafiosa palermitana di Porta Nuova, venne formalmente assunto come “stalliere“.
Ma, come sottolinea la Cassazione, il vero compito di Mangano non era la gestione dei cavalli.
La sua presenza ad Arcore serviva a:
Garantire la protezione di Berlusconi,
Costituire un punto di collegamento diretto tra Cosa Nostra e l’ambiente milanese in cui Berlusconi si muoveva.
Il comportamento di Dell’Utri, ribadisce la Suprema Corte, non fu episodico, ma si inquadrò in una strategia stabile e consapevole di mantenimento dei rapporti tra l’organizzazione mafiosa e gli ambienti imprenditoriali e politici del Nord.
In sostanza, attraverso l’accordo siglato a Milano nel 1974 e il successivo insediamento di Mangano ad Arcore, Dell’Utri rese un contributo causale effettivo alla protezione degli interessi di Cosa Nostra, consolidando un canale fiduciario tra mafia e potere economico.
La verità spezzata che Ilardo aveva iniziato a raccontare
Il racconto di Luigi Ilardo non si fermava a Dell’Utri.
Nel suo sguardo — lucido e tragico — il nome di Dell’Utri era solo il primo passo di una mappa molto più ampia, che collegava la mafia ai palazzi del potere romano e ai salotti buoni della finanza.
Con l’omicidio di Luigi Ilardo, avvenuto il 10 maggio 1996, si spense la voce che poteva raccontare i retroscena più scottanti della Seconda Repubblica.
Ma la rete di contatti e protezioni che Gino aveva cominciato a svelare non si esaurisce qui.
Altri nomi, altre alleanze oscure saranno presto evocati.
Perché il patto — quello vero — non era stato ancora raccontato tutto.
Ottimo lavoro