
Un Tradimento Fatale, parte prima
In quell’ambiente dove i confini tra mafia, massoneria e istituzioni sono indefinibili, perché confusi, Luigi Ilardo vi aveva nuotato fin dagli anni ‘70. Ilardo in poco tempo, divenuto uomo d’onore dopo la morte di don Ciccio Madonia, scalò i vertici di Cosa Nostra fino a diventare un punto di riferimento per Bernardo Provenzano nella provincia di Catania. Ma proprio quel legame con le istituzioni, costruito attraverso la collaborazione con il colonnello Michele Riccio, decretò la sua condanna a morte.
La notte del 10 maggio 1996, Ilardo venne assassinato in un agguato, pochi giorni prima di poter ufficializzare la sua collaborazione con la magistratura. Il suo omicidio non fu solo un’esecuzione mafiosa, ma il risultato di una fuga di notizie che ne decretò la fine. Ma chi tradì Ilardo? E chi diffuse la notizia della sua collaborazione?





Le Dichiarazioni dei Collaboratori di Giustizia
Proviamo a mettere i tasselli del puzzle in una riflessione quanto più coerente possibile partendo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Grazie ai cosiddetti pentiti che oggi possiamo ricostruire la storia di Luigi Ilardo e far emergere quelle verità che per troppo tempo sono state sepolte.
Un dato emerge con assoluta chiarezza dalla sentenza di primo grado: Tutti i collaboratori concordavano su un punto: Ilardo era stato tradito da una fuga di notizie che aveva fatto trapelare il suo ruolo di informatore delle forze dell’ordine.
Altro dato che emerge dalle parole dei cosiddetti pentiti di mafia e che dietro quell’omicidio ci sta una vasta rete di interessi e tradimenti che decretarono la sentenza di morte per l’unico infiltrato che Cosa Nostra avesse mai conosciuto all’interno dei suoi ranghi.
I racconti dei collaboratori di giustizia non sono usciti dalla penna di un maestro dell’horror ma sono consacrate nella sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Catania il 21 marzo del 2017 e da cui abbiamo tratto le nostre riflessioni[1]
Antonino Giuffrè iniziò la sua collaborazione con la giustizia nel 2002. Le sue dichiarazioni furono rese in più occasioni tra il 2002 e il 2014 e dipingono un quadro chiaro sulla decisione di eliminare Ilardo. Il collaboratore raccontò di aver sentito all’interno dell’organizzazione che Ilardo era stato segnalato come confidente delle forze dell’ordine. Secondo Giuffrè, l’omicidio avvenne con il benestare di Bernardo Provenzano e l’avallo di Giuseppe Madonia, figure di spicco di Cosa Nostra. Ilardo era stato un uomo vicino a Provenzano e il boss, poco prima della sua morte, aveva iniziato a sospettare che fosse un traditore
“a un certo punto la macchina si era bloccata”, suggerendo che lo stesso Provenzano avesse avuto delle perplessità sul delitto e avesse voluto approfondire prima di dare l’ok”
Lo stesso Giuffrè spiegherà che lo stesso Provenzano aveva saputo da fonti sue all’interno della Procura di Caltanissetta che Ilardo stava collaborando con la giustizia ma che questa notizia doveva essere tenuta segreta all’interno di Cosa Nostra.
Ma al peggio non c’è mai fine perchè lo stesso Giuffre renderà noto un particolare davvero agghiacciante poichè dal suo racconto emerge che il Provenzano ebbe a chiedergli
di trovare un posto non lontano dal covo dove si era rifugiato il capo di Cosa Nostra, ben nascosto, dove invitare Ilardo per poterlo uccidere durante il secondo appuntamento
appuntamento a cui stranamente e immotivatamente, secondo il racconto che ne fa il colonnello Riccio, il generale Mori spingeva tramite richieste insistenti al colonnello veneto.
Giovanni Brusca, uno dei più spietati killer di Cosa Nostra, condannato per la strage di Capaci, riferì che a fine aprile 1996 aveva saputo da Aurelio Quattroluni che Madonia aveva ordinato l’omicidio di Ilardo. Brusca, sorpreso dalla decisione improvvisa, scrisse un biglietto a Provenzano per chiedere spiegazioni.
La risposta del boss arrivò troppo tardi: nel “pizzino” si leggeva che Provenzano voleva guadagnare tempo per approfondire la questione, ma nel frattempo Ilardo era già stato assassinato
Brusca rivelò anche il nome dell’uomo che aveva organizzato l’esecuzione: Maurizio Zuccaro, esponente della famiglia Santapaola. Il commando che eliminò Ilardo non aveva avuto il via libera di Provenzano, ma eseguì comunque il mandato di Madonia
La Causa Santo e il ruolo di Maurizio Zuccaro
Un’altra voce che conferma questa ricostruzione è quella di Santo La Causa, ex affiliato ai Santapaola e diventato collaboratore di giustizia nel 2012. La Causa indicò Zuccaro come il regista dell’omicidio, con l’appoggio di Giuseppe Madonia e Vincenzo Santapaola. Secondo il collaboratore, Ilardo era stato percepito come un pericolo troppo grande per essere lasciato in vita
Il testimone oculare Eugenio Sturiale
Uno degli elementi più inquietanti emersi dall’indagine è il racconto di Eugenio Sturiale, che abitava vicino a Ilardo e fu testimone dell’agguato. Sturiale identificò i sicari: si trattava di uomini legati a Maurizio Zuccaro e ai Santapaola, che utilizzarono due moto e una Ford Escort bianca per compiere l’omicidio
Di Raimondo Natale e la freddezza dei Madonia
Le dichiarazioni di Natale Di Raimondo aggiungono ulteriori dettagli sulle circostanze dell’omicidio. L’ex affiliato Santapaola riferì che aveva appreso della morte di Ilardo mentre si trovava a Roma per un’udienza del processo Orsa Maggiore. Al suo ritorno a Catania, Enzo Santapaola gli aveva spiegato che non era andato all’udienza perché doveva “occuparsi della questione”. Un’espressione che lasciava pochi dubbi sul fatto che fosse stato direttamente coinvolto nell’organizzazione dell’assassinio
Ciro Vara e Carmelo Barbieri: il ruolo delle informazioni interne
Altri collaboratori come Ciro Gaetano Vara e Carmelo Barbieri confermarono la teoria secondo cui Ilardo era stato isolato all’interno di Cosa Nostra già alcuni mesi prima dell’omicidio. L’ordine di ucciderlo, riferirono, era arrivato direttamente da Giuseppe Madonia, che lo considerava un traditore
Che il tradimento di Ilardo fosse conosciuto da Cosa Nostra crediamo sia un dato di fatto, così come crediamo che non ci siano dubbi che l’omicidio compiuto la sera del 10 maggio del 1996 sia un’esecuzione anomala che non seguì neanche le regole di Cosa Nostra seppur compiuto dalla mafia.
Basti pensare per un attimo al gotha di Cosa Nostra dell’epoca: Provenzano, Giuffrè, Brusca e Madonia da una parte e dall’altra e un commando guidato da un illustre sconosciuto qual’era Maurizio Zuccaro che superando le più alte cariche della cupola mafiosa e senza preventiva autorizzazione si permette di eseguire l’omicidio di Luigi Ilardo, nipote di don Ciccio Madonia, cugino di Piddu Madonia, una delle famiglie più influenti all’interno dell’organizzazione mafiosa. Ilardo che tra le altre cose era il punto di riferimento di Bernardo Provenzano a Catania.
Ci sembra davvero inverosimile, per chi conosce le dinamiche che muovono l’organizzazione mafiosa Cosa Nostra, che a fronte di questi nomi eccellenti, capi indiscussi della cupola, un personaggio di secondo piano qual’era Maurizio Zuccaro poteva compiere un omicidio di tale spessore.
Zuccaro che tra le altre cose era sconosciuto a Brusca e Giuffrè come confermato da loro stessi.
Qualcosa in questa storia non torna!
Rimane a questo punto l’interrogativo a cui dare una risposta basadoci sempre sulle carte processuali e sui documenti che abbiamo a disposizione
CHI TRADI’ ILARDO? CHI MISE IN GIRO LA VOCE CHE ILARDO STAVA PARLANDO CON IL COLONNELLO VENETO MICHELE RICCIO?
Note
[1] In questa riflessione ci rifacciamo alla Sentenza sull’omicidio Ilardo emessa Corte d’assise di Catania il 21 marzo del 2017