Luigi Ilardo, il testimone scomodo che lo Stato ha lasciato morire
A 29 anni dalla sua uccisione, il ricordo amaro di Mario Ravidà
Un uomo solo contro il sistema
Luigi Ilardo viene assassinato il 10 maggio 1996, in un agguato mafioso, pochi giorni dopo aver deciso di collaborare ufficialmente con la giustizia. Era stato infiltrato per anni dentro Cosa nostra per conto di una parte dello Stato, ottenendo risultati straordinari nella lotta al crimine organizzato: arresti eccellenti, informazioni decisive, la possibilità concreta di infliggere un colpo mortale alla mafia.
Ma tutto questo non è bastato. O forse è stato proprio questo a condannarlo.
Ilardo è stato fermato prima. Le sue dichiarazioni, se fossero state formalizzate e rese pubbliche, avrebbero smascherato complicità gravissime tra mafia e Stato, e non solo quello italiano. Avrebbero aperto squarci profondi su delitti e stragi rimaste irrisolte, sulle verità sepolte dai segreti di Stato, su quelle responsabilità altissime che da trent’anni vengono nascoste all’opinione pubblica.
Chi aveva interesse a fermarlo?
Secondo l’ex sostituto commissario della DIA di Catania, Mario Ravidà, Ilardo è stato eliminato perché le sue parole avrebbero potuto stravolgere gli equilibri di potere. Ilardo non è morto solo per mano mafiosa: l’ordine di ucciderlo — afferma — è arrivato da quei settori dello Stato che spesso definiamo con comodo “deviati”. Ma dietro questa parola si celano strutture di potere ben precise, capaci di decidere la vita e la morte di un uomo, come accaduto in altri casi, in cui vittime furono non collaboratori di giustizia, ma onesti servitori dello Stato.
Il punto in comune? Erano arrivati troppo vicino alla verità. A quelle verità che indicano nomi, cognomi e mandanti veri di delitti e stragi rimaste senza colpevoli. Verità che nessuno vuole far emergere.
Un’Italia in ostaggio di interessi esterni
Ilardo è stato ucciso anche per ciò che rappresentava: un uomo in grado di dimostrare che le stragi e le coperture non sono solo italiane, ma che si muovono in un contesto internazionale. Un contesto in cui l’Italia è strategica per gli interessi americani, crocevia di guerre, basi militari, equilibri geopolitici. In questo quadro, è necessario che al governo ci siano uomini obbedienti a volontà straniere, non certo a quella del popolo italiano.
Falcone parlava di “menti raffinatissime”. Ed è a loro che Ilardo dava fastidio. Ed è a loro che oggi ancora si impedisce alla verità di venire a galla.
La repressione dei giusti
Questa volontà criminale di impedire il cammino della verità è ancora pienamente operativa. Mario Ravidà ne ha fatto esperienza diretta, come altri uomini fedeli ai loro giuramenti alla Repubblica. Uomini non piegati, che sono stati isolati, trasferiti, calunniati, licenziati. Alcuni perfino arrestati. Eppure non hanno mai smesso di essere leali alla loro coscienza, e non hanno mai nascosto nulla di ciò che le loro indagini rivelavano.
Ma questi uomini si sono scontrati con interessi superiori, che li hanno ostacolati in ogni modo.
Le responsabilità vere
Le colpe non sono solo di singoli incapaci o “utili idioti”, messi nei posti chiave per bloccare le inchieste. Le responsabilità sono più in alto. Sono sistemiche. Sono parte di un disegno preciso di potere e di silenzio.
E Luigi Ilardo questo lo sapeva. Ne era perfettamente consapevole. Eppure si è fidato dello Stato buono. Si è fidato di chi lo aveva accompagnato nella sua infiltrazione. Si è fidato quando, fallita la cattura di Provenzano — fallimento non casuale — venne portato di fronte a uomini e donne delle istituzioni che ancora oggi qualcuno considera “al di sopra di ogni sospetto”, ma che non lo hanno neanche verbalizzato, come imponeva la legge.
Lo hanno invece rimandato a Catania, dove lo attendeva la morte.
Una verità dimostrabile
Questa è la storia. Una storia che, se solo si volesse, potrebbe essere dimostrata in qualsiasi momento. Ma manca la volontà politica e giudiziaria di farlo.
Luigi “Gino” Ilardo è stato un uomo coraggioso, scomodo, tradito. Un uomo che ha pagato con la vita la scelta di stare dalla parte giusta.
R.I.P. uomo coraggioso.
R.p. Gino solo chi ti ha conosciuto nella tua quotidianità sa che spessore di uomo e padre di famiglia eri con quella tua determinazione per dare alla tua famiglia un futuro migliore nonostante il tuo debito pagato con lo Stato ( 10 anni di carcere duro) rischiando assieme più di una volta ma portando sempre a compimento quello che grazie alle tue preziose indicazioni portavamo a termine con il Col Riccio, operazioni compiute in un anno che nessun organo investigativo ha compiuto nei miei 42 anni di onorato servizio Dovunque tu sia R.I.P.