«Le stragi? Tutte con lo stesso mandante. A Bologna, come a Palermo»

«Bologna, Capaci, via D’Amelio: stessa regia, stesso mandante»

Intervista esclusiva a Mario Ravidà, ex sostituto commissario della DIA di Catania, sulla sentenza della strage del 2 agosto 1980

2 agosto 1980, ore 10.25.

La sala d’attesa della stazione di Bologna esplode. Ottantacinque vittime, oltre duecento feriti. Un massacro. Un attentato che ha squarciato non solo le vite di decine di famiglie, ma anche l’anima di un Paese.
A distanza di oltre quarant’anni, la sentenza di condanna del 2020 e i successivi approfondimenti processuali hanno confermato quanto molti sospettavano: la bomba fu il frutto di una strategia eversiva legata a doppio filo con strutture segrete e apparati deviati, connivenze internazionali e poteri italiani collusi.

Uno scenario che va ben oltre Bologna. Lo sostiene con forza Mario Ravidà, storico ex sostituto commissario della Direzione Investigativa Antimafia, uno degli uomini che ha partecipato a operazioni delicate nella Sicilia degli anni più bui. Ravidà non ha mai smesso di cercare la verità, anche dopo il pensionamento. In questa intervista rilasciata a www.luigiilardo.it, va dritto al punto: le stragi politiche e quelle di mafia sono parte della stessa, unica strategia.

Dottor Ravidà, cosa rappresenta la sentenza sulla strage di Bologna secondo lei?

«Una sentenza devastante. Ma non per la verità: per gli ambienti che hanno sempre colluso con poteri esteri, con strutture occulte italiane e internazionali che hanno operato – e forse ancora operano – per mantenere governi “amici” in Italia, ostacolando l’affermarsi di forze progressiste, di sinistra.
È una sentenza che mette in imbarazzo decenni di storia repubblicana e chi ha gestito i rapporti tra Stato, intelligence e criminalità organizzata.»

Sta dicendo che la strage del 2 agosto 1980 non è un caso isolato?

«Assolutamente no. Tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia sono collegate da una medesima logica: la difesa di assetti di potere. Non importa se le chiamiamo “stragi politiche” o “stragi di mafia”. Cambia solo l’esecutore materiale. Le motivazioni profonde sono le stesse: destabilizzare, eliminare chi dava fastidio, fermare magistrati, investigatori e testimoni che si stavano avvicinando a quelle verità inconfessabili.
La verità è una: la strategia della tensione non è mai finita. Ha solo cambiato volto.»

Quali erano, secondo lei, gli obiettivi delle stragi?

«Erano molteplici. Primo: spaventare l’opinione pubblica. Secondo: pilotare la politica interna. Terzo – e forse più importante – neutralizzare uomini delle Istituzioni che avevano cominciato a indagare davvero. Penso ai giudici morti, agli investigatori uccisi, ai giornalisti fatti fuori o screditati.
A Bologna come a Palermo, a Capaci come a via D’Amelio, ci sono i segni di un disegno unico. Basta volerli leggere.»

Lei parla anche di finanziamenti dall’estero…

«Sì. Parliamo di strutture segrete d’oltreoceano, che hanno finanziato, sostenuto e – in certi casi – coperto i responsabili di questi crimini. Parlo di intelligence parallele, di reti massoniche deviate, di apparati statali che hanno agito al di sopra della sovranità nazionale.
Non dimentichiamo che molte delle sigle dietro le stragi erano interconnesse con Gladio, con la NATO, con settori di intelligence straniera e con mafie “utili” al mantenimento di determinati equilibri geopolitici

Cosa impedisce di arrivare a una verità piena?

«Il fatto che molti insabbiamenti, depistaggi, archiviazioni e ritardi siano funzionali a proteggere quella verità. Ogni volta che ci si avvicina troppo, qualcuno interviene. E chi prova a deviare il corso della giustizia dovrebbe essere – almeno questo – attenzionato e indagato per le sue reali appartenenze e dipendenze.
Lo ripeto: chi allontana il Paese dalla verità non lo fa mai per caso. C’è sempre un fine, un interesse, un mandante.»

Una conclusione, per chi ci legge.

«Non possiamo permetterci di considerare queste verità “vecchie” o “giudiziarie”. Sono verità vive, che riguardano ancora il presente. Finché non smascheriamo fino in fondo questi intrecci tra mafia, servizi, politica e poteri stranieri, il nostro Stato sarà zoppo. Non libero. E le stragi, anche se non si ripetono con il tritolo, continueranno con altri strumenti. Ma sempre con lo stesso fine: il controllo del potere

🟥 Per approfondimenti leggi anche: Il nostro dossier sulla strategia della tensione – in aggiornamento continuo.

Questo articolo ha un commento

  1. Graziana Gatto

    Mi vien da pensare, manca all’ appello un’ altro apparato intoccabile il Vaticano
    Gli scandali che hanno coinvolto il Vaticano, lo Stato italiano e la mafia sono complessi e si intrecciano con vicende finanziarie, politiche e criminali. Tra i più noti, si annoverano il caso del Banco Ambrosiano e il ruolo dello IOR (Istituto per le Opere di Religione), le operazioni finanziarie legate a Cosa Nostra e il coinvolgimento di personaggi come Roberto Calvi e Michele Sindona Renatino De Pedis boss della Magliana legato alla vicenda di Emanuela Orlandi.

I commenti sono chiusi.