Va subito detto che in merito alla morte di Luigi Ilardo è intervenuta la sentenza della prima sezione penale della Cassazione, emessa il 1° ottobre del 2020. La Corte, presieduta da Monica Boni, ha definitivamente condannato all’ergastolo Giuseppe Madonia (cugino dell’Ilardo) e il boss catanese Vincenzo Santapaola come mandanti dell’omicidio.
Il carcere a vita è toccato anche a Maurizio Zuccaro, in qualità di organizzatore del delitto ed a Orazio Benedetto Cocimano, in qualità di esecutore materiale.
Per lo stesso delitto, va ulteriormente precisato, il gup di Catania, Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo, ha condannato, il 19 maggio del 2014, con il rito abbreviato, a 13 anni di reclusione, il boss pentito Santo La Causa che aveva organizzato dei sopralluoghi per compiere l’agguato ma che poi fu superato nella commissione del delitto a causa di un’improvvisa accelerazione dovuta, verosimilmente, al sospetto che Ilardo avesse intenzione di collaborare con la giustizia.
Pur se ancora non si sa tutto su questa tragica vicenda che ha posto fine alla vita di Ilardo, la sentenza della Cassazione può comunque vedersi come un piccolo passo avanti nella ricerca di giustizia e verità.
Nei primi due gradi di giudizio, chiusi con le sentenze del 21 marzo 2017 e del 30 aprile 2019, si era ricostruita l’intera vicenda dell’Ilardo che per tre anni era stato, come vedremo nel racconto, confidente e infiltrato all’interno di Cosa nostra per conto del colonnello dei carabinieri Michele Riccio.
Tre anni, durante i quali, sotto il nome di “fonte Oriente” aveva fatto arrestare, come vedremo più avanti, boss di Cosa nostra di un certo spessore e rilievo all’interno dell’organizzazione mafiosa siciliana. E sempre grazie alle dichiarazioni di Ilardo che si sarebbe potuti arrivare alla cattura di Bernardo Provenzano, a Mezzojuso, il 31 ottobre del 1995, ovvero undici anni prima della sua cattura avvenuta nel 2006.
Dai documenti processuali sembra già emergere una verità assoluta: quando Luigi Ilardo venne ucciso, il 10 maggio del 1996, lo Stato perse una delle voci più sconvolgenti, dopo Tommaso Buscetta, all’interno di Cosa Nostra. Una voce che avrebbe potuto scardinare un sistema criminale di cui faceva parte anche la mafia siciliana.
A darci conforto è la stessa sentenza della Cassazione che afferma la provata disponibilità dell’Ilardo a fornire una collaborazione agli organi inquirenti, dapprima informale, permettendo il raggiungimento di obiettivi di particolare rilievo compreso l’individuazione del nascondiglio dell’allora latitante Bernardo Provenzano.
In altri termini Ilardo, uscito dal carcere, riuscì a ritornare nelle grazie del cugino, Giuseppe Madonia, boss mafioso che comandava la famiglia mafiosa di Caltanissetta. Poi avrebbe ufficializzato il suo pentimento cosa che, purtroppo, non accade mai perché Ilardo venne ucciso la sera del 10 maggio del 1996 facendo sostenere in molti la convinzione che l’ex uomo d’onore catenese fosse un pentito troppo scomodo non solo per Cosa nostra.
Difatti come scrivono i giudici della Cassazione “pur non essendo dimostrata la modalità specifica della “diffusione” della notizia della vicinanza dell’Ilardo alle forze dell’ordine” risulta del tutto “congruo” che la volontà dei Madonia di “posare” Ilardo si inquadra nella volontà di uccidere un soggetto divenuto scomodo.
In altri termini, Ilardo doveva essere eliminato in quanto confidente delle forze dell’ordine. Su questo non vi è nessun dubbio. I misteri, semmai, ruotano attorno alla fuga di notizie, circa le confidenze che Ilardo stava fornendo a colonnello veneto Riccio.
Fughe di notizie, verosimilmente, provenienti da ambienti istituzionali, che equivalsero ad una sentenza di morte per l’ex pentito catanese.
Tra l’altro, tra le righe della sentenza, vengono ripercorsi alcuni fatti, tra cui l’esistenza di un depistaggio tutto interno a Cosa nostra per non rendere reali i motivi che indussero il cugino di Ilardo, Piddu Madonia, a volere la sua morte.
Difatti si preferì addossare ad Ilardo la responsabilità dell’omicidio Famà, fatto che appariva correlato all’omicidio della moglie di Benedetto Santapaola. Tutto ciò avrebbe comportato “la sicura adesione dei Santapaola al progetto dell’eliminazione di Gino Ilardo”.
La sentenza della Cassazione difatti aggiunge
“anche la introduzione del movente pasticcio, rappresentato dal coinvolgimento dell’Ilardo nell’omicidio dell’avv. Famà (ucciso nel 1995) non è estraneo alle logiche operative del consorzio mafioso ispirati alla fregola dell’omertà interna”.
Ciò equivale a dire che l’esistenza di una collaborazione, tra l’ex vice rappresentante della famiglia mafiosa di Caltanissetta con gli apparti investigativi, poteva essere conosciuta solo da pochi soggetti di vertice. Ecco le ragioni depistanti sulle reali motivazioni dell’uccisione di Luigi Ilardo.
Gli aspetti mai chiariti
Uno dei misteri che non ha trovato ancora risposta può essere racchiuso nella mancata individuazione di chi si rese responsabile della fuga di notizie in merito all’imminente pentimento dell’Ilardo tale da provocare un’indubbia accelerazione del suo barbaro assassinio.
Dietro quell’omicidio si nascondono elementi esterni a Cosa nostra che hanno avuto un interesse per la morte di Ilardo?
Perché il 31 ottobre del 1995 a Mezzojuso, come vedremo nei dettagli più avanti, l’attività di infiltrato di Luigi Ilardo non ebbe il suo naturale epilogo con l’arresto di Bernardo Provenzano?
Perché dell’incontro avvenuto a Roma il 2 maggio del 1996, quando Ilardo cominciò a rendere le prime dichiarazioni innanzi ai procuratori capo di Palermo e Caltanissetta che all’epoca erano rispettivamente Gian Carlo Caselli e Giovanni Tinebra, alla presenza anche dell’allora sostituto presso la procura di Palermo Teresa Principato assieme ai vertici dei Ros, non venne redatto nessun verbale?
Perché Luigi Ilardo non fu sottoposto a nessuna misura di protezione e fu lasciato solo con il suo interlocutore colonnello Michele Riccio?
La banale risposta che tale scelta fu determinata dall’Ilardo che voleva sistemare vecchie vicende familiari prima di pentirsi ufficialmente non tiene. Semmai siamo di fronte ad una “leggerezza” visto il peso e l’importanza che rivestiva l’ex uomo d’onore della famiglia nissena.
Una cosa è certa nell’omicidio dell’ex confidente catanese si registra un’accelerazione dell’ordine di morte e la sensazione di affermare che quell’omicidio si concretizzò ancora prima che Bernardo Provenzano desse il suo benestare a chiudere la bocca per sempre ad Ilardo è molto forte.
Del resto ad organizzare il delitto fu un illustro sconosciuto, Maurizio Zuccaro, che superando i nomi più importanti del gotha di Cosa nostra del calibro di Provenzano, Giuffrè, Brusca, Madonia e Santapaola e senza preventiva autorizzazione, si permise il lusso di uccidere il capo della provincia mafiosa di Caltanissetta.
Chi volle allora la morte di Luigi Ilardo?
Alcuni collaboratori di giustizia di un certo spesso come Giovanni Brusca e Antonino Giuffrè hanno parlato di “soffiate” che sarebbero giunti a Cosa nostra sulla doppia identità di Ilardo. Addirittura Giuffrè, l’ex boss di Caccamo, parla di fuga di notizie interne ad ambienti giudiziari di Caltanissetta.
La figlia di Ilardo, Luana, in commissione antimafia, ebbe a prospettare uno scenario raccontato da un nuovo collaboratore di giustizia, Pietro Riggio, ex agente di polizia penitenziaria
«L’ordine di fare ammazzare mio padre provenne dal colonnello Mario Mori, che avrebbe incaricato di occuparsene un capitano dei carabinieri in servizio alla caserma principale di piazza Giovanni Verga a Catania, caserma peraltro che torna spesso in forma ambigua nella vicenda Ilardo»

Conclusione
Va peraltro detto che l’allora colonnello Mario Mori non è stato mai indagato per l’omicidio Ilardo ma sottoposto a processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Procedimento che si è chiuso, in via definitiva, con l’assoluzione di Mario Mori.
Ad ogni modo la vicenda Ilardo merita una visione complessiva dell’accaduto. Non siamo di fronte ad un delitto di mafia. Non siamo di fronte alla storia di un mafioso qualunque.
Siamo di fronte ad un personaggio che sarebbe stato in grado di riferire sui rapporti tra mafia e ‘ndrangheta. Sugli strani e criminali intrecci tra esponenti della massoneria e l’eversione di destra.
Siamo di fronte ad un personaggio che aveva fatto il nome di Marcello Dell’Utri, nel periodo in cui si iniziano a delinearsi i primi effetti della trattativa Stato e mafia, rispetto alla quale va doverosamente precisato che l’ex senatore di Forza Italia è stato definitivamente assolto con sentenza della Cassazione.
Ilardo parla anche dei rapporti tra massoneria e servizi segreti deviati. Parla di un summit tenuto a Palermo tra boss e gran maestri delle logge massoniche.
Tutto ciò verosimilmente determinò l’accelerazione della morte di Ilardo che era, indubbiamente, a conoscenza degli intrecci tra mafia, massoneria e pubbliche istituzioni proprio in quella fase in cui, come emergerà negli anni successivi, Cosa nostra aveva cercato di rifarsi un nuovo look politico.
Ma quel che è più rilevante, Ilardo, era riuscito a portare i carabinieri a un passo dalla cattura di Binnu u tratturi ovvero Bernardo Provenzano.
In definitiva siamo di fronte ad una mina vagante ad una bomba ad orologeria che è stata disinnescata il 10 maggio del 1996 a Catania, dopo che Ilardo aveva deciso di ufficializzare la sua collaborazione con l’autorità giudiziaria ed entrare nel programma di protezione previsto per i pentiti tanto che, otto giorni prima di quel 10 maggio 1996, si era tenuta, come vedremo nei particolari, una riunione a Roma per raggiungere tale obiettivo insieme ai vertici del Ros romano e delle procure di Palermo e Caltanissetta.
Ma la sentenza di morte era già stata pronunciata!