Terza parte – “Lo Stato che non voleva sapere” Le rivelazioni di Mario Ravidà sull’omicidio Ilardo e molto altro
“Se solo si fosse voluto indagare davvero, oggi avremmo una verità storica. Ma qualcuno ha voluto solo cancellarla.” – Mario Ravidà
Dentro il cuore nero del sistema
Questa non è più una semplice storia di mafia. Quella che emerge nei capitoli finali dell’intervista a Mario Ravidà è una storia di potere, ombre, e sabotaggi dall’interno.
Una storia dove gli assassini non si nascondono soltanto nei vicoli di Catania, ma anche nei silenzi delle procure, nei comandi deviati, nei corridoi di certi palazzi dello Stato.
Il racconto riparte da Mezzojuso, dove Riccio aveva individuato il covo di Provenzano. Ma l’arresto non avvenne mai.
Poi arriva il punto di non ritorno: l’incontro a Roma, dove Ilardo accusa apertamente Mori di conoscere i mandanti politici delle stragi.
Nessuno lo verbalizza. Nessuno lo protegge. Il giorno dopo è morto.
E mentre il sangue si asciuga sull’asfalto di Catania, parte la vendetta istituzionale: Riccio viene arrestato, le sue agende vengono cercate come fossero mine vaganti. E intanto, l’intera struttura investigativa che aveva osato avvicinarsi troppo alla verità, viene smantellata.
In queste pagine, Ravidà non denuncia più una zona grigia. Denuncia uno Stato parallelo. Un meccanismo che, al posto di combattere la mafia, la protegge. Che, invece di ascoltare chi rischia la vita per parlare, lo silenzia. Che, quando ha tra le mani la verità, la nasconde sotto strati di fango e veleni.
Questa non è più una testimonianza.
È un atto di accusa.
E ogni lettore, da questo punto in poi, non può più fingere di non sapere.
Operazione Chiara Luce
Chiaramente, dopo questo fatto, dell’”avviso” ricevuto da Pappalardo, contravvenimmo all’ordine e continuammo a frequentare e sentire Riccio principalmente proprio per finalizzare al meglio l’operazione “Chiara Luce”, delegatoci dall’Autorità Giudiziaria e che culminò con l’arresto dei vertici del clan Santapaola e di numerosi affiliati.
Clan in quel momento retto da Aurelio Quattroluni, il quale era stato identificato e indagato da noi della DIA di Catania, grazie alle indicazioni fornitoci da Riccio che le aveva apprese precedentemente da Ilardo il quale gli aveva confidato che “l’attuale reggente del clan Santapaola a Catania era tale Lello che lavorava alle poste e che aveva un precedente per favoreggiamento personale ad un latitante”.
Con tali notizie, non ci fu difficile identificare in Aurelio Quattroluni il postino.
Posto sotto controllo telefonico e piazzata una microspia in un’officina, luogo d’incontro di esponenti del clan, riuscimmo ad intercettare una riunione operativa mafiosa dove si facevano i conti dei soldi accumulati nella “bacinella” comune, per pagare stipendi agli affiliati e alle famiglie dei detenuti, oltre agli introiti derivati da provento illecito di estorsioni ed altro.
Questo e molto altro ci permise di fare un’informativa di reato per decine di persone affiliate al clan. Informativa consegnata all’Autorità Giudiziaria che emetteva le ordinanze di custodia cautelare per i mafiosi. Tutti poi condannati sino in Cassazione a pesanti pene detentive.
Depotenziamento della Dia
L’ex commissario catanese, prima di riprendere il filo del racconto con i misteri che stanno attorno all’eliminazione di Luigi Ilardo denuncia quella che, secondo l’ex commissario Ravidà, sia stata una politica messa in atto e finalizzata a depotenziare la Dia
Altro fatto che non ho mai saputo darmi una risposta, se non quella che si è voluto depotenziare la D.I.A, fu quando verso il 2006/2009 arrivarono dal nazionale D.I.A. nuove disposizioni sui compiti della struttura e cioè limitare le attività investigative previlegiando le attività preventive.
Ancora oggi non mi spiego come si può fare una vera lotta alla mafia e alle sue connessioni/collusioni, con le attività preventive.
La D.I.A. nasce in un momento di emergenza e cioè dopo gli attentati contro Falcone e Borsellino.
Nasce da un progetto di Falcone che indicò in un vero Ufficio interforze il contrasto alle attività mafiose.
Finita la fase emergenziale, credo si sia volutamente depotenziato un Ufficio investigativo forte che poteva realmente, come aveva dimostrato in anni precedenti, sconfiggere le mafie e i loro collusi.
Forse, su questa linea di “normalizzazione alla lotta alla mafia”, trovano le risposte del perché uomini veramente capaci, come lo sono Di Matteo, Scarpinato, Lombardo, Gratteri, i Giudici di Firenze e molti altri che si sono evidenziati al contrasto mafioso e i legami politico-mafioso-massonico, vengono continuamente avversati e messi nelle condizioni di non indagare come dovrebbero e potrebbero fare.

I mandanti occulti dell’omicidio Ilardo
“Parecchi degli attentati fatti in Italia sono stati effettuati per volere politico. E Lei, Comandante Mori, lo sa benissimo.”
In merito ai mandanti occulti dell’omicidio Ilardo, si devono fare necessariamente delle ricostruzioni, partendo dal processo stato-mafia, poichè in quel processo emerge, da una lunga deposizione “eclatante” fatta dal colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo, già appartenente ai servizi segreti, che in quell’occasione veniva incaricato dai pubblici ministeri di effettuare delle ricerche per delineare meglio la figura di Mario Mori.
Ebbene, in tale contesto emerge come Mario Mori sia: “collegato con uomini appartenenti alla CIA, che in gioventù, da giovanissimo Ufficiale, faceva parte del SID e avrebbe avuto contatti con estremisti di estrema destra, ed in particolare con un’organizzazione golpista veneta chiamata “rosa dei venti”.
Questa organizzazione fu attenzionata e indagata dal Giudice Tamburino insieme a parecchi esponenti dei Servizi Segreti dell’epoca.
Sempre in tale contesto, Tamburino, richiese anche una foto del Mario Mori evidentemente per mostrarla a qualche teste.
“Rosa dei venti”, fu anche quella organizzazione che avrebbe organizzato e messo in atto gli attentati in anni 60/70/80. Immediatamente dopo questo episodio, Tamburino fu trasferito e il fascicolo su “rosa dei venti” andò a finire a Roma e unificato incautamente, poiché’ le due organizzazioni operavano in contesti diversi, all’organizzazione golpista di Valerio Borghese.
Chiaramente il prosieguo non trovò sbocchi giudiziari. Per tale motivo il Giudice di Roma che si era occupato di tale inchiesta, fu, nel tempo, aspramente criticato per la superficialità (se così vogliamo chiamarla), che mise nel condurre quest’indagine”.
Mario Mori, non passa indenne a questa cosa e per tale motivo rientra nell’arma e viene assegnato ad un reparto non operativo a Napoli.
Stranamente, il Comando Generale, lo volle a Roma, con il parere contrario di alcuni Ufficiali, dove andò a dirigere l’ufficio Anticrimine che si occupò della ricerca di Aldo Moro che era stato rapito pochi giorni prima del trasferimento di Mori all’anticrimine, da un commando delle Brigate Rosse.
Tutti sappiamo come finì quel rapimento, quello che molti non sanno è che un Maresciallo dell’Arma, denuncio che la voce del telefonista delle BR che indicò dove si trovava il corpo di Aldo Moro era in realtà quella del suo comandante Mario Mori che conosceva benissimo.
Successivamente, credo che nessuno fece gli opportuni accertamenti o rilievi tecnici e il Maresciallo, tempo dopo, ritrattò questa sua denuncia affermando di essersi sbagliato.
Fatto sta, che Valerio Morucci, il brigatista assassino di Moro fu, una volta ottenuti i benefici della semilibertà, assunto da una agenzia investigativa romana, dal nome G-risch, i responsabili di tale agenzia erano Mario Mori e Il suo fedelissimo De Donno.
Ilardo sapeva
Ho raccontato questo episodio perché’ Ilardo, che aveva conosciuto in gioventù Pietro Rampulla ed insieme avevano frequentato l’università a Messina, entrambi erano inseriti in un ambiente di estrema destra. Rampulla diventò, nel tempo, un esperto in esplosivi e questo avrebbe permesso a Ilardo, se solo gli avessero fatto vedere gli inneschi delle bombe del 92/94, se tali inneschi fossero stati confezionati dal Rampulla, ripeto, artificiere per la strage di Capaci, o meno.
Ilardo fa anche sapere al Colonnello Riccio che egli e suo cugino Gianni Chisena, personaggio diviso tra mafia, politica, massoneria e servizi segreti, avevano prelevato nel tempo, per più volte, esplosivo dalla base militare dell’arsenale di Augusta con la complicità di militari appartenenti ai servizi segreti.
Esplosivo che poi sarebbe stato utilizzato in anni 60/70/80 negli attentati effettuati come strategia della tensione da personaggi di estrema destra collusi con uomini dei servizi segreti.
Le dichiarazioni mai verbalizzate di Ilardo
A questo, aggiungiamo che Ilardo, nelle famose dichiarazioni d’intenti fatte innanzi ai massimi vertici antimafia e cioè Caselli, Tinebra e la Principato, avrebbe proferito, più o meno, innanzi a Mori le seguenti parole
“parecchi degli attentati fatti in Italia, sono stati effettuati per volere politico e Lei Comandante Mori, lo sa benissimo”
A queste gravissime affermazioni, Mori, non avrebbe risposto, avrebbe stretto i pugni e girandosi, non partecipò alle circa quattro ore di interrogatorio dell’Ilardo.
Peccato che in quell’incontro romano, nessuno, sebbene si era innanzi ai massimi esponenti antimafia, ha verbalizzato o registrato Ilardo come la legge impone e di quello che disse Ilardo, nessuno ha ricordi precisi. Solo la Dottoressa Principato, avrebbe preso degli appunti che poi, a suo dire, avrebbe perso in un trasloco.
E’ chiaro che eventuali dichiarazioni di Ilardo in tal senso, avrebbero scatenato un putiferio poiché’ attestavano la partecipazione dello Stato negli attentati in anni 60/70/80 oltre a quelli del 92/94, nonché la vera motivazione e i mandanti di omicidi eclatanti come quello di Piersanti Mattarella, Insalaco, del piccolo Claudio Domino e di molti altri.

Ilardo doveva morire
“Fu rimandato a casa senza protezione. Doveva essere adeguatamente protetto. E venne ucciso dai killer di Maurizio Zuccaro.”
Ilardo non poteva vivere e venne dopo tali dichiarazioni d’intenti, ancora in modo più incauto, rimandato a casa senza alcuna protezione e qui ucciso dal commando di Killer capitanati del parente del Santapaola Benedetto Maurizio Zuccaro che ha sempre agito in maniera autonoma, sebbene affiliato al clan Santapaola.
Il mistero attorno a Maurizio Zuccaro
Sul conto di Maurizio Zuccaro, si è sempre sospettato che fosse “vicino” a Carabinieri o Servizi Segreti e questo fatto mi fu confermato più volte dallo Sturiale che mi indicava in Maurizio Zuccaro, un confidente dei Carabinieri che beneficiava di questo suo ruolo, avendo agevolazioni nella sua detenzione.
Zuccaro, quando la sua squadra di mafiosi effettua l’omicidio di Ilardo, scavalcando addirittura i vertici di “cosa nostra” provinciali e regionali che ancora non avevano trovato elementi per stabilire come Ilardo potesse essere un infiltrato nella mafia per conto dei carabinieri, si trovava agli arresti domiciliari sebbene condannato all’ergastolo, beneficiando di agevolazioni per una malattia invalidante dello Zuccaro rivelatosi successivamente falsa.
Per tali motivi, non spiegandosi come Zuccaro potesse essere sempre libero, in ambienti criminali catanesi, serpeggiava l’ipotesi che Zuccaro era protetto da Istituzioni non meglio individuate.
Lo stesso sospetto, avevano gli organi investigativi tra cui la DIA, poiché’ vi furono in indagini contenuti di intercettazioni che confermavano l’ipotesi che Maurizio Zuccaro fosse un esponente mafioso che collaborava, in modo occulto, con Carabinieri o Servizi Segreti.
L’ex commissario della Dia, Mario Ravidà aggiunge un’altro dato su Zuccaro
Altro elemento che confermerebbe tali ipotesi, fu quello che un Ufficiale della DIA, effettuò una corposa informativa per un sequestro di beni posseduti dal Maurizio Zuccaro ma trovava sempre il rigetto di organi Giudiziari. Alessandro Cavalli, il Capitano della DIA che fece la richiesta di sequestro dei beni a carico dello Zuccaro, ha dovuto presentare più volte tale richiesta sino a quando gli fu accordata, se non ricordo male, un sequestro di solo una parte dei beni illeciti riconducibili allo Zuccaro Maurizio.

La fuga di notizie e l’incauta notifica del capitano Damiano
Il Colonnello Riccio, proprio il giorno della morte di Ilardo ha appreso dal suo Capitano Damiano di una possibile fuga di notizie dalla Procura di Caltanissetta in ordine alla prossima collaborazione di Ilardo.
Sebbene Riccio cercò di avvisare Ilardo, non riuscì a mettersi in contatto con il suo infiltrato per avvertirlo di questa novità. La stessa sera Ilardo fu ucciso innanzi la sua abitazione dai Killer di Zuccaro Maurizio.
Aggiungiamo anche l’assurda notifica fatta fare da Damiano a casa della sorella di Piddu Madonia, Maria Stella Madonia, allora, gli elementi di possibili collusione diventano inquietanti, come diventa inquietante il mancato accertamento su chi era il Magistrato che ricevette dalla mani della Monterosso la mia relazione e non rilasciò mai, alcuna delega d’indagine, sebbene, ripeto, vi era una precisa notizia di reato.
Questi elementi, aggiunti ad una possibile occulta collaborazione Istituzionale dello Zuccaro, che trova conferma anche nelle recenti dichiarazioni del collaboratore Pietro Riggio, diventa tutto molto, ma molto inquietante

Le agende di Riccio e la vendetta giudiziaria
Quello che ci aveva anticipato Pappalardo e cioè che Riccio sarebbe stato arrestato, si verifica puntualmente nel momento in cui Riccio consegna l’informativa “Grande Oriente” a varie Procure tra cui quella di Catania.
In tale informativa, Riccio rivela tutti i retroscena della sua collaborazione con Ilardo e accusa i suoi superiori di non aver voluto arrestare Provenzano quando si poteva e si doveva. Oltre ad accusare personaggi politici di Forza Italia (e non solo) di essersi serviti di “cosa nostra” per i consensi elettorali e per le partecipazioni di Istituzioni in omicidi eclatanti e stragi ai fini di alimentare quella che passerà alla storia come strategia della tensione a cui si aggiunge la volonta di eliminare dalla scena pubblica Giudici e Politici giusti, nonché’ investigatori e giornalisti liberi e capaci che erano arrivati alle medesime conclusioni del Riccio.
Tutto rimasto non indagato adeguatamente!
Penso a quanto denuncia, ad esempio, il Dott. Gioacchino Genchi che addirittura viene destituito dalla Polizia di Stato; penso alla mancata perquisizione nel covo di Riina, rimasto un mistero; penso allo stranissimo suicidio in caserma del Maresciallo Lombardo; penso alla stranissima sparatoria di Terme Vigliatore dove scappò Santapaola per essere poi arrestato dallo SCO nelle campagne di Mazzarrone.
Qualcuno afferma che in quel territorio di Barcellona Pozzo Di Gotto e Terme Vigliatore, Santapaola non poteva essere arrestato per non “disturbare” quella mafia collusa con le Istituzioni presente ed operante in quel contesto.
Credo che tutti questi elementi, meriterebbero ben altra attenzione da parte degli inquirenti che, a mio parere, sono tutti fatti collegati e collegabili e per questo motivo andrebbero tutti indagati univocamente e non singolarmente.
Ritornando al Riccio, questi afferma anche di avere agende e registrazioni di Ilardo che confermerebbero molto di quanto scritto. Agende e registrazioni consegnate agli inquirenti in vari successivi processi.
Subito dopo la consegna del rapporto “Grande Oriente”, come ho già accennato, si arresta Riccio per fatti diversi di quelli trattati e risalenti a parecchi anni prima, quando Riccio era un Ufficiale dei Ros a Genova.
In tale indagine Riccio viene accusato di traffico di stupefacenti ed arrestato. Tosto poi con il tempo essere assolto quasi del tutto.
Mancato tentativo di coinvolgere l’ispettore Arena
Nel contesto dell’arresto di Riccio che i ROS e i Magistrati cercassero le Agende del Riccio, viene provato dal fatto che si tentò, da parte dei ROS, con probabili direttive della Procura di Genova ed in concomitanza dell’arresto dell’Ufficiale, di effettuare una perquisizione a casa del mio collega Arena, sol perché’ aveva accompagnato Riccio in aeroporto dove venne tratto in arresto. La perquisizione a casa dell’Arena doveva essere finalizzata alla ricerca delle Agende del Riccio poiché’ il ROS sospettava che Michele Riccio, prima dell’arresto, li avesse potuto consegnare ad Arena.
Vietò tale perquisizione il Giudice Marino della Procura di Catania, che conosceva fatti ed antefatti avendo precedentemente all’arresto con Riccio, parlato con quest’ultimo.
Che cercassero le Agende del Riccio, viene confermato pure da un verbale fatto dai Giudici di Genova che trassero in arresto Riccio. Verbale nel quale è contenuta la proposta di assegnare gli arresti domiciliari a Riccio se questi avesse consegnato le tre Agende relative al rapporto con Ilardo.
Cosa c’entrassero quelle agende con la motivazione dell’arresto del Riccio lo sanno solo i Giudici di Genova. Riccio, per avere accordate gli arresti domiciliari, ha dovuto consegnare una delle agende.
Riccio, per la stessa operazione per cui in Italia viene arrestato, riceve dalla DEA americana un encomio per essersi distinto nelle indagini contro trafficanti internazionali di stupefacenti.
Agli occhi di chi è a conoscenza dei fatti, con l’arresto di Riccio, avviene un tentativo di discredito e calunnia al fine di far apparire Riccio, proprio come diceva Pappalardo, un criminale e non un eroe, vittima della vendetta dello Stato per il suo “ardire” nel denunciare tutti i fatti, accusando anche i suoi superiori.
Arena subisce, dopo l’ordine di Pappalardo di non frequentare più Riccio, anche la minaccia di essere cacciato dalla DIA per non aver eseguito l’ordine illegittimo, dato dal Pappalardo di non frequentare più Riccio, in una convocazione romana da parte del Direttore della DIA Nazionale del tempo, il deceduto Dott. Pippo Micalizzio, siciliano e amico di Pappalardo.
Alla domanda se tutti questi fatti hanno una connessione, l’ex commissario della Dia catanese Ravidà non ha dubbi
Io dico di sì e che quello che Riccio oggi denuncia nel suo libro “La Strategia Parallela” esiste eccome, spingendomi ad affermare che probabilmente non si tratta di “una “strategia parallela”, ma di un vero e proprio “stato parallelo” occulto, che agisce per mezzo di uomini piazzati nei vari Ministeri e, a caduta, nelle varie Dirigenze di importanti strutture investigative.
La battaglia di Luana Ilardo
A Luana Ilardo, per quanto ho potuto, gli sono stato “vicino” sentendomi un rappresentante di quello stato onesto che non abbandona chi lotta per una causa giusta e credo che la causa di Luana sia oltre che giusta, importantissima per dimostrare le connessioni di uno Stato in parte colluso con criminali e strutture parallele militari segrete che, come da volere atlantico, ha agito utilizzando mafiosi, terroristi e massoni per fini e interessi propri e internazionali.
Oggi con l’America che cambia strategia, molte di queste malefatte, potrebbero trovare finalmente luce, se solo si volesse, come dicevo, raggruppare tutti i fatti criminali del 92/94 e protrattosi sino ad oggi con palesi depistaggi, in un unico contesto investigativo per poi effettuare un unico processo, finalizzato ad accertare, almeno, la verità storica e forse è proprio questo che “alcuni” temono: “La verità storica”!…
Un sentito ringraziamento a Mario Ravidà per aver condiviso con noi una testimonianza lucida, preziosa e a tratti scomoda, che aiuta a ricostruire tasselli fondamentali della nostra memoria collettiva.
Nei prossimi giorni, i suoi interventi saranno raccolti e rilanciati all’interno di una nuova rubrica che inaugureremo sul sito: uno spazio fisso dedicato alle voci di chi ha vissuto dall’interno la guerra silenziosa contro la criminalità organizzata e le sue zone grigie.
Grazie per quello che avete raccontato
Siete un raggio di sole della giustizia