La scuola che ascolta, che ricorda, che resiste

Luana Ilardo: la voce che non tace

Memoria, dolore e giustizia in un’aula scolastica

Castelfranco Veneto – Sabato 16 marzo, all’Istituto “Galilei”, si è tenuto un incontro che ha lasciato un segno profondo nei cuori di studenti e docenti: ospite d’eccezione Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, ex uomo d’onore di Cosa nostra e successivamente infiltrato per conto dello Stato, assassinato nel 1996.

L’iniziativa è nata nell’ambito del Progetto Legalità, curato dalla prof.ssa Annachiara Quer, con la partecipazione attiva della prof.ssa Monia Cioppa, della prof.ssa Anna Gaudio, del prof. Oscar Trevisan e del prof. Guglielmo Bongiovanni.

“Quanta sofferenza porta dentro Luana Ilardo, ma la magia è la sua straordinaria capacità di trasformarla in forza”.
Con queste parole pronunciate dalla professoressa di Italiano Monia Cioppa, si è chiuso un incontro che ha lasciato un segno profondo nei cuori degli studenti dell’Istituto Galilei di Castelfranco Veneto. Un incontro che non è stato solo testimonianza, ma anche lezione di coraggio, di resistenza civile e di amore incrollabile per la verità.

Due ore intense, intrise di emozioni autentiche, in cui Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, ha aperto il cuore e la memoria davanti a un pubblico giovane e attento, raccontando la sua battaglia, ormai lunga decenni, per ottenere giustizia per l’assassinio del padre, avvenuto il 10 maggio 1996, in via Quintino Sella, a Catania.

Alla semplice ma cruciale domanda iniziale – Chi era Luigi Ilardo? – Luana ha risposto senza retorica, con una sincerità disarmante. Ha cominciato a tracciare il cammino di un uomo complesso: da uomo d’onore di Cosa nostra, affiliato alla cosca di Caltanissetta retta dal cugino Piddu Madonia, fino alla sua scelta più pericolosa e più nobile: diventare un infiltrato per conto dello Stato.

Il racconto si fa straziante quando Luana rievoca quella sera maledetta: la corsa, il corpo del padre riverso sull’asfalto, l’abbraccio disperato nel tentativo di salvarlo, invocando dentro di sé un miracolo che non è mai arrivato.

Non si è risparmiata, Luana. Con fierezza e dolore ha raccontato le fasi oscure e silenziose della vita del padre: le lettere inviate dal carcere, colme d’amore per lei e la sorella Francesca, le parole che testimoniavano il profondo conflitto interiore di un uomo che amava le sue figlie più di ogni altra cosa.

Ma è nel momento in cui Luigi Ilardo sceglie di collaborare con la giustizia che la narrazione assume contorni drammatici e rivelatori.

Fu il colonnello Michele Riccio, inviato dal capo della DIA Gianni De Gennaro, a gestire il delicato percorso di infiltrazione di Luigi Ilardo.

Grazie alle sue informazioni, vennero eseguiti numerosi arresti nei confronti di esponenti apicali di Cosa nostra, compresi uomini ritenuti insospettabili.

Eppure, nonostante i risultati, un’ombra nera cade sulla storia: la mancata cattura di Bernardo Provenzano.

Luigi Ilardo aveva fornito indicazioni precise sul luogo dove il boss si nascondeva. Ma l’operazione fu inspiegabilmente interrotta. Le responsabilità, secondo alcuni, ricadrebbero sul comportamento dei ROS, allora guidati dal comandante Mauro Obinu e dal suo vice, Mario Mori.

Sarà un’accusa pesante, quella mossa anni dopo: favoreggiamento della latitanza di Provenzano, detto ‘Binnu u tratturi’.

Un processo lungo, complesso, che porterà però all’assoluzione degli ufficiali, in quanto – secondo i giudici – non è stato ravvisato il dolo specifico nel loro agire.

Ma il dubbio resta, come resta la ferita di chi, come Luana, ha visto morire un uomo pronto a sacrificare tutto per uno Stato che non lo ha protetto.

La riunione a Roma segna il punto di non ritorno. Luigi Ilardo incontra i magistrati Giancarlo Caselli (all’epoca a capo della procura di Palermo), Giovanni Tinebra (all’epoca capo della procura di Caltanissetta) e Teresa Principato (all’epoca membro dell’ufficio istruzione antimafia di Palermo), per ufficializzare la sua volontà di collaborare.

Il suo pentimento era pronto a entrare nelle aule dei tribunali. Ma torna a Catania senza protezione, senza scorta, senza Stato.
Pochi giorni dopo, viene assassinato.

Il silenzio in aula, alla fine del racconto, è stato più eloquente di qualunque domanda. Nessuno ha distolto lo sguardo.

Ma proprio in quel silenzio è nato un dialogo vivo e consapevole: numerosi studenti sono intervenuti con domande profonde, mostrando partecipazione autentica e grande sensibilità. Hanno espresso a Luana Ilardo tutta la loro solidarietà e ammirazione, riconoscendo in lei una donna eccezionale, capace di trasformare un dolore personale in una battaglia civile. Perché la storia di Luana Ilardo non è una pagina di cronaca. È una ferita aperta, un grido che chiede ascolto.

A chiudere l’incontro, la professoressa Annachiara Quer che ha voluto fortemente portare nella scuola questa testimonianza viva. A nome dell’intero istituto, la professoressa ha ringraziato Luana Ilardo per aver condiviso non solo una storia, ma un dolore che diventa ogni giorno impegno civile.

Un esempio per le nuove generazioni

In un tempo in cui la memoria sembra spesso sbiadire, la presenza di Luana Ilardo ha restituito alla parola legalità la sua profondità, la sua urgenza, la sua carne viva.
Luana Ilardo, dal canto suo, ha invitato i ragazzi a studiare, ad avere sete di verità e a rifiutare ogni forma di illegalità, perché solo attraverso la conoscenza si può davvero scegliere da che parte stare.

La giustizia non è mai scontata, ma va cercata, protetta, difesa. Anche quando lo Stato tradisce. Anche quando il prezzo da pagare è altissimo.

Ecco perché, tra i banchi del Galilei, quel sabato non si è parlato solo di mafia. Si è parlato di scelte, di responsabilità, di vita. E soprattutto di coraggio: quello di una figlia che ha deciso di non tacere mai.

Guglielmo Bongiovanni