La Borsa che camminava da sola

Agenda Rossa – Il furto della verità

In Italia ogni omicidio eccellente ha la sua sparizione

Riprendiamo la nostra ricerca prendendo spunto dalla denuncia fatta dal senatore Scapinato pubblicata in questo sito nel post che porta per titolo : “La stagione delle stragi non è finita: la verità oltre l’agenda rossa”

In Italia ogni omicidio eccellente che si rispetti ha i suoi misteri, i suoi depistaggi e oggetti che “misteriosamente” scompaiono. È un elemento quasi rituale, una costante sinistra che attraversa decenni di sangue e silenzi. Quando si tocca il cuore del potere, qualcosa — o qualcuno — deve sparire. È successo con i documenti custoditi nella cassaforte del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato a Palermo nel 1982.

Accadde anche con Giovanni Falcone. Dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, la sua agenda elettronica venne recuperata ma alcuni dati risultarono cancellati. Nessuna indagine ha mai chiarito chi vi abbia messo le mani né con quale scopo. Altro caso emblematico: Antonino Agostino, poliziotto ucciso nel 1989 con la moglie incinta. Dopo la sua morte, scomparvero carte e dossier riservati dalla sua abitazione.

Nel caso di Paolo Borsellino, a scomparire fu l’agenda rossa. Quella che nei suoi ultimi mesi di vita non lasciava mai. Quella nella quale, secondo quanto emerso successivamente, annotava le conversazioni con i collaboratori di giustizia, i sospetti più delicati, i nomi. Quella che forse conteneva la verità sulla trattativa Stato-mafia, già avviata dopo Capaci.

La denuncia immediata dei familiari: Caponnetto parla il 25 luglio

Non ci furono attese. Nessuna costruzione postuma. La denuncia della scomparsa dell’agenda fu immediata. A farsene carico fu il dottor Antonino Caponnetto, che il 25 luglio 1992 — appena sei giorni dopo la strage di via D’Amelio — rilasciò dichiarazioni pubbliche inequivocabili alla stampa.

Riportiamo testualmente il colloquio con il giornalista Andrea Purgatori, pubblicato sul Corriere della Sera:

Giornalista: “Allora c’è da sperare che il lavoro fatto da Borsellino sia al sicuro?”
Caponnetto: “Lo spero. Per ora l’Agnese lamenta la sparizione dalla borsa della agenda di Paolo, che a lei è particolarmente cara. Un’agenda sopra cui c’era tutto l’indirizzario telefonico, anche quello di famiglia. Paolo non se ne distaccava mai, se la teneva con sé in modo quasi ossessivo, al punto che il maresciallo Canale scherzando diceva che ci andava perfino al gabinetto.”
Giornalista: “L’agenda era in una borsa che non è andata distrutta nell’esplosione?”
Caponnetto: “La borsa c’è e manca solo l’agenda. E fino a ieri sera ancora non l’avevano ritrovata.”

Non una suggestione. Non una congettura. Ma una testimonianza pubblica, registrata, trascritta, portata alla luce dai familiari. Una denuncia fondata, precisa e ignorata.

Questo è il primo dato oggettivo da cui partire per tentare di capire cosa accadde quel giorno.

Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo che fu chiamato a guidare il gruppo d'indagine sulle stragi del 1992

La versione di La Barbera: “Frutto della vostra farneticazione”

A questa denuncia, le istituzioni, se ci è concesso, risposero con ostilità e derisione. L’allora capo della Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, minimizzò, mentì, coprì. Disse che l’agenda probabilmente era stata bruciata dalle fiamme in via D’Amelio. Disse che non aveva valore investigativo.

La Barbera si spinse oltre. Si rivolse alla vedova del giudice, Agnese Piraino Leto, con parole che ancora oggi fanno male:

“Quest’agenda è il frutto della vostra farneticazione.”
(Fonte: ANSA, “Intervista – Borsellino: vedova, altri consentirono strage”, 14 luglio 2012)

Non crediamo di offendere nessuno ma ci ci sembrano queste affermazioni come un insulto travestito da verità ufficiale, come un silenziamento, come una delegittimazione feroce.

Come se la scomparsa di quell’agenda fosse un parto dell’isteria, non un dato investigativo. Ma quella scomparsa è reale. La borsa fu ritrovata. Era intatta. L’agenda no. E nessuno seppe — o volle — dire perché.

Il capitano dei Ros Giovanni Arcangioli con in mano la borsa del giudice Borsellino

2005: la foto e il nome

Il mistero rimase in ombra fino al 27 gennaio 2005, quando una fonte riservata contattò la redazione della rivista AntimafiaDuemila. Segnalò l’esistenza di una fotografia mai pubblicata. L’immagine ritraeva un carabiniere in borghese che, nei minuti successivi all’esplosione, si aggira in via D’Amelio con la borsa di Paolo Borsellino in mano.

Il carabiniere della foto fu individuato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta nel capitano dei ROS Giovanni Arcangioli. La foto — scattata da Paolo Francesco Lannino — è chiara. Non lascia spazio a interpretazioni.

L’inchiesta giudiziaria: accuse, proscioglimenti, silenzi

L’Autorità Giudiziaria ascoltò Arcangioli per la prima volta il 5 maggio 2005. Un anno e mezzo dopo, il 12 ottobre 2006, la stampa rivelò che il capitano era indagato per false dichiarazioni al pubblico ministero.

Il 1° febbraio 2008, il GIP Ottavio Sferlazza ordinò l’iscrizione nel registro degli indagati di Giovanni Arcangioli per il reato di furto con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa.

Tuttavia, il 1° aprile 2008, il GUP di Caltanissetta Paolo Scotto di Luzio dichiarò il non luogo a procedere “per non aver commesso il fatto”. Infine, il 17 febbraio 2009, la sesta sezione penale della Cassazione prosciolse definitivamente Arcangioli dall’accusa di aver sottratto l’agenda rossa di Paolo Borsellino.

Nessun processo. Nessun colpevole. Nessun nome

Sul furto dell’agenda rossa non si celebrò alcun dibattimento. Né a carico di Arcangioli. Né a carico di ignoti. Eppure le versioni fornite da chi ebbe materialmente a che fare con la borsa nei primi minuti dopo la strage risultarono discordanti e lacunose.

Ciononostante, la giustizia ha voltato lo sguardo. L’Italia ha archiviato. I processi Borsellino TER e Borsellino QUATER hanno raccolto dichiarazioni gravi, precise, irripetibili, rese tra il 2004 e il 2013 dai protagonisti di quella giornata maledetta.

Ma la verità processuale, su questo punto, non è mai arrivata. E l’agenda rossa — simbolo della conoscenza proibita — resta scomparsa.

I dati accertati

Proviamo a ricostruire la misteriosa vicenda servendoci delle sole carte processuali. Assicuro i lettori che bastano per concludere che su questo aspetto della tragica vicenda di via D’Amelio si ha la netta sensazione che qualcuno da dietro le quinte, immeditamente dopo la strage, inziava a muovere i fili di quello che verrà consacrato nella sentenza del Borsellino quater come il più “grave depistaggio della storia giudiziaria italiana”

Nel marasma di dichiarazioni contraddittorie, testimonianze a tratti confuse e ricostruzioni spezzate da buchi temporali e amnesie selettive, esistono alcuni fatti certi, ormai acquisiti agli atti e sostenuti da prove documentali e testimoniali convergenti.

Sappiamo con certezza, ad esempio, che il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino possedeva l’agenda rossa, e che l’aveva con sé quando lasciò la sua casa di Villagrazia di Carini per dirigersi verso via D’Amelio. A riferirlo sono la moglie Agnese Piraino e i figli Lucia e Manfredi, che confermano come l’agenda fosse sulla scrivania quella mattina, ma scomparsa al momento della partenza.

Sappiamo, dalle parole dell’unico agente sopravvissuto alla strage, Antonino Vullo, che Borsellino e la sua scorta non effettuarono soste lungo il tragitto. E sappiamo che il magistrato era solo alla guida della sua Croma blindata quel pomeriggio del 19 luglio del 1992.

Sappiamo, da una perizia della polizia scientifica su un filmato video, che tra le 17:20 e le 17:30 un uomo in borghese – il capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli – impugnava la borsa di cuoio del giudice e si dirigeva verso l’uscita di via D’Amelio.

Sappiamo, ancora, che la borsa fece tappa alla Questura di Palermo, come dichiarato pochi giorni dopo la strage dallo stesso Arnaldo La Barbera, allora capo della Squadra Mobile.

Sappiamo che la famiglia del giudice, dopo la strage, esaminò quella borsa e denunciò immediatamente la mancanza dell’agenda. Il primo verbale ufficiale di apertura della borsa, tuttavia, fu redatto soltanto il 5 novembre 1992, oltre tre mesi e mezzo dopo la strage.

E infine, sappiamo che la borsa ripresa in mano ad Arcangioli era perfettamente integra, senza bruciature. Al contrario, quella repertata dalla Procura risultava parzialmente bruciata su un lato.

Ma chi prese davvero quella borsa?

In questo scenario fatto di certezze disturbate da silenzi, la domanda diventa inevitabile.

Se conosciamo l’orario in cui la borsa era nelle mani di un ufficiale, se sappiamo che la borsa era integra e che poi riapparve bruciacchiata, chi la prese per primo? Chi la portò via da via D’Amelio? Chi la riportò indietro, e perché?

È in questo punto che il giallo si infittisce. Perché a parlare adesso saranno i protagonisti di quelle ore: uomini dello Stato, agenti, carabinieri, testimoni oculari. Ognuno con la sua verità. O con il proprio silenzio.

Ed è proprio nelle pieghe di quelle testimonianze che si nasconde la chiave dell’enigma.
E forse anche il nome di chi ha fatto sparire per sempre l’agenda rossa di Paolo Borsellino…

[Segue nella parte successiva: Le testimonianze di Ayala e Arcangioli a confronto]

CONTINUA

Questo articolo ha un commento

  1. Flavio

    La borsa che risulta bruciata in procura ma c’è una foto che la fa vedere integra poco dopo l’attentato. Sarebbero da indagare i carabinieri e la polizia.

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