Ilardo ucciso due volte

Gli Ammutati

Si ha la netta sensazione che leggendo verbali, sentenze, deposizioni e libri sui numerosi misteri rimasti insoluti nel nostro Paese si arrivi alla conclusione che molti omicidi e stragi compiute in Italia hanno come obiettivo quello di proteggere importanti “interessi” per i quali è stato necessario tappare la bocca per sempre a chi voleva combattere questi “sistemi criminali”.

Quel che peggio e che queste “Entità”, estranee alle mafie, fanno seguire all’omicidio una serie di azioni finalizzate ad ostacolare la ricerca della verità processuale che, in molte occasioni, per fortuna, è sostanzialmente diversa dalla verità storica.

In questi casi non temiamo a concludere che siamo in presenza di veri e propri “delitti di Stato” rispetto ai quali le azioni di depistaggio, poste in essere da queste cosiddette “Entità”, sembrano finalizzate, esclusivamente, ad inquinare l’attività investigativa. 

Depistaggi che non possono che essere compiute da apparati di intelligence, in altri termini dai servizi segreti o apparati polizieschi.

Queste riflessioni sono venute dopo aver ascoltato un podcast che invito i lettori ad ascoltare “Gli ammutati” un titolo ideale per leggere quello che ci sta dietro quel barbaro omicidio compiuto la sera del 10 maggio del 1996 a Catania.

Delitto di Stato

Non temiamo nel concludere questa breve premessa nell’affermare, con piena cognizione di causa, che l’omicidio Ilardo rientra in questa categoria di “delitti di Stato” dove si è reso necessario tappare la bocca ad un personaggio che ci aveva condotto nel covo dove si rifugiava Bernardo Provenzano e che aveva assicurato alla giustizia importanti boss mafiosi con le sue rivelazioni che puntualmente riferiva al colonnello Riccio che raccolse in un celebre rapporto chiamatoGrande Oriente”.

Ilardo fu quello che per primo fece il nome di Marcello Dell’Utri che non troveremo nel rapporto di Riccio perché, secondo quando ci viene raccontato dal colonnello veneto, gli fu impedito di trascrivere questo nome nel suo rapporto.

Un documento importantissimo, declassificato nel 2018, che fornisce un’analisi accurata del panorama mafioso, politico e affaristico siciliano degli anni ‘90 che crediamo sia attuale anche oggi ma con interpreti e volti diversi.

Mafia, servizi segreti e massoneria

Non vi è dubbio che Ilardo fu un uomo d’onore è lo divenne nel 1978 dopo l’uccisione di suo zio don Ciccio Madonia, reggente del mandamento mafioso che governava Caltanissetta.

Da quel momento i legami tra l’Ilardo e il figlio di don Ciccio, Piddu Madonia, che prese il comando della famiglia mafiosa nissena, si rafforzarono ancor di più.

Siamo sul finire degli anni ’70 quando ancora Cosa Nostra era governata dai palermitani, per intenderci i Bontate, gli Inzerillo, i Buscetta, i Di Cristina a Riesi, i Calderone a Catania. I corleonesi di Luciano Leggio, cominciavano a mettere fuori la testa da Corleone.

Erano anni in cui Ilardo comincerà a frequentare personaggi di un certo spessore criminale.

Uno di questi era Gianni Chisena, un criminale legato ai servizi segreti al centro di molti misteri italiani compreso il caso Moro. 

Ma chi era veramente Gianni Chisena?

Sebbene siano poche le informazioni che possediamo su questo strano ed ambiguo personaggio, quelle offerte dal colonnello Riccio, grazie alle confidenze di Luigi Ilardo, sono più che sufficienti a disegnare il contesto criminale entro il quale si muoveva Chisena

Ilardo conobbe Chisena quando il corleonese Lucino Leggio e lo zio Francesco Madonia chiesero a Calogero Ilardo, papà di Luigi, di ospitare Gianni Chisena che presto divenne amico dell’Ilardo.

Chisena era anche un fidato consigliori di Luciano Liggio e il trade union con la ‘ndragheta calabrese, in particolare con Domenico Tripodo, potente boss calabrese.

In poco tempo l’amicizia tra Ilardo e Chisena si rafforzò e in molte occasioni fu lo stesso Ilardo ad accompagnarlo in molte occasioni e in incontri che si riveleranno determinanti per capire il calibro dei personaggi che ruotavano attorno a questo criminale che troverà la morte in circostanze rimaste misteriose durante una rivolta di detenuti nel carcere di Fossombrone.

Luana Ilardo non ha dubbi:

In realtà, i giornali dell’epoca dicono chiaramente che quella rivolta del 27 aprile 1981 nel carcere di Fossombrone era servita a camuffare l’omicidio di Chisena. Fu senza dubbio un’esecuzione, visto che venne ucciso con sessanta coltellate.

Chisena e la massoneria

Tra tutte le cose che Luigi Ilardo raccontò al colonnello Riccio, di cui vi daremo conto in diversi articoli che pubblicheremo a puntate, ve ne riportiamo, in questa sede, una delle tante che ci sembra davvero interessante per capire fino in fondo il “rispetto” che Ilardo godeva all’interno di Cosa Nostra tanto che in poco tempo divenne l’uomo di fiducia prima dello zio don Ciccio Madonia e poi del cugino Piddu Madonia.

Che Chisena fosse un massone non vi sono dubbi tanto che, come raccontò Ilardo, negli anni ’70 aveva organizzato l’arrivo in Sicilia del Gran Maestro Luigi Savona.

Altro personaggio ambiguo operante a Torino ma di origine siciliana.

Fu proprio Savona a permettere l’ingresso di Cosa Nostra nella massoneria con lo scopo di ottenere un aiuto dalla mafia per i progetti golpisti con in cambio la promessa di favorire la scissione della Sicilia dall’Italia.

Siamo di fronte ad un personaggio che ebbe saldi rapporti con i vertici di Cosa Nostra. Sarà lo stesso Riccio a raccontare alla giornalista Anna Vinci, [1] nel suo ultimo lavoro, La Strategia parallela, come Savona aveva tessuto rapporti con mafiosi del calibro di Bonanno, Gambino, Santapaola, Palazzolo, nonché con esponenti della camorra come Michele Zaza e Valentino Gionta e il noto commercialista di Totò Riina, Pino Mandalari che sarà arrestato molte volte per le sua attività professionali in favore dei corleonesi.

Nel 1991 Savona finì sotto inchiesta. Questa volta era il giudice Giovanni Falcone che scovò il suo nome accertando legami tra Savona e Mandalari.

L’inchiesta verteva sul centro sociologico italiano di Palermo, noto organismo di coperture delle logge segrete.

Anche qui i nomi che comparvero erano tutti nomi di primo piano come il boss Salvatore Greco, i cugini Salvo, Michele Barresi, noto per essere uno dei finti sequestratori di Michele Sindona, Salvatore Bellassai, avvocato, responsabile della P2 in Sicilia.

Il panorama politico mafioso a affaristico non si esaurisce qui perché l’inchiesta di Falcone fece emergere gli stretti legami tra Savona, Mandalari e Salvo Lima, l’eurodeputato andreottiano, ucciso a Palermo nel marzo del 1992.

Queste sono solo alcuni aspetti di un contesto molto più ampio di cui daremo conto ai nostri lettori ma dal quale emerge chiaramente un sistema criminale che vedeva coinvolti mafia, massoneria, politica e imprenditoria e soprattutto l’interesse che la massoneria mostrava verso per un settore criminale che la portava fuori dal proprio contesto istituzionale che era quello di occuparsi di politica, affari e altro senza interferire nelle funzioni istituzionali.

L’inchiesta condotta dal colonnello Riccio nasce proprio dalle rivelazione che gli fece Ilardo che quando ritornò dentro Cosa Nostra, ma questa volta da infiltrato e riuscì ad entrare nelle grazie del cugino Piddu Madonia, lo scenario entro il quale si muoveva Ilardo, nonostante fossero trascorsi più di dieci anni, rimase identico. Ciò che mutò erano solo gli interpreti. Uno scenario che crediamo sia valido anche oggi seppur con interpreti e volti diversi….

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Note

[1] Anna Vinci, Michele Riccio – La strategia parallela, Zolfo 2025;

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