“Ilardo è morto. Lo Stato sapeva.”
“Lo Stato parallelo? È già tra noi”
Ci sono testimonianze che non si possono ignorare. Quella di Mario Ravidà, raccolta e pubblicata integralmente in queste pagine, è una di quelle.
Non è solo il racconto di un uomo delle istituzioni che ha deciso, finalmente, di parlare. È la radiografia di un sistema malato, in cui la verità viene insabbiata, i testimoni delegittimati, e la giustizia trasformata in un meccanismo selettivo e opaco.
Il quadro che emerge è devastante: informative scomparse, relazioni occultate, collaboratori lasciati senza protezione, pentiti ignorati, servizi deviati che acquistano esplosivo dai mafiosi, magistrati silenziosi e funzionari che – invece di indagare sugli omicidi – inseguono cooperative edilizie formate da poliziotti.

C’è la mano invisibile dello Stato – o meglio, di un “stato parallelo”, come lo chiama lo stesso Ravidà – che riemerge ad ogni angolo di questa intervista: da Mezzojuso alla mancata cattura di Provenzano, dal discredito scientifico contro Michele Riccio alla finta malattia di Maurizio Zuccaro, che gli consentiva di girare libero mentre era già condannato all’ergastolo.
Luigi Ilardo non è morto “come tanti”. È stato abbandonato scientemente, perché sapeva troppo. Perché aveva fatto nomi, denunciato legami, tracciato percorsi di sangue e potere che toccavano i livelli più alti: massoneria, servizi, vertici istituzionali. E, come ci ricorda Ravidà, nessuno lo verbalizzò. Nessuno lo ascoltò davvero. Lo lasciarono morire.
E poi Riccio. Arrestato proprio dopo aver depositato l’informativa “Grande Oriente”, contenente accuse dirette ai suoi superiori, nomi eccellenti della politica e dettagli su una strategia di destabilizzazione che passa per mafia, attentati, e silenzi. Mentre in parallelo – e guarda caso, proprio in quei giorni – si tentava di perquisire la casa di chi gli era vicino per cercare quelle agende esplosive.

Abbiamo parlato spesso, su questo sito, di depistaggi, di trattative e di verità negate. Ma ciò che emerge da queste pagine è molto più: è una struttura. Una regia. Una rete di protezioni reciproche, in cui si salva solo chi sta dentro, mentre chi ne denuncia l’esistenza viene isolato, screditato o cancellato.
Mario Ravidà non fa sconti. Non usa mezze parole. Non teme i nomi. E noi, come redazione, abbiamo deciso di onorare questo coraggio pubblicando ogni riga senza filtri.
Ma la domanda resta. E riguarda tutti noi.
Fino a quando continueremo a chiamare “casi isolati” quelli che, pezzo dopo pezzo, compongono una verità più grande?
Fino a quando chi racconta sarà più sotto processo di chi ha costruito il sistema da cui provengono le domande?
E, soprattutto: cosa siamo disposti a fare per non voltare lo sguardo?
Questo sito, da oggi, apre ufficialmente una rubrica permanente sulle rivelazioni contenute in questa intervista.
Non solo per ricordare Luigi Ilardo.
Ma per non lasciare soli quelli che, come Ravidà, si ostinano a dire la verità.
Perché il tempo dell’omertà istituzionale è finito.
Il tempo della verità storica, è appena cominciato.