La trama nascosta: da Ilardo a Pizzolungo, il filo rosso che unisce sangue, silenzi e potere
“Dalle usanze che ci sono in Sicilia, quando un onorevole dava una battuta a un uomo ‘d’onore’ con il quale era in confidenza e diceva che quello stava rompendo le scatole, detto in un certo modo significava che quello era un pericolo. Quindi si doveva incominciare a provvedere: o farlo stare zitto, oppure toglierlo dalla scena completamente”
Luigi Ilardo
Il patto tra Cosa nostra e il Partito Socialista Italiano
Continuazione di: “Oltre Dell’Utri: i politici e gli imprenditori nelle rivelazioni di Luigi Ilardo”
“Colonnello, in Sicilia gli uomini d’onore si vendono o si ammazzano”
Luigi Ilardo
Questo saggio è la naturale prosecuzione di Oltre Dell’Utri, ma è anche qualcosa di più: è un nuovo tassello in quel mosaico oscuro in cui si intrecciano mafie, politica, servizi, massoneria e sangue che da decenni insanguina l’Italia.
Per alcuni delitti non esistono compartimenti stagni: tra l’omicidio di Pio La Torre, quello di Piersanti Mattarella, l’eliminazione di Giuseppe Insalaco, la strage di Pizzolungo, l’assassinio di Falcone e Borsellino e, infine, il sacrificio di Luigi Ilardo e di Attilio Manca, solo per citarne alcuni.
Tutto è collegato.
Ogni rivelazione di Ilardo illumina quei delitti che lo hanno preceduto. Ogni nome, ogni patto svelato ci racconta una continuità criminale protetta, per certi versi, da istituzioni, coperta da silenzi e spesso ignorata da chi avrebbe dovuto vedere.
Una storia tragica, sì. Ma soprattutto una storia emblematica.
Una parabola nera che racconta il fallimento della politica, il cedimento delle istituzioni, l’ipocrisia di una certa magistratura che ha chiuso gli occhi o voltato la testa.
Perché accanto alla complicità, c’è stato anche l’indifferenza colpevole di una parte della magistratura, che in troppe occasioni ha preferito voltarsi dall’altra parte.
La frammentarietà dei processi, ciascuno chiuso nel recinto del suo oggetto specifico, nel suo anno, nel suo mandante formale impedisce una visione unitaria, un quadro d’insieme che tenga insieme il disegno generale.
Per questo la nostra è, ancora, una verità monca.
Una verità parziale che attende, ancora oggi, un magistrato capace di leggere “il tutto” e non il singolo episodio, come ha detto con amara lucidità il giudice Carlo Palermo, sopravvissuto alla strage di Pizzolungo, durante una commemorazione pubblica
“…Sono tutti collegati l’uno all’altro.”
Carlo Palermo aveva ragione!
In questo capitolo affrontiamo un altro fronte rimosso: quello tra il PSI e Cosa nostra.
Un patto strutturato, alimentato da voti, promesse e silenzi.
Un’alleanza siglata nel sangue e spezzata solo quando non serviva più.
E sempre lui, Luigi Ilardo, ci porta dentro questa storia.
Un uomo che voleva raccontare tutto. E fu ucciso proprio per questo.
I socialisti nella strategia mafiosa: il passaggio di consegne
Il patto tra Cosa nostra e il PSI fu una scelta strategica. Una svolta che si compì tra il 1985 e il 1987, quando, dopo decenni di connivenza con la Democrazia Cristiana, la mafia siciliana decise di puntare tutto su un nuovo interlocutore politico. Non più la DC, ma il Partito Socialista Italiano, giudicato più disponibile, più moderno, e soprattutto più attento alle esigenze di “garantismo” avanzate dai vertici mafiosi.
Obiettivo: bisognava dare una lezione alla Dc: l’andamento del maxiprocesso, l’uscita di scena del corleonese Vito Ciancimino non erano piaciuti al capo dei capi Totò Riina.
Il racconto di Ilardo suonava pressapoco così
In quel periodo erano i socialisti quelli che erano entrati nelle grazie di Cosa nostra, in particolar modo il gruppo legato a Martelli per quanto concerne la zona orientale di Palermo, e Andò su Catania, e dovevano essere loro quelli a dovere sistemare i problemi della giustizia in Italia
Certo, precisa Ilardo “non era certo Martelli in prima persona a parlare con…però il gruppo era quello là, che facevano capo a lui e quindi di riflesso a Craxi”.
Questa alleanza, così come ebbe a raccontare Ilardo al colonnello Riccio, trovò il suo battesimo di sangue con l’attentato al giudice Carlo Palermo, il 2 aprile 1985 a Pizzolungo. L’autobomba non colpì il magistrato, ma uccise una madre, Barbara Rizzo Asta, e i suoi due figli gemelli Salvatore e Giuseppe.
Le parole di Ilardo sono scolpite e indelebili nel Rapporto “Grande Oriente” è suonavano pressapoco così dal racconto che fece Vincenzo Milazzo, uno degli autori dell’attentato, allo stesso Ilardo, appena un mese dopo l’attentato nel carcere di Favignana, dove entrambi erano detenuti
“Il patto tra Cosa nostra e il PSI ebbe un tragico suggello con l’attentato esplosivo al giudice Carlo Palermo, da poco giunto in Sicilia da Trento, dove aveva osato svolgere indagini nei confronti di esponenti del partito molto vicini a Craxi”
Purtroppo a distanza di quant’anni da quel lontano 1985 non possediamo nessuna verità giudiziaria per quanto attiene il contesto e il movente dell’attentato.
Il giudice Carlo Palermo, vivo per miracolo, ha più volte ripetuto e denunciato che
Lo Stato è presente dietro la strage di Pizzolungo
Come non condividere appieno le affermazioni di un giudice che è rimasto profondamento scosso per quello che accadde a Pizzolungo?
Ma le immagini valgono più di mille parole ecco perchè invito i lettori a seguire il breve video che abbiamo voluto postarvi sotto dove il giudice Palermo spiega cosa ci sta dietro qulla maledetta strage che ucciso una madre con i suoi due figli.
I risultati di quel patto non tardarono ad arrivare. Alle elezioni politiche del 1987, il PSI ottenne risultati straordinari: a Palermo il 16%, con punte del 20% a Brancaccio il rione dei fratelli Graviano, zona ad alta densità mafiosa.
A Catania, invece, Salvo Andò ottenne l’appoggio dei Santapaola e degli Ercolano. Secondo Ilardo, Andò incontrò i boss Ercolano e Santapaola chiedendo sostegno.
Il collaratore (Luigi Ilardo Ndr) mi raccontava che aveva accompagnato un giorno Aldo Ercolano, nipote di Santapaola, ad un incontro con Salvo Andò, che avvenne presso gli uffici di uno dei cantieri del potente cavaliere del lavoro di Catania, il costruttore Gaetano Graci, arrestato poi nel 1994 per reati di mafia (Anna Vinci e Michele Riccio, La stretegia parallela, pag. 353)
L’incontro, quindi sarebbe avvenuto negli uffici dell’impresa Graci, luogo-simbolo dei legami tra imprenditoria, mafia e politica.
La domanda è d’obbligo:
Quel patto che pose la prima crepa nell’accordo decennale tra la Dc e Cosa Nostra sta all’origine di quel meccanismo che in pochi anni porterà alle stragi?
Secondo alcune sentenza la riposta sarebbe positiva.
Per chi ancora volesse dubitare dello spessore e dell’importanza della testimonianza che avrebbe potuto avere Luigi Ilardo, dinnanzi a un’aula di tribunale, ci viene in soccorso quanto Ilardo apprese dal boss catanese Natale Emanuele, cugino di Nitto Santapaola, esponente di un certo peso all’interno di Cosa Nostra che gli confidò che per sostenenere la candidatura di Andò i suoi uomini avevano organizzato nel quartiere di Monte Pò una sezione del Psi.
A confermare questo dato anche il lavoro dei giornalisti Biondo e Ranucci che nel loro libro “Il Patto” aggiungeranno sulla vicenda che Salvo Andò in cambio
aveva promesso, una volta arrivato a Roma, determinati favori per appianare un po’ di situazioni
“Non fu mafia, fu sistema”: la verità rimossa secondo Carlo Palermo
Il giudice scampato alla strage di Pizzolungo non ha dubbi: dietro le bombe non c’erano solo i killer. C’erano poteri occulti, affari internazionali, complicità istituzionali.
In 20 secondi Carlo Palermo smonta 40 anni di bugie.
Martelli, Andò e la logica della protezione politica
E a Palermo?
A Palermo il nome di Claudio Martelli emergeva con forza. Fu il più votato all’Ucciardone, carcere dove erano rinchiusi molti boss. Alcuni pentiti lo descrivevano come “laico, garantista”, e perciò gradito a Riina.
La mafia voleva amnistie, alleggerimenti del 41-bis, riforme processuali.
E a Roma?
A Roma, Martelli e Andò, nel frattempo divenuti Ministro della Giustizia e della Difesa, non mantennero la parola data.
“Salvo Andò, temendo di restare coinvolto in inchieste, mandò l’esercito in Sicilia. Il secondo prese le distanze promuovendo iniziative giudiziarie sfavorevoli all’organizzazione”
Per Cosa nostra non servivano incontri diretti. Bastava un linguaggio in codice.
“In Sicilia, quando un onorevole diceva ‘quello sta rompendo le scatole’, significava che era un pericolo. Si doveva cominciare a provvedere: farlo stare zitto oppure toglierlo dalla scena”.
Ma quando il PSI non consegnò quanto promesso, la mafia passò al contrattacco. I politici “amici” diventarono traditori da eliminare come avvenne con Salvo Lima e Ignazio Salvo.
Ma la lista dei nemici da elminare, che hanno preso i voti e non hanno mantenuto le promesse, è lunghissima: va da Andreotti a Martelli, da Salvo Andò ai cugini Salvo, da Carlo Vizzini fino a Calogero Mannino.
Una guerra con la quale i corleonesi provarono a trovare nuove garanzie, nuovi alleati.
Ma di questo scenario inquietante ne aveva parlato lo stesso Ilardo che raccolse uno sfogo del cugino Piddu Madonia
“Sti politici o mettono la testa a posto oppur ci mettiamo mano pure a loro. Già glielo abbiamo detto chiaro…”



Oltre la mafia: il vero potere che decide, protegge e uccide
Lo ripetiamo ciò che avete letto in questa seconda parte sui rapporti mafia-politica non è un’astrazione, né un’ipotesi suggestiva: è un racconto fatto da chi ha aveva deciso da che parte stare: lo Stato.
Molti di questi nomi come i legami e gli intrecci che Ilardo riferì — e che oggi continuano a disturbare il quadro ufficiale delle cose — li troverete nero su bianco: il Rapporto “Grande Oriente” del 30 luglio del 1996.
Dell’Utri, Martelli, Salvo Andò, Lima, Mannino, Gioia, Ligresti, Gardini, Graci, solo per citarne alcuni non appartengono a compartimenti stagni. Le storie che li coinvolgono non sono episodi isolati, ma rami dello stesso albero, radicato nel cuore dello Stato.
Dall’ascesa di certi imprenditori, come Dell’Utri e la Fininvest, al patto elettorale stretto dal PSI con i boss di Palermo e Catania, fino alle protezioni offerte ai latitanti di lusso come Provenzano, il denominatore comune è sempre lo stesso: un sistema affaristico-mafioso, trasversale ai partiti, capace di comprare il consenso, vendere leggi, eliminare i nemici, promuovere i complici.
Gaetano Graci, cavaliere del lavoro e padrone di Catania, figura centrale nei rapporti tra la politica, l’impresa e la mafia, appare come uno snodo concreto: i suoi uffici, secondo Ilardo, furono teatro degli incontri tra Salvo Andò e i boss. Salvatore Ligresti, uomo chiave dell’edilizia milanese e delle relazioni massonico-finanziarie, emerge nelle inchieste come soggetto protetto e connesso a doppio filo al potere politico. Raul Gardini, il grande burattinaio dell’industria chimica italiana, è la dimostrazione di come certi interessi potessero contare sull’occultamento, sulla connivenza e, quando serviva, sull’oblio.
In questo schema, Cosa nostra non è il vertice, ma il braccio operativo. È la manovalanza del potere e allo stesso tempo la sua ombra. È la forza d’urto che garantisce risultati, silenzi, intimidazioni. Ma dietro di essa, come mostrano le parole di Ilardo e le carte di Riccio, ci sono reti politiche, finanziarie, istituzionali che hanno agito per decenni con la stessa logica spietata: sopravvivere e dominare, a ogni costo.
Per questo oggi, oltre a parlare di “trattativa”, bisogna tenere bene a mente che si può più separare la mafia dalla politica, né la politica dagli affari.
È stato un sistema. È tuttora un sistema
Cambiano gli interpreti ma gli scenari rimangono immutati
E Luigi Ilardo è stato ucciso perché quel sistema aveva iniziato a raccontarlo tutto, pezzo per pezzo.
Ilardo non parlava solo della mafia. Parlava del potere.
Il racconto di Ilardo si spinse oltre, fino a voler individuare i mandanti esterni alle stragi del 1992/1993.
Questo sarà l’argomento che affronteremo a breve nel raccontare ciò che Ilardo rivelò al colonnello Riccio ponendoci un punto di partenza che ancora oggi sembra non aver trovato ancora nessuna verità giudiziaria.
Chi, oltre la mafia, ha voluto e orientato le stragi del 1992 e del 1993?
Finché non si farà luce su chi le ha decise davvero — nei palazzi e non nei covi — continueremo a vedere solo l’ombra e mai il volto intero del nemico.
Grandissimo!!!