Via D’Amelio, la pista del palazzo scomparso: un’indagine ignorata
“Le testimonianze dimenticate di Mario Ravidà e Francesco Arena sul palazzo dei Graziano: la pista del telecomando mai seguita nella strage di via D’Amelio”
Il palazzo che non doveva esistere
Il 19 luglio 1992, alle ore 16:58, una Fiat 126 imbottita di esplosivo salta in aria in via D’Amelio, uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Da allora molto si è detto e si è scritto sull’agenda rossa sparita pochi istanti dopo l’esplosione.
Molto meno, invece, si è parlato di un palazzo che incredibilmente sparì dalle indagini.
Non è affatto un modo di dire!
Un intero edificio — visibile, concreto, reale — scompare letteralmente dalle indagini giudiziarie. Quel palazzo “non c’è” più: non esiste nei fascicoli, non esiste nei sopralluoghi ufficiali, non esiste nelle foto e nei video.
“Questo palazzo scompare dalle indagini scompare dalla vista degli inquirenti dalle fotografie dai video di quel pomeriggio”
Ma quel palazzo c’era. Eccome se c’era.
Era lì anche quel giorno. E tre poliziotti catanesi, giunti sul posto appena ventiquattr’ore dopo la strage, lo individuarono subito: si tratta del complesso “Iride”, un edificio in costruzione all’epoca, undici piani con attico aperto, situato proprio accanto al giardino dove esplose l’auto.
Il Palazzo scomparso
Il reportage realizzato da “Servizio Pubblico” e mai mandato in onda con l’intervista all’ispettore Mario Ravidà: un documento raro e prezioso per capire la pista del telecomando mai approfondita. Un’inchiesta dimenticata che merita di essere vista fino in fondo.
Quel giorno a via D’Amelio: il sopralluogo ignorato
Mario Ravidà, all’epoca ispettore della Criminalpol di Catania, viene inviato il giorno dopo la strage a Palermo, assieme ai colleghi Francesco Arena e Antonio Carambia. Lo scenario che si presentò dinanzi agli occhi dei tre funzionari della polizia catanese fu agghicciante come racconta Ravidà
“Quando arrivammo in via d’Amelio ricordo ancora i fumi delle macchine, i pezzi delle auto ed i palazzi sventrati” — racconterà anni dopo al processo per il depistaggio della strage — “Visti gli ingenti danni pensammo immediatamente ad un utilizzo di un telecomando per la strage […] Arriviamo qua sul posto ci colpì la potenza della deflagrazione, i pezzi erano sparsi ovunque, l’odore di carne bruciata mi è rimasto impresso ancora tutt’oggi”
La prima domanda che si pongono è ovvia: da dove è stato premuto il telecomando che ha gettato nell’inferno via D’Amelio?
Subito escludono che l’attentatore possa essersi trovato a ridosso della scena perchè avrebbe rischiato di essere dilaniato.
Cercano un punto alto, protetto, con vista diretta sulla strada.
“Quel palazzo sulla destra, quello grigio, era in costruzione e mancava tutto l’attico, era tutto aperto. […] Immediatamente ho detto: guarda quello è un posto eccezionale”
Quel palazzo aveva una caratteristica fondamentale
“una vista diretta precisa netta pulitissima sul teatro della strage non più di 150 metri”


L’interno del palazzo: la lastra, le cicche, i fratelli Graziano
Il racconto che fornisce il commissario Ravidà si fa più preciso, ricco di dettagli.
Sale fino all’ultimo piano. La terrazza è aperta, esposta verso via D’Amelio. La vista era perfetta: diretta, netta, pulita
“C’era la possibilità di poter vedere le macchine e la scorta quando entravano e possibilmente vedere il giudice Borsellino che scendeva dalla macchina e azionare proprio in quel momento il telecomando, proprio per non sbagliare l’obiettivo”
Fu proprio in terrazza che Ravidà ebbe a notare qualcosa di inaspettato un vetro scudato
“La cosa che mi colpì subito era un vetro molto spesso appoggiato al parapetto della terrazza praticamente che sporgeva verso l’esterno — era un vetro molto spesso che io ho definito scudato”
Sul pavimento Ravidà trova anche delle cicche di sigaretta
“come se qualcuno era stato là per parecchio tempo, aveva fumato e aveva spento queste cicche là per terra”
I fratelli Graziano e quella presenza ingombrante
Nel frattempo, gli agenti all’interno dell’edificio incontrano due uomini che dicono di essere i fratelli Graziano
“una persona che scendeva le scale disse di essere il costruttore del palazzo e che si trovava assieme al fratello che era all’ultimo piano”
I due furono identificati come fratelli Graziano, vengono subito segnalati alla centrale, come ci conferma Ravidà
“sono delle persone che hanno dei precedenti di polizia pesante anche per associazione mafiosa […]entrambi erano forniti di telefonini. Prendemmo i numeri telefonici. Tutti questi elementi li inserimmo in una relazione di servizio”
Relazione di servizio che sarà consegnata al dott. Di Costanzo, all’epoca a capo della Criminalpol.
I fratelli Graziano verranno menzionati anni dopo nel processo a Bruno Contrada: sono proprio loro a mettere a disposizione dell’ex dirigente del SISDE alcuni appartamenti.
In altri termini esisteva un “rapporto fiduciario confidenziale fra i costruttori Graziano e il dottor Contrada”
Il passaggio di consegne e la relazione sparita
Proprio mentre la squadra sta per procedere con altri rilievi, arrivano i colleghi della Criminalpol di Palermo:
“Saliti dei colleghi […] dissero: ora ci pensiamo noi, non vi preoccupate. E noi ci siamo limitati a fare la relazione di servizio raccontando quello che avevamo visto. Il giorno dopo ci dicono: potete rientrare a Catania. Non c’è più bisogno di voi”
Quella relazione scompare. Nessuno ne parla più. Nessuno la cerca. Nessuno la ritrova.
Di una cosa siamo certi con la scomparsa della relazione, dove erano appuntati i numeri dei telefoni dei fratelli Graziano, presumiamo, per quanto ne sappiamo, che nessuno fece gli accertamenti su quei numeri che potevano essere importanti per approfondire in quale ambiente i fratelli Graziano si muovevano.
Bastava un accertamento attraverso il terminale elettronico della Polizia di Stato.
Bastava un semplice clik che sarebbero apparsi i due nomi dei fratelli Graziano controllati dalla Criminalpol di Catania.
Perchè di questa vicenda non è emerso mai niente?
Perchè la magistratura non è andata mai fino in fondo?
Del resto non è un mistero: era risaputo che i costruttori palermitani erano in stretto contatto con la famiglia mafiosa dei Madonia di Palermo.
Nel Borsellino quater i giudici scriveranno che “i fratelli Graziano erano i prestanomi” dei Madonia nel cui territorio rientrava anche il controllo della via D’Amelio, il teatro della strage.
Va peraltro segnalato, com’è noto, che una delle regole che vigeva all’interno di Cosa nostra era che nessun attentato poteva essere compiuto sul territorio senza il preventivo consenso del capomandamento del territorio dove doveva eseguirsi un omicidio.
Com’è altrettanto noto il Giuseppe Madonia di Palermo venne condannato all’ergastolo per la strage di via D’Amelio
Perchè non si eseguirono le indagini necessarie su numeri di telefoni dei fratelli Graziano?
L’unico dato certo e che all’epoca l’ente gestore “Sip” cancellava i tabulati telefonici dopo dieci anni con il risultato che tutto cadde nel vuoto “istituzionale”.
Del resto la pista da seguire era quella voluta da quelle Entità esterne a Cosa nostra che avevavo ordinato la strage: bisognava vestire il pupo che aveva un nome e cognome Vincezo Scarantino il falso pentito che inquinò i primi due processi sulla strage dove perse la vita il giudice Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta.
Lo stesso Ravidà è sempre stato convinto che su quegli elementi evidenziati nella relazione di servizio erano state compiute indagini. Solo molto tempo dopo, da colleghi della Dia, apprenderà che “fu ritrovata e che furono fatti accertamenti”. Ma non si saprà mai cosa ne emerse.
Una telefonata dimenticata
Il racconto dell’ex commissario della Dia, all’epoca in servizio presso la Criminalpol, si fa ancora più preciso quando ricorda anche una coincidenza più che inquietante
“Quando andammo a testimoniare al Quater (Ravidà si riferisce a quarto processo sulla strage di via D’Amelio) incontrai un collega del 113. Un centralinista. Mi disse che in concomitanza con la strage raccolse una telefonata anonima in cui si diceva che nel palazzo dei Graziano c’era un movimento strano di persone”
Una circostanza che risulterà davvero strana se messa in stretta relazione allo scenario descritto dagli agenti di polizia della Criminalpol catanese che quando arrivano il lunedì non trovarono nessuno in cantiere.

Cosa ci fanno gli uomini di Arcangioli attorno al Palazzo sparito?
I misteri divengono ancora più fitti perchè, a quanto pare, quel palazzo doveva essere attenzionato. Lo prova la presenza degli uomini di Arcangioli sotto il palazzo dei Graziano.
Giovanni Arcangioli, all’epoca capitano dei carabinieri, è il famoso ufficiale che venne ritratto in una foto con in mano la borsa di Borsellino, all’interno della quale vi era l’Agenda Rossa poi sparita nel nulla.
Il Graziano, tra l’altro, sentito al Borsellino quater, affermo il falso, dicendo di essere stato da solo nel momento in cui fu controllato da Ravidà e aggiunse che suo fratello, al momento del controllo, non era insieme a lui ma era, addirittura, fuori Palermo e aggiunse che il palazzo era stato controllato da carabinieri senza rilevare nulla di anomalo.
Ora, considerato che per raggiungere il Palazzo dei Graziano bisognava fare il giro dell’isolato perchè via D’Amelio, all’epoca, era una strada a fondo cieco. Ciò che divideva il Palazzo e via D’Amelio era un giardino quindi viene da chiedersi
Perche’ i Carabinieri pochi istanti dopo l’esplosione si interessarono a quello stabile in costruzione?
Vi era qualche altro con Arcangioli e i suoi uomini che venne accompagnato in quel palazzo?
Furono mai sentiti gli uomini di Arcangioli sul perche’ si trovavano sotto il palazzo dei Graziano?
Un’occasione investigativa ignorata?
Tutto ciò che emerge da questa racconto è una profonda amarezza che si legge negli occhi dell’ex commissario Ravidà.
Il suo racconto, tra le altre cose, non appare dall’oggi al domani ma risulta consacrato in diverse deposizioni offerte dinnanzi alla Corte, in particolare nel procedimento passato alla storia come Borsellino quater e nel primo procedimento del cosiddetto “Depistaggio” che venne messo in atto in via D’Amelio subito dopo la strage
“Se c’era una possibilità di sviluppare un filone di indagine serio… non è stato fatto. E oggi mi chiedo il perché non è stato fatto”
Il palazzo dei Graziano — undici piani, visuale perfetta, presenze sospette, telefonini, vetri “scudati”, cicche di sigaretta, una telefonata anonima — sparisce dalle carte processuali. Come se non fosse mai esistito. Eppure è lì, ancora oggi, visibile da via D’Amelio.
“Noi possiamo in questo momento farci delle domande, anche perché quel palazzo porta — che lo si voglia o no — ad altri personaggi molto più importanti degli stessi Graziano e, verrebbe da dire, anche molto più importanti degli stessi boss mafiosi”
Perchè si preferì imboccare la via del falso pentito Scarantino fino al punto di far sparire un palazzo di undici piani?
E in questo contesto che ruolo hanno avuto i servizi segreti di Contrada e Narracci in questa tragica vicenda?
Ho letto questo art del “Palazzo scomparso” di via D’Amelio, ove il mio ex collega della Dia – Mario Ravidà -,afferma che ci sarebbero state relazioni di servizio scomparse. Chiedo scusa se sono scoppiato a ridere. Sin da subito dico che, questo articolo solleva un inutile polverone. Non c’è nessun mistero. Si reitera ancora una volta la posizione del dr Contrada, ormai definitamente acclarata. Risulta dall’audizione del magistrato Patronaggio, alla Commissione parlamentare antimafia-, che egli essendo di turno insieme al suo collega Pilato, intervenne nell’immediatezza della strage di via D’Amelio. Patronaggio ha riferito di aver fatto subito un sopralluogo coi carabinieri, (ecco cosa ci facevano i carabinieri li Ravidà) proprio sul palazzo, che nell’articolo si afferma d’essere “scomparso”, ovvero quello dei Graziano. Parimenti, fu fatto un altro sopralluogo del palazzo dei Graziano, dall’ispettore Lo Presti di Palermo, che fece dettagliata relazione di servizio. Quindi Ravidà, ha fatto un terzo sopralluogo, ma nel giorno dopo. Poi per quanto riguarda la telefonata anonima al 113, ritengo che chi la fece non sapesse che le persone viste fossero poliziotti. E quindi appare plausibile che le cicche di sigarette viste da Ravidà, potessero appartenerne agli intervenuti. Figuriamoci se un magistrato, carabinieri e colleghi della polizia di Stato, non l’avessero repertati. Concludo dicendo, che mi rifiuto di credere, conoscendo i mafiosi palermitani, che per compiere un attentato di siffatta portata si facciano scoprire sul tetto di un palazzo come dilettanti allo sbaraglio. Aspetto con curiosità il seguito
{una domanda perché Mario Ravida’non ha repertato le cicche di sigarette avendo sospettato che potessero appartenere agli autori della strage? A Capaci fu fatto subito
La mia sulle cicche era una domanda. Sono state repertate le cicche e se si conosce l’esito?
riceviamo da Mario Ravidà e pubblichiamo
In questi giorni, ho rilasciato delle interviste a Bongiovanni Guglielmo in merito ad episodi di cui sono stato compartecipe nelle indagini effettuate insieme al Colonnello Michele Riccio per l’omicidio di Luigi Ilardo e per le mie conoscenze, a seguito una mia aggregazione a Palermo, il giorno dopo la strage di via D’Amelio.
Rispondo al “Grande” Pippo Giordano, con il quale non concordo nulla di quello che sino ad oggi ha affermato con le sue “visioni” investigative sulla strage di via D’Amelio e non solo.
Sebbene non sia mia abitudine non contraddire mai o attaccare i colleghi di quanto operativamente compiuto nella loro carriera, questo suo scritto lo ritengo estremamente offensivo, in quanto credo di aver mai fatto ridere nessuno in quello che ho espletato durante il mio ex lavoro.
Sino ad oggi non sono mai intervenuto e non ho mai contraddetto Pippo Giordano ma, dato che si permette di intervenire su una mia intervista relativa al sopralluogo di nel palazzo dei Graziano, fatta insieme al collega Arena e quindi senza tema di smentita su quello che abbiamo sempre dichiarato in piu’ processi, gli rispondo con delle semplici domande in modo che anche egli sia in grado di poterle capire:
1)perché la relazione che io e Arena abbiamo fatto non era nel fascicolo della strage? ( e non lo affermo io ma lo dice un nostro collega del gruppo stragi diretto da La Barbera nel primo processo sui depistaggi che di questa relazione non aveva mai saputo nulla e ne mai si era parlato di questo nostro sopralluogo nel palazzo ne mai l’aveva vista nei fascicoli relativi alla strage;
2)come mai ci hanno fatto immediatamente rientrare a Catania quando, tu sai benissimo che le missioni fuori sede, per aggregazione investigative, nel nostro ex Ufficio, difficilmente duravano, in media, meno di 15 giorni? Figuriamoci in un evento come quello di via D’Amelio.
3) a prescindere delle tue risate, gli intervenuti conoscevano chi erano i Graziano e a quale famiglia mafiosa risultarono “vicini”? Te lo dico io, se tu non lo sai, erano molto “legati” ai Madonia che tu e qualche altro, dovreste sapere che ruolo hanno avuto nella strage in argomento.
4) nella nostra relazione vi erano inseriti i numeri di telefono dei cellulari che avevano in uso i due Graziano ( sebbene ancora, al tempo, l’utilizzo dei cellulari non era diffuso), il fatto che non si rinveni’ in un primo momento la nostra relazione non credi che abbia impedito lo sviluppo dei tabulati per accertare con chi si erano, eventualmente, sentiti i due Graziano nel momento della strage? Gli intervenuti, prima di noi, come tu dici, non si accorsero neanche di questo particolare del possesso dei cellulari dei due Graziano per potere perlomeno verificarne i contatti avuti dato che si trattava di persone ritenute “vicino” alla famiglia mafiosa dei Madonia con precedenti penali specifici per mafia?
5) come mai nessuno attenziono’ per successivi sviluppi investigativi quel palazzo e i sui costruttori, anche se la nostra relazione non era in atti? Forse gli intervenuti prima di noi, ritennero che non era il caso farlo sebbene questi elementi? E perche’ con questi presupposti, anche senza la conoscenza della nostra relazione non sono state sviluppate indagini in tal senso? Forse le ritennero, gli investigatori e chi interveni’ prima di noi, non degne di essere attenzionate sebbene la grandissima gravita’ per quello che era accaduto in via D’amelio e precedentemente a Capaci?
6) tu sai benissimo che chi e’ aggregato in un’altro Ufficio non di sua appartenenza, si rimette alle disposizioni che riceve dagli appartenenti a quell’Ufficio dove si e’ aggregati, se non altro per educazione.
Dopo la nostra telefonata al 113 in cui fornimmo i nominativi dei Graziano per un controllo al terminale elettronico ( CED) e l’operatore ci rispose che avevano precedenti per mafia, lo stesso operatore ci chiese dove ci trovavamo e che ci stava inviando altro personale in ausilio. Giunsero sul posto i colleghi della Criminalpol di Palermo che conoscevamo di vista e presero loro in mano l’iniziativa per ulteriori accertamenti. Quindi, anche eventuali rilievi di polizia scientifica da fare. Noi, da buoni ed educati aggregati, a quel punto, non avendo neanche motivo di sospettare di nulla di quello che emerse successivamente in ordine a collusioni e depistaggi, ci siamo limitati a fare una relazione di servizio inserendo i dati ed in particolare i numeri dei cellulari in uso ai Graziano che tu sai benissimo, credo, che erano in contatto oltre che con il Dott. Contrada ( come afferma il giornalista Nicola Biondo nel servizio giornalistico in cui sono stato intervistato) anche con chi e’ stato successivamente condannato per quella strage e cioe’ appunto uno dei Madonia di Palermo.
Sai cosa penso Pippo Giordano? Che credo proprio che quel palazzo e quello che non e’ stato fatto, sarebbe stato proprio il caso di iniziare una attivita’ investigativa mai compiuta sebbene, ripeto, quelli che io considero eclatanti elementi che dovevano essere obbligatoriamente sviluppati.
Spero che continuerai a ridere leggendo il seguito di quanto dichiarero’. Un forte abbraccio…!…