“Chi ha paura del nome Delle Chiaie?”
Un’informativa dimenticata, tre verbali secretati, e la pista nera cancellata dalle indagini sulle stragi. Coincidenza o strategia?
Un’informatrice ignorata e un’informativa sepolta
….Continuiamo da dove avevamo lasciato il racconto della prima parte sulla pista nera della strage di Capaci il quadro che in questa parte del racconto emerge e sempre più simile a quello che aveva raccontato Luigi Ilardo al colonnello Riccio: servizi segreti, mafia, eversione di destra sembra essere un tutt’uno.
Ma torniamo alla nostra storia!
Non vedendo alcun progresso nelle indagini, Maria Romeo decide di rivolgersi a un altro reparto dei Carabinieri.
Siamo nell’autunno del 1992. Da quella sua segnalazione nasce una nota informativa destinata a diventare uno dei documenti più ignorati e scomodi della storia recente.
È la nota informativa del 5 ottobre 1992, firmata allora dal capitano Gianfranco Cavallo, oggi generale di corpo d’armata.
Il documento viene trasmesso a numerosi magistrati e ufficiali: i dottori Vittorio Aliquò, procuratore aggiunto presso la procura di Palermo; Giovanni Tinebra, capo della procura di Caltanissetta e Salvatore Celesti, procuratore presso la pretura circondariale di Palermo.
L’informativa venne inviata anche agli ufficiali dei carabinieri Emlio Borghini, a capo del gruppo dei carabinieri Palerno I e Giovanni Adinolfi capo della sezione anticrimine del Ros
Il suo contenuto è dirompente.
Si legge che, nell’aprile del 1992, un mese prima della strage di Capaci, Stefano Delle Chiaie, accompagnato dal suo avvocato Stefano Menicacci, avrebbe preso contatti diretti con il boss Tullio Troia e parlato di un viaggio a Capaci per procurarsi dell’esplosivo da una cava.
Non una cava qualunque.
Quella cava era di Giuseppe Senzale, lo stesso che — insieme ad Antonino Troia — verrà arrestato l’anno seguente all’informativa proprio per la strage di Capaci.
Eppure, nonostante il collegamento diretto e documentato, su Stefano Delle Chiaie non verrà mai aperta un’indagine.
Un documento “scomodo” trasmesso… e poi scomparso
Secondo l’ex procuratore genrale di Palermo, Roberto Scarpinato, la nota del capitano Cavallo venne inviata a un gran numero di autorità.
Tra queste, anche al prefetto di Palermo, in quanto si sospettava che Delle Chiaie stesse progettando un attentato contro il magistrato Giuseppe Ayala.
La nota finì anche:
al comando provinciale dei Carabinieri di Palermo,
al ROS di Palermo.
Eppure, nessuno reagì.
Peggio: le informative scomparvero dagli archivi.
Scomparvero anche dal fascicolo riservato su Maria e Domenico Romeo, dove — per logica — avrebbero dovuto essere custodite.
Scarpinato è netto: “Arnaldo La Barbera viene incaricato di fare delle indagini e afferma che Stefano Delle Chiaie non è mai stato in Sicilia”.
Un’affermazione smentita dalla banca dati della polizia, che invece ne attestava la presenza.

Il procuratore Tinebra e le indagini date ai servizi
La nota Cavallo come detto, arriva anche al capo della procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra.
È lo stesso magistrato che affida le indagini sulle stragi ai servizi segreti, nella persona di Bruno Contrada, nonostante sapesse — secondo Scarpinato — che Mutolo aveva detto a Borsellino che Contrada era colluso con la mafia.
Tinebra non gira l’informativa ai magistrati titolari delle indagini, ma la tiene per sé.
La invia ai Carabinieri di Palermo, che però non rispondono.
Li sollecita una seconda volta. Silenzio.
Alla fine, Tinebra archivia l’informativa senza informare nessuno.
Una nota che riemerge anni dopo: i verbali segreti
La nota firmata da Cavallo non è persa per sempre.
Molti anni dopo, viene ritrovata dal sostituto procuratore Gianfranco Donadio negli archivi della Direzione Nazionale Antimafia.
Donadio decide di agire.
Nel 2007 convoca Alberto Lo Cicero per un colloquio investigativo.
Quasi vent’anni dopo. Un verbale che rimane ancora oggi secretato.
Cosa disse Lo Cicero?
Lo sappiamo solo grazie all’intervista che Paolo Mondani di Report fece a Donadio:
«Lo Cicero conosceva circostanze e fatti estremamente importanti, soprattutto sul peso specifico della famiglia mafiosa di San Lorenzo, da sempre legata a esponenti della destra eversiva».
Il messaggio anonimo e il verbale segreto
Un giorno, Paolo Mondani riceve un messaggio vocale anonimo.
Contiene i passi decisivi del verbale secretato di cui darà conto nella puntata di Report andata in onda nelle scorse settimane.
Ecco le parole attribuite ad Alberto Lo Cicero, sentito il 5 maggio 2007:
“Ho conosciuto Stefano Delle Chiaie a casa di Maria Romeo a Palermo. Ricordo con precisione che poco prima della strage di Capaci si trovava sul posto dove hanno messo l’esplosivo per la strage per effettuare un sopralluogo con una macchina blu. Io stesso lo vidi lì più di una volta. Ricordo di aver avvisato i Carabinieri prima dell’attentato, segnalando strani movimenti vicino all’autostrada. Diciamo che per suggellare il rapporto con la politica, Delle Chiaie presenziò all’ultima fase preparatoria dell’attentato di Capaci.”
Lo Cicero avrebbe anche riferito di aver incontrato Borsellino.
La testimonianza di Maria Romeo
Il 10 maggio 2007, Donadio interroga anche Maria Romeo.
“Nel 1992, prima delle stragi, ho rivisto a Palermo Stefano Delle Chiaie in compagnia di mio fratello Domenico e dell’avvocato Menicacci. Mi risulta, per averlo sentito in casa di mia madre, che al telefono Delle Chiaie parlava espressamente di esplosivo da ritirare presso la cava di Capaci. A Borsellino ho parlato una volta soltanto al tribunale, mentre Alberto era interrogato da Vittorio Teresi. Alberto ha parlato diverse volte con Borsellino.”
La procura di Caltanissetta rifiuterà di credere a questo racconto.
Ma Gianfranco Donadio è di diverso avviso:
“Alberto Lo Cicero, dal mio punto di vista, incontrò Paolo Borsellino.”
La Barbera e i sopralluoghi con presenze “estranee”
Nel 2012, Donadio sente anche Gioacchino La Barbera, pentito e partecipe diretto della strage di Capaci.
Il contenuto è top secret.
Il sotituto Donadio si è limitato a dire che “La Barbera parlò della presenza di soggetti esterni per la vicenda Capaci”
Ma grazie a Report possiamo ricostruire un passaggio fondamentale.
Ecco cosa avrebbe detto La Barbera il cui racconto ha delle strette somiglianze con le dichiarazioni del pentito Lo Cicero
“Della scelta del sito dove mettere la bomba sono stati sempre presenti, oltre a me stesso, Antonino Gioè, Pietro Rampulla, Giovanni Brusca, Antonino Troia e Salvatore Biondino. C’erano anche persone che non conoscevo, non appartenenti a Cosa Nostra, accompagnate da Troia. Lasciavano le auto lontano dal casolare. Durante il riempimento dei bidoni con l’esplosivo, c’erano persone estranee a Cosa Nostra come a voler supervisionare il tutto. Gioè non mi disse mai chi fossero, ma mi diceva però che stavamo facendo qualcosa che era più grande di noi e che si stava entrando in un’altra era
Più in alto fin dov’è?
Forse anche i servizi segreti prendevono ordini da qualcuno oltre oceano?
Un suicidio sospetto e un collegamento con Bologna
Sappiamo con certezza che uno dei protagonisti di quei giorni, Nino Gioè, muore impiccato in carcere nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1993.
La morte verrà classificata come suicidio.
Una morte stranissima sulla quale ancora si indaga.
Sembra che Gioè era pronto a collaborare con la giustizia e forse aveva troppo da dire a partire dagli incontri che aveva avuto con Paolo Bellini, estremista di destra, appartenente ad Avanguardia Nazionale, condannato in appello per la strage di Bologna del 2 agosto 1980.
Il segreto investigativo e le domande che restano
Perché i colloqui investigativi fatti da Donadio con Lo Cicero e La Barbera sono ancora secretati dopo vent’anni?
Il segreto di Stato può essere posto anche per i reati di strage, terrorismo e di mafia?
Il legale di Salvatore Borsellino, avv. Fabio Repici, risponde:
“Non esiste nessuna legge che impone la segretazione di quei colloqui. Anzi.”
Perché la procura di Caltanissetta non ha ritenuto credibili Maria Romeo e Lo Cicero?
Repici è diretto:
“Perché ha rifiutato di acquisire i verbali dei colloqui investigativi del 2007.”
Ma in fase di indagini non dovrebbero essere raccolti tutti gli elementi ed eventualmente poi decidere sulla base di quali prove?
Archiviazioni a ripetizione e depistaggi istituzionali
Il 13 agosto 2021, la procura di Caltanissetta chiede di archiviare l’indagine sui mandanti esterni della strage di via D’Amelio.
Ma il 18 maggio 2022, la giudice Graziella Luparello rigetta la richiesta e ordina nuove indagini sulla pista nera.
In particolare sull’intreccio tra la mafia siciliana ed esponenti della destra eversiva.
Il 28 novembre 2024, la procura ci riprova: nuova richiesta di archiviazione.
La motivazione? “Non sono emersi elementi convincenti.”
Così, la pista nera sulla strage di Capaci viene ufficialmente archiviata nel 2024.
Tutto ciò potrebbe significare che se un nuovo giudice non chiederà nuove indagini Alberto Lo Cicero finirà nel dimenticatoio nazionale.
L’amarezza sta nel fatto che forse se si fosse data maggiore attenzione alle dichiarazioni di Lo Cicero ad aprile e maggio del 1992 sarebbero stati individuati Salvatore Biondino, Giovan Battista Ferrante e Antonino Troia mentre operavano per la strage di Capaci.
Il maresciallo Giustini e la verità che brucia
Il brigadiere Alberto Giustini, primo ad aver raccolto le confidenze di Lo Cicero, viene rinviato a giudizio per depistaggio e calunnia.
Un paradosso.
Pur rispettando il lavoro della procura di Caltanissetta la vicenda Giustini ci sembra assurda come ha spiegato a Report il legale di Salvatore Borsellino, fratello del giudice assassinato in via D’Amelio.
Repici parte nel suo racconto dall’8 gennaio 1993 quando venne arrestato in Piemonte Balduccio Di Maggio e la settimana dopo, il 15 gennaio del 1993, quando toccò a Totò Riina, arrestato a Palermo.
Balduccio Di Maggio, all’epoca, fece il nome di un personaggio che poteva essere colui che accompagnava Totò Riina e poiché non lo conosceva personalmente sbagliò l’indicazione del nome chiamandolo Biondo Lillo. Ebbene la sera prima della cattura di Riina a far sapere ai carabinieri dell’allora colonnello Mario Mori che quel Biondo Lillo si chiamava Salvatore Biondino fu proprio il maresciallo Giustini grazie alle rivelazioni che aveva ricevuto da Alberto Lo Cicero.
Tutto ciò crediamo debba andare a favore della piena credibilità di Lo Cicero e Giustini.
Del resto le dichiarazioni di Lo Cicero e di Maria Romeo erano confluite in due informative dei carabinieri del 10 e 12 giugno del 1992, inviate alla procura di Caltanisetta e Palermo, dove Lo Cicero e Romeo sono ritenute fonti attendibili, credibili e riscontrate.
Un quadro disarmante
Alberto Lo Cicero e Maria Romeo sono delle fonti importanti perchè coinvolgono anche il giudice Paolo Borsellino che, come abbiamo visto nella prima parte della nostra ricerca sulla pista nera, nel giugno del 1992, partecipa ad un lavoro di coordinamento tra la procura di Caltanissetta e quella di Palermo avente ad oggetto le informazioni di Lo Cicero su delle Chiaie.
Lo stesso Borsellino aveva lasciato un’istruzione in base alle quali doveva essere lui il primo ad interrogare Lo Cicero nel momento in cui sarebbe entrato nello status di collaboratore di giustizia.
Infine come abbiamo visto c’è l’informativa Cavallo, del 5 ottobre del 1992, dopo le stragi, dove si descrive l’attività di Stefano Delle Chiaie a Capaci con i sopralluoghi e alla ricerca di esplosivo. Informativa mandata a diverse autorità.
Eppure tutte queste relazioni spariscono.
Altro fatto singolare è che a compiere quelle indagini sarà Arnaldo La Barbera, il controverso capo della squadra mobile di Palermo accusato di depistaggio nella strage di via D’Amelio appartenente ai servizi segreti con il nome in codice Rutilius.
La Barbera dirà che Stefano Delle Chiaie non è mai stato in Sicilia nonostante i database della polizia dicono diversamente.
Peraltro va aggiunto che a ricevere l’informativa Cavallo era stato anche il capo della procura di Caltanissetta Tinebra che affida le indagini ai servizi segreti nella persona di Bruno Contrada.
Tinebra che non ricevendo le riposte richieste archivia il tutto senza dire nulla.
L’informativa Cavallo sparisce e viene ritrovata da Donadio negli archivi della sede nazionale dell’Antimafia.
A quel punto il sostituto effettua tre colloqui investigativi: due nel 2007 con Maria Romeo e con Albeto Lo Cicero e l’altro nel 2012 con il collaboratore di giustizia Gioacchino La Barbera che da una versione del tutto compatibile a quella fornita da Lo Cicero sulla presenza di Stefano Delle Chiaie.
Nonostante tutto ciò la procura di Caltanissetta ne prende atto e li ritiene inspiegabili e chiede l’arresto, prima che muoia, dell’avvocato di Stefano Delle Chiaie, Stefano Menicacci
L’arresto di Menicacci e il mistero venezuelano
Menicacci viene arrestato perchè era stato intercettato mentre cercava di convincere i suoi interlocutori che Delle Chiaie non era mai stato in Sicilia.
Cosa voleva proteggere?
Forse la risposta si trova nelle carte sequestrate nel covo venezuelano di Delle Chiaie nel 1987?
Carte che parlano di un piano di disinformazione per scagionare l’estrema destra dalle stragi?
Ma questa…
è un’altra storia.
Che racconteremo la prossima volta.
Quando parleremo dei legami tra Delle Chiaie, la P2, Licio Gelli e gli Uffici Affari Riservati di Federico Umberto D’Amato.
Da qui riparte la ricerca della verità: in tutte le stragi che hanno bagnato con il sangue il nostro Paese, da Piazza Fontana, alla strage di Piazza della Loggia a Brescia, dalla strage di Bologna passando per la strage di Ustica fino ad arrivare alle stragi di Capaci e via D’Amelio i servizi segreti italiani sembrano avere giocato un ruolo attivo, da protagonista.
Forse dovremmo partire a chiederci per conto di chi lavoravono i servizi italiani?
Per il nostro governo o per qualcuno oltre oceano?
Guglielmo Bongiovanni
CONTINUA