Oltre Dell’Utri: i politici e gli imprenditori nelle rivelazioni di Luigi Ilardo
«…E’ vero, l’intreccio mafia e politica in Sicilia è avvenuto. La maggior parte dei delitti politici in Sicilia non sono mai stati a favore di Cosa Nostra, che ha subito solo danni, quelli che ne hanno tratto vantaggi sono stati solamente i politici, incominciando dall’assassinio di Mattarella, Pio La Torre e Insalaco…»
Luigi Ilardo
Le rivelazioni non si fermano a Dell’Utri
…Continua dal post Mafia e Politica
Avevamo lasciato Luigi Ilardo mentre indicava in Marcello Dell’Utri il primo grande nome del nuovo equilibrio tra mafia e politica. Ma quello non era che l’inizio.
Le sue rivelazioni al colonnello Michele Riccio, minuziosamente annotate e trasmesse alla magistratura, non si fermavano a un solo nome.
Ilardo parlava di una rete, fatta di referenti politici di livello nazionale e locale, che andava ben oltre Forza Italia.
Nella sua ricostruzione, emergono uomini della Democrazia Cristiana, del Partito Socialista Italiano, e di Alleanza Nazionale.
Alcuni cercavano voti. Altri volevano silenzio. Altri ancora, semplicemente, protezione e affari.
Tutti — secondo Ilardo — avevano un prezzo.
Politici e borghesia mafiosa: lo scenario tracciato da Ilardo
Il nuovo scenario circa i rapporti tra mafia e politica, delineato da Luigi Ilardo, indicava un contesto dove, questa volta, erano gli imprenditori a gestire la campagna elettorale dei candidati politici della coalizione di centro destra, stabilendo i contatti con le cosche mafiose, così facendo, si evitava il rischio di esporre a pericoli i candidati stessi.
Quella stessa borghesia mafiosa di cui ha parlato in molte occasione l’ex magistrato, oggi senatore pentastellato, Roberto Scarpinato nel delineare un quadro politico attuale inquietante.
Del resto Ilardo amava ripetere a Riccio delle parole che suonavano in questi termini
“Caro colonnello, cambiano gli interpreti ma lo scenario rimane lo stesso”


Salvo Lima e Giovanni Gioia “Gli uomini d’onore al servizio di Cosa Nostra”
In uno dei tanti incontri che il colonnello Michele Riccio ebbe con il suo infiltrato Ilardo, dove si affrontava il delicato tema dei rapporti mafia e politica, Ilardo ebbe a dire a Riccio che conosceva politici di un certo rilievo, uomini d’onore, a suo dire, come i democristiani Salvo Lima, braccio destro di Andreotti in Sicilia, ucciso a Palermo il 12 marzo del 1992, verosimilmente per non avere rispettato gli impegni presi con i boss mafiosi e Giovanni Gioia. Entrambi potenti esponenti della Dc.
Su questi due nomi eccellenti della politica siciliana Ilardo si era riservato di parlarne in un secondo momento.


Ligresti e Gardini: gli “amici riservati” dello Zio Binnu
Così come Ilardo ebbe a dire che ne avrebbe parlato in modo più dettagliato, quando sarebbe entrato ufficialmente nel programma di protezione dei testimoni, quando si fece scappare due nomi che rientravano tra gli “amici riservati” dello Zio Binnu: Salvatore Ligresti e Raul Gardini personaggi di primo piano, figure emblematiche, dell’imprenditoria italiana.
Salvatore Ligresti, siciliano, chiacchierato per i suoi presunti rapporti con la mafia è finito in carcere per l’inchiesta “mani pulite” e condannato a 2 anni e 4 mesi di reclusione ha scontato la sua pena affidato ai servizi sociali. Costruttore travolto dagli scandali, il tangentista che dava mazzette direttamente a Craxi, l’imprenditore che grazie ai suoi buoni rapporti con la politica è stato salvato dalle banche quand’era sull’orlo del fallimento e che venne arrestato nell’ambito dello scandalo passato alla storia come Tangentopoli e accusato di corruzione per aggiudicarsi gli appalti per la costruzione della metropolitana di Milano e delle Ferrovie Nord.
Ancora più misteriosa la fine di Raul Gardini. Negli anni ottanta diventò celebre per la scalata alla Montedison. In seguito Gardini realizzò con l’Eni la fusione delle attività chimiche dei due gruppi, fondando Enimont, di cui ENI e Montedison possedevano il 40% ciascuno, mentre il restante 20% era nelle mani del mercato azionario.
Fu trovato morto nella sua casa di Milano, il settecentesco palazzo Belgioioso, il 23 luglio 1993: dalle conversazioni con i suoi legali delle ultime ore, era apparso molto scosso dalla notizia del suicidio nel carcere di San Vittore di Gabriele Cagliari, ma anche dalla consapevolezza che gli inquirenti di Mani Pulite puntassero oramai su di lui.
Salvo Lima, Giovanni Gioia, Salvatore Ligresti e Raul Gardini personaggi di primo piano della politica siciliana e dell’imprenditoria italiana.
Ilardo, nel 1996, avrebbe certamente potuto fornire ulteriori tasselli di verità che avrebbero permesso di fare piana luce su un sistema politico-affaristico e mafioso al cui interno navigavano imprenditori, massoni, mafiosi, politici, servizi deviati.
Un dato che amareggia e che va peraltro tenuto bene in mente e che tutte le informazioni che Ilardo faceva al colonnello Riccio erano oggetto di relazioni di servizio e di “referto giudiziario”, consegnati alla magistratura competente.


Mannino e l’omicidio Guazzelli
Ilardo non si limitò solo a fare in nomi dei politici che riteneva parte integrante della mafia siciliana ma allargò l’orizzonte anche a quegli esponenti che erano vicini, conniventi o meglio collusi con l’associazione criminale Cosa Nostra.
Ilardo cita, come raccontato da Riccio, Carmelo Santalco già senatore della Dc, per molti anni sindaco di Barcellona Pozzo di Gotto. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, anche lui intratteneva rapporti con l’imprenditore mafioso Francesco Gitto. Il figlio Giuseppe è stato avvocato difensore di alcuni mafiosi, e con uno di questi è stato anche coimputato prima di essere assolto.
Fece il nome dell’on. democristiano Calogero Mannino, più volte ministro, che secondo Ilardo era strettamente controllato dalla famiglia di Cosa Nostra di Agrigento.
Nel citare questo esponete rilevante della Dc Ilardo riferisce anche che l’omicidio del maresciallo dei carabinieri Giuliano Guazzelli doveva leggersi come un segnale di avvertimento nei confronti del politico essendo noti i suoi rapporti di stretta amicizia con il militare ferito a morte.
Anche su questa vicenda Ilardo aveva rinviato ogni approfondimento in un secondo momento.
Anche su questa tragica vicenda si è persa l’occasione di avere ulteriori elementi di riscontro su quanto andava dicendo Ilardo per far piena luce su questo tragico episodio.
Ilardo venne barbaramente ucciso
Mannino, pur essendo stato coinvolto in più inchieste, invece, sarà sempre assolto.


Alleanza Nazionale e Forza Italia: i candidati sostenuti da Cosa Nostra
Ma Ilardo non si ferma qui.
Continua nella sua azione silenziosa, a dispetto di quanti, ancora oggi, denigrano e offendono un uomo che aveva avuto il coraggio di scegliere la parte con cui stare: lo Stato.
Quello stesso Stato che, purtroppo, lo tradirà la sera del 10 maggio del 1996.
Nella Sicilia Orientale Ilardo aveva fatto dei nomi sui quali dovevano convergere i voti di Cosa Nostra: il senatore Antonino La Russa, di Paternò e di suo figlio Vincenzo, per la lista unica: Alleanza Nazionale e Forza Italia.
Per la zona di Caltanissetta Ilardo chiama in causa Luigi Bruno Raimondo Maira, di San Cataldo. Addirittura per questo candidato si era creata una lista ad hoc “Solidarietà Occupazione-Sviluppo” visto che Maira era fin troppo chiacchierato per le sue amicizie “pericolose”.
A conferma che Forza Italia con i suoi alleati fosse il quadro politico di riferimento, tanto che Provenzano faceva trapelare nell’ambiente a lui legato che questa volta si era “nelle mani giuste”, sono gli incontri che lardo aveva avuto, in più occasioni, con il senatore Giuseppe Roberto Grippaldi di Alleanza Nazionale per seguire i lavori della discarica di Enna.
Ancora una volta la promessa era che in caso di vittoria si sarebbe impegnato a far ottenere leggi più garantiste e nuove strategie giudiziarie ed economiche più favorevoli per Cosa Nostra.
PSI e Cosa Nostra: Salvo Andò e i rapporti con la mafia
Ilardo volle aggiungere anche altri nomi di esponenti politici che a detta sua erano vicini a Cosa Nostra spingendosi fino ad indicare l’ex ministro socialista Salvo Andò come politico vicino a Cosa Nostra.
Ecco cosa scrivono Ranucci e Biondo nel loro libro “Il Patto” in merito all’ex ministro socialista
«Ha avuto una brillante carriera politica tra gli anni Ottanta e i Novanta fino a diventare ministro della Difesa nel giugno 1992. Nel 1993 la Procura di Catania lo indaga per voto di scambio con Cosa nostra, a partire dalle confessioni di alcuni collaboratori di giustizia. In uno degli ultimi covi del boss latitante Nitto Santapaola, la polizia trova un cartoncino con l’intestazione «Camera dei Deputati» su cui è scritto a penna: «Cari saluti, Salvo Andò».
L’ex ministro viene assolto, ma come scrivono Ranucci e Biondo
«finisce coinvolto in un’inchiesta per tangenti sul centro fieristico catanese “Le Ciminiere”, tirato in ballo dall’imprenditore Francesco Finocchiaro. Andò è condannato in primo grado a cinque anni e sei mesi, e in appello a quattro anni; poi la cassazione annulla con rinvio, e nel secondo appello scatta la prescrizione grazie alle attenuanti generiche».
Ma sulle vicende inerenti ai rapporti tra Psi e Cosa Nostra ci torneremo più avanti con i racconti di Luigi Ilardo.
Un elenco lungo e dimenticato
Ilardo cita anche Pippo Campione, già presidente dell’Antimafia, e il deputato Dc Vincenzo Coco (e non senatore come diceva Ilardo) ma su entrambi non emergerà mai niente.
L’elenco non si esaurisci qui.
Ilardo cita anche l’avvocato Gianfranco Occhipinti e Dino Madaudo, socialdemocratico, già sottosegretario agli interni che ha avuto stretti rapporti con mafiosi importanti della provincia di Catania e Messina, acclarati anche da rapporti di polizia.
Fa anche il nome di Saverio D’Acquino, già sottosegretario agli interni del Pli nel 1992. Ecco cosa scriveranno Ranucci e Biondo nel “Patto”
«compare nell’inchiesta sull’omicidio del giornalista messinese Beppe Alfano, ma senza conseguenze penali. Le indagini sulla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, hanno rivelato che D’Aquino intratteneva rapporti di affari con l’imprenditore mafioso Francesco Gitto, il quale aveva dato in affitto ai carabinieri un proprio fabbricato da utilizzare come caserma nella stessa Barcellona».
La voce di Ilardo: annotata, ignorata, spenta
Al colonnello Riccio non rimaneva che annotare nelle sue agende tutto quello che Luigi Ilardo gli andava dicendo.
Una voce, quella di Ilardo, che fu definitivamente spenta il 10 maggio del 1996, a pochi giorni dal suo ingresso nel programma di protezione.
Era un testimone scomodo. Sapeva troppo. Doveva morire.
Ma ciò che avete letto non è un’astrazione, né un’ipotesi suggestiva: è un racconto fondato su fonti ufficiali e pubbliche, redatto con rigore.
I nomi, i legami, gli intrecci che Ilardo riferì — e che oggi continuano a disturbare il quadro ufficiale delle cose — li troverete nero su bianco:
nel dossier scritto dal colonnello Michele Riccio e pubblicato su AntimafiaDuemila;
nel libro Strategia Parallela, frutto del lavoro di Anna Vinci e dello stesso Riccio, dove la figura dello “Zio” e i contatti con i politici emergono con chiarezza;
e ne Il Patto, l’inchiesta giornalistica firmata da Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci, che ricostruisce i passaggi chiave di un sistema criminale che ha cambiato volto ma non sostanza.
- In diverse sentenze a cominciare da quella passata alla storia “Trattativa Stato Mafia”
Luigi Ilardo parlava di un patto che andava oltre la mafia, un meccanismo in cui tutto si tiene: le protezioni, i voti, i silenzi, i nomi.
Non tutto è ancora stato ascoltato.
Non tutto è stato spiegato.
Ma ciò che era stato detto, era già abbastanza per spegnere per sempre quella voce.