“Fascismo, servizi, P2: la lunga ombra sulla strage di Bologna”

2 agosto 1980 – 2 agosto 2025. Bologna non dimentica. L’Italia deve ancora fare i conti con la verità

Alle 10.25 del 2 agosto 1980, nel cuore dell’estate e nella pancia pulsante d’Italia, la stazione ferroviaria di Bologna venne dilaniata da un ordigno ad altissimo potenziale collocato nella sala d’aspetto di seconda classe. L’esplosione fu devastante: il crollo della struttura, trenta metri di pensilina divelti, due carrozze del treno in sosta al primo binario investite dall’onda d’urto. Una mattanza che colpì decine di famiglie, viaggiatori ignari, bambini, pendolari, studenti.

Ottantacinque morti. Oltre duecento feriti. Un Paese paralizzato dallo sgomento.

Nel caos e nella disperazione, Bologna si trasformò in una gigantesca macchina solidale di soccorso e assistenza. I cittadini, i medici, i pompieri, le infermiere, gli autisti, gli studenti… tutti si gettarono tra le macerie. Una città ferita ma non piegata.

Nel pomeriggio arrivò il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Con parole che rimasero impresse nella memoria collettiva, dichiarò:
«Siamo di fronte alla impresa più criminale che sia avvenuta in Italia, al più grave attentato dell’Italia repubblicana».

Da quel giorno iniziò anche una delle indagini più complesse e insidiose della storia giudiziaria italiana. A quarantacinque anni di distanza, l’iter processuale non è ancora concluso. Eppure, molto è stato chiarito. E molto altro è stato ostacolato.

Dopo decenni di depistaggi, la verità giudiziaria ha un nome: fascismo, servizi deviati, P2.

Dopo anni di rimozioni sistematiche, omissioni volute e depistaggi orchestrati, la Corte di Cassazione ha definitivamente accertato la matrice neofascista dell’attentato. La strage fu opera dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari, in stretta connessione con settori infedeli dello Stato.

Sono stati condannati in via definitiva come esecutori materiali:

  • Giusva Fioravanti,

  • Francesca Mambro,

  • Luigi Ciavardini,

  • Paolo Bellini e Gilberto Cavallini

Condannati per depistaggio:

  • Licio Gelli, il gran maestro della loggia massonica P2,

  • Pietro Musumeci e Francesco Belmonte, ufficiali del SISMI affiliati alla P2,

  • Francesco Pazienza, faccendiere legato agli ambienti dei servizi.

Ma è il cosiddetto processo ai mandanti a rendere ancora più inquietante la profondità della trama. In secondo grado sono stati condannati:

  • Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, per concorso in strage;

  • Piergiorgio Segatel, ex capitano dei Carabinieri, per depistaggio;

  • Domenico Catracchia, amministratore degli immobili di via Gradoli, per aver fornito false informazioni al PM per sviare le indagini.

Il 1° luglio 2025, la Corte di Cassazione ha reso definitive queste condanne:
ergastolo per Paolo Bellini,
6 anni per Segatel,
4 anni per Catracchia

Una rete nera, istituzionale e criminale

La strage di Bologna fu un atto terroristico di matrice fascista, ma non isolato. Fu coperta e protetta da settori deviati dei servizi segreti, e trovò copertura politica e logistica in ambienti eversivi interni allo Stato. La loggia P2 – la stessa che nel suo programma “a medio e lungo termine” prevedeva la separazione delle carriere dei magistrati per controllare la giustizia – aveva previsto anche questo: caos, sangue e destabilizzazione per consolidare un nuovo ordine autoritario.

Le condanne raccontano un pezzo di verità, ma non tutta la verità.

La cosiddetta “legge sicurezza” recentemente approvata, offrendo impunità retroattiva per taluni atti dei servizi, rischia oggi di costituire un’ulteriore barriera alla trasparenza. È una ferita ancora aperta per chi cerca giustizia, per i familiari delle vittime, per la città di Bologna e per l’Italia democratica.

Per non dimenticare. Per continuare a chiedere verità e giustizia.

Sono passati 45 anni. Ma il tempo non ha cancellato la memoria. Non ha spento la voce dei parenti. Non ha offuscato la gravità di quanto accaduto.

La strage di Bologna non fu solo un atto terroristico. Fu un messaggio allo Stato da dentro lo Stato. Fu una prova generale di sovversione. E ancora oggi, in certi silenzi e in certi archivi, il rumore di quell’esplosione continua a risuonare.

Del resto la storia giudiziaria del Paese, grazie a indagini e processi, ha sufficientemente provato che dietro molti delitti eccellenti e stragi che hanno destabilizzato il Paese vi era la presenza di servizi segreti.

Non fu un fulmine a ciel sereno. Fu strategia. Strategia della tensione. E noi non dimentichiamo.

Per onorare le vittime, per rispettare la verità, per proteggere la democrazia: raccontare Bologna significa raccontare l’Italia più buia, ma anche l’Italia che resiste.

Per non dimenticare