La misteriosa riunione di Roma

Ilardo doveva Morire

“Ilardo come Gioè uccisi perchè sapevano dei legami con la destra eversiva”

"La misteriosa riunione di Roma: le rivelazioni di Luigi Ilardo e il silenzio delle Istituzioni".

Era il 2 maggio del 1995 una data difficile da dimenticare se si vuol conoscere a fondo la tragica storia di Luigi Ilardo. Presso la sede dei ROS di Roma avvenne un incontro che segnò uno dei momenti più controversi nella storia della lotta tra Stato e mafia. Luigi Ilardo, ex uomo d’onore, catanese e collaboratore di giustizia, si presentò al summit con rivelazioni capaci di sconvolgere gli equilibri tra mafia, eversione nera, politica e settori deviati dello Stato. Tuttavia, quella riunione, che vide la partecipazione di alti magistrati e ufficiali delle forze dell’ordine, rimane avvolta da un alone di mistero: nessun verbale ufficiale venne redatto, e gli appunti presi sparirono nel nulla. Cosa accadde davvero in quel summit?

Un incontro ai vertici: chi c'era?

Il summit si svolse nel cuore del comando del ROS dei Carabinieri, a Roma. Presenti alla riunione c’erano il colonnello Michele Riccio, il magistrato Giancarlo Caselli, capo della procura di Palermo, Giovanni Tinebra all’epoca a capo della procura di Caltanissetta e la dott.ssa Teresa Principato, magistrato antimafia, che all’epoca collaborarva con Caselli. Luigi Ilardo era l’uomo al centro dell’incontro, pronto a fornire dettagli su crimini eccellenti e intrecci tra mafia e Stato.

Ma l’episodio che segnò l’incontro accadde prima che iniziasse ufficialmente. Ilardo incrociò il colonnello Mario Mori nei corridoi del comando e dopo che il colonnello Riccio ebbe a presentarlo Ilardo affermò senza mezzi termini

«Molti attentati addebitati e commessi da Cosa Nostra erano stati commissionati dallo Stato».

Una frase di una gravità inaudita, alla quale Mori rispose con un silenzio eloquente: abbassò lo sguardo, uscì dalla stanza e non si fece più vedere per il resto della giornata.

Mario Mori e Mauro Obinu, all'epoca capo e vice-capo dei Ros

Le dichiarazioni di Ilardo

Ma altri episodi eloquenti non tardarono ad arrivare. Era giunto il momento il momento dell’incontro. Tutto accadde in pochi istanti come ci è stato ripetuto in diverse sedi dal colonnello veneto Michele Riccio. Ilardo entrando nella stanza incrociò lo sguardo del procuratore Tinebra, voluto a quella riunione dal generale Mori. Ilardo non si scompone, anzi, saluta la dottoressa Principato perché donna e perchè della squadra del procuratore Caselli, si sposta con la sedia davanti a Caselli perchè era con lui che voleva parlare.

Ilardo non era un mafioso qualsiasi, non aveva omicidi da confessare, ma apparteneva a quel gotha ristretto di Cosa nostra che in tempi passati si collocava nell’area grigia in cui il mondo legale si confonde con quello illegale, deviato, dove non esistono contorni precisi: in quello spazio entrambe le élite, avevano costruito accordi e alleanze. Ilardo era colui che aveva conosciuto personaggi legati ai servizi segreti e al mondo dell’eversione nera, come Pietro Rampulla, l’artificere di Cosa Nostra. Conosce uomini che hanno rappresentato il trade union tra mafie e massoneria come Chisena e Luigi Savona. Ilardo era colui che aveva indicato Vinicio Rampulla come esperto nel confezionare ordigni per conto di Cosa Nostra responsabile, secondo l’Ilardo, ad aver confezionato l’esplosivo a Capaci dove perse la vita il giudice Giovanni Falcone.

Durante la riunione, Ilardo cominciò a raccontare ciò che sapeva. Il suo intervento toccò omicidi eccellenti, come quelli dell’onorevole Pio La Torre, del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, dell’ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco e del piccolo Claudio Domino. Parlò anche dei poliziotti Antonino Agostino ed Emanuele Piazza e del fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone nel 1989.

Secondo Ilardo, tutti questi delitti erano stati commessi da Cosa Nostra, ma non in modo autonomo: dietro molte di queste azioni si celavano settori deviati dello Stato, con il supporto dei servizi segreti. Durante il suo racconto, Ilardo descrisse anche una figura inquietante, un uomo il cui volto deturpato gli valse il soprannome di “faccia da mostro”. Secondo il pentito, questo individuo operava nei servizi segreti e aveva un ruolo cruciale nel coordinare molte delle operazioni mafiose su richiesta di apparati statali.

Ilardo fu il primo a chiamare in causa Marcello Dell’Utri. Ma il suo nome non venne mai inseirito nel rapporto “Grande Oriente” perchè così fu ordinato al colonnello Riccio.

Marcello Dell'Utri condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto nel processo della presunta trattativa Stato-mafia

I misteri attorno al summit

Ciò che rende questa riunione ancora più oscura sono le stranezze che la circondano.

Resta incomprensibile la ragione per quale, pur decidendo che quelle prime dichiarazioni rese da Ilardo siano state considerate importanti, tanto che avrebbero dovuto fatto scattare il programma di protezione per l’ex uomo d’onore siciliano e per la sua famiglia, non si capisce perchè non sia stato redatto un verbale di quello che accadde dentro quella stanza.

L’amarezza diviene sconcerto nell’aver saputo che di quella riunione gli unici appunti furono presi dalla dott.ssa Principato. Appunti poi andati persi, come confermato dallo stesso giudice antimafia in occasione di un trasloco

Risulta anche incomprensibile l’atteggiamento dell’allora capo della procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra che oltre ad interrompere la riunione più volte propose di aggiornare il summit nei giorni successivi.

Ma chi era il capo della procura nissena?

Non è mistero che attorno a questo personaggio aleggiano delle ombre a cominciare dal depistaggio delle indagini sui tragici fatti di via D’Amelio

Perchè Ilardo non lo degnò di nessuna attenzione disponendo la sua sedia solo di fronte il giudice Caselli?

Perchè non si pose subito sotto protezione Ilardo?

Perché lo Stato non ha protetto un uomo che poteva scardinare i segreti di Cosa Nostra?

Forse qualcuno dei presenti era già a conoscenza che Cosa Nostra sapeva del doppio gioco di Ilardo?

L’ex pm Pacifico non ha dubbi nell’affermare che già da almeno un paio di mesi prima della sua uccisione i vertici di Cosa Nostra sapevano del doppio ruolo di Ilardo.

Il mistero resta!

Teresa Principato all'epoca dei fatti membro della DDA palermitana, i suoi appunti andarono persi e il mistero su quel summit con Ilardo rimane ancora avvolto nel buio
Giancarlo Caselli a capo della procura di Palermo dal gennaio del 1993. Preso il posto dell'ex capo della procura palermitana Pietro Giammanco
Luigi Ilardo avrebbe potuto scardinare i piani di Cosa Nostra e svelare gli intrecci tra mafia ed eversione nera, politica, affari e massoneria ma qualcuno decise di chiudergli la bocca per sempre

Un capitolo oscuro nella lotta alla mafia

La riunione di Roma, le rivelazioni di Luigi Ilardo e i comportamenti ambigui di alcuni dei partecipanti rappresentano un capitolo oscuro della lotta tra Stato e mafia.

Quel che è certo e che Luigi Ilardo venne assassinato nel 1996, pochi giorni prima di poter formalizzare le sue dichiarazioni con un interrogatorio davanti agli organi inquirenti. Solo dopo otto giorni dal summit di Roma. Davvero strano tanto da far pensare che Ilardo doveva morire e che quell’accelerazione nell’esecuzione della sentenza di morte ci stia qualcosa di indicibile.

La morte di Ilardo segnò la fine della vita di un uomo che avrebbe potuto portare alla luce molte verità sui legami tra criminalità organizzata e apparati statali, tra mafia e il mondo dell’eversione nera e con la massoneria.

Ma quella verità è rimasta sepolta, insieme agli appunti perduti e ai silenzi di chi avrebbe potuto parlare. Oggi, a distanza di anni, il mistero di quella riunione resta uno dei più grandi nodi irrisolti nella storia della giustizia italiana.

Guglielmo Bongiovanni

Questo articolo ha un commento

  1. Guglielmo Bongiovanni

    Questo è il commento di Gigi Orlando che ha avuto dei problemi legati alla pittaforma del mio sito che ho risolto quidi vi posto il commento del nostro caro amico e lettore che finisce il suo commento con una domanda:
    “Non conosco la figura della Principato. Ma appare chiaro che Tinebra abbia avuto una posizione più che ambigua nelle diverse vicissitudini che legano Mafia, Politica e Massoneria al nostro Paese.
    La vicenda di Riccio e Ilardo delinea i protagonisti di questo binomio come due persone impegnate, ognuno nel proprio ruolo, alla lotta dello Stato contro la criminalità. Non ho usato la parola Mafia, in modo consapevole, poiché il crimine non ha alcuna appartenenza, esso può esistere in diversi settori della società. Il comune denominatore è rappresentato dalla menzogna.
    Arrivo al punto che mi rende perplesso. Ossia la figura di Caselli. Già nell’occasione della perquisizione mancata del covo di Riina, mi lasciarono sorpreso alcune delle sue dichiarazioni in merito. Non sapevo o non ricordavo questo episodio del 2 maggio de ’95. Ma ancora una volta Caselli ne esce, se vogliamo essere buoni, come ingenuo. Ma può l’ingenuità essere un tratto di una personalità che ha rappresentato un’icona della giustizia italiana ?
    Questa domanda la porrei a Nino Di Matteo, della cui intuizione ed analisi mi fido”.

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