
ll Coordinamento dei Familiari delle Vittime contro il Ddl Sicurezza: “Con l’art. 31 si tradiscono la democrazia e la verità sulle stragi”
Un duro comunicato denuncia l’approvazione dell’articolo 31 del Ddl Sicurezza: “Ignorati i nostri appelli, negato il diritto di parola. Si tornano a legittimare gli abusi dei servizi segreti”
“Una scelta grave, antidemocratica e lesiva dei diritti costituzionali”. Con queste parole il Coordinamento nazionale delle Associazioni dei familiari di vittime delle stragi e del terrorismo condanna fermamente l’approvazione in Commissione Affari Costituzionali e Giustizia del Senato del Disegno di legge Sicurezza, con particolare riferimento al contestato articolo 31, considerato una pericolosa retromarcia nella tutela dei diritti fondamentali dei cittadini.
Secondo il Coordinamento, che raccoglie le voci di chi ha perso i propri cari nelle più tragiche pagine della storia repubblicana – da Piazza Fontana a Via D’Amelio, da Capaci al rapido 904 – l’approvazione del provvedimento in Commissione rappresenta
“un dispregio assoluto degli appelli espressi da più parti affinché il testo venisse rivisto in chiave democratica e costituzionalmente conforme”.
Nonostante la richiesta formale di essere ascoltati in audizione, inviata anche al Presidente del Senato, la Commissione Affari Costituzionali ha negato la possibilità di un confronto, limitandosi a offrire la possibilità di inviare una memoria scritta. Una risposta giudicata dal Coordinamento “illogica e contraddittoria”, poiché se è ammessa una memoria, non si comprende il motivo del rifiuto a un’audizione – strumento evidentemente più incisivo ed efficace. Inoltre, sottolineano i firmatari, non esiste alcun termine perentorio che impedisca la riapertura delle audizioni, secondo quanto previsto dalla prassi regolamentare delle commissioni parlamentari.
La preoccupazione principale è l’estensione delle garanzie funzionali anche a reati gravissimi come il terrorismo, che potrebbe vanificare le correzioni introdotte dalla riforma del 2007, spalancando di nuovo la porta agli abusi da parte degli apparati di intelligence. “Questo articolo – si legge nel comunicato – ci riporta pericolosamente alle condizioni che hanno consentito, in passato, ai servizi segreti di esercitare un potere opaco, che ha prodotto depistaggi sistematici, se non vere e proprie complicità, nella gestione delle stragi di Stato”.
Il Coordinamento definisce “beffarda” la giustificazione secondo cui i termini per le audizioni sarebbero chiusi, soprattutto alla luce del fatto che il Ddl Sicurezza non è un decreto-legge e dunque non soggetto a scadenze imminenti. Offrire l’opportunità di trasmettere una memoria – ben sapendo che la votazione era già calendarizzata e sarebbe avvenuta di lì a pochi giorni – appare come un atto puramente formale, privo di reale volontà di ascolto.
Ad aggravare ulteriormente il clima di chiusura e arroganza istituzionale, il Coordinamento cita le parole del Senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia), che a fronte delle proteste ha dichiarato: “Noi andiamo avanti sia con il provvedimento, sia con l’art. 31. Se ne facciano una ragione”. Un’affermazione che, secondo le famiglie delle vittime, fotografa perfettamente l’atteggiamento del Governo e della maggioranza: nessuna volontà di confronto, nessuna apertura al dialogo.
Il Coordinamento lancia dunque un accorato appello alle forze politiche democratiche presenti in Parlamento affinché intervengano in aula per modificare l’articolo 31 e riportarlo entro i limiti costituzionali. “Non possiamo accettare – si legge nel comunicato – che, in nome di una generica ‘tutela della sicurezza nazionale’, si mettano a repentaglio libertà e diritti dei cittadini”.
Infine, si fa appello al Presidente della Repubblica, perché eserciti tutta la sua autorevolezza istituzionale affinché il provvedimento venga modificato o, in caso contrario, rinviato alle Camere.
Il messaggio è chiaro: le famiglie delle vittime chiedono verità, giustizia e democrazia. E non resteranno in silenzio di fronte a norme che rischiano di sancire l’ennesima regressione della nostra Repubblica nella zona grigia dell’impunità e della menzogna di Stato.