Il Caso Moschella: Le Rivelazioni di Luigi Ilardo e il Silenzio della Storia
“Molti degli attentati che sono stati attribuiti esclusivamente a Cosa Nostra, in realtà i mandanti risiedono nelle Istituzioni.”
(Luigi Ilardo, maggio 1996)
“Allora l’hanno fatto.”
(Chisena Giovanni, commentando l’uccisione di Aldo Moro)
“Servizi segreti, Brigate Rosse e Cosa Nostra. Anche di questo Ilardo avrebbe dato spiegazione, se fosse giunto vivo in sede di collaborazione ufficiale con la giustizia”
La conclusione a cui perviene il colonnello veneto Michele Riccio che gestì il pentito Ilardo fino al giorno della sua morte, la condividiamo appieno perchè suffragata da dati di fatto.
Difatti, se c’è un nome che emerge dalle confidenze di Luigi Ilardo con Michele Riccio, un nome che riporta a scenari inquietanti e trame mai del tutto svelate, è quello di Luigi Moschella, originario di Messina, massone, l’artefice del contatto tra Cosa Nostra e le Brigate Rosse.
Chisena, come racconta Riccio alla seconda Commissione d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, in quel tempo ha un riferimento a Torino.
Ilardo mi dice:
« Noi già andavamo a Torino negli anni 1976-77 e avevamo un contatto con le Brigate rosse»[1]
Continua ancora Riccio a precisare
Io l’ho scritto anche nel rapporto giudiziario di allora. Il contatto era con un imprenditore. L’ho scritto nel rapporto Grande Oriente e nelle mie relazioni di servizio. Io rimango sbalordito, quando mi dà questa notizia, tant’è vero che poi, quando la riferisco al dottor Caselli e a Mori, vedo che sobbalzano, e allora mi sono detto «È una cosa… ». Sapevo che era importante. Però non è stato fatto nulla[2]
Un nome che era stato portato a conoscenza degli organi inquirenti, magistratura e Ros, ma sul quale, stranamente, non si ritiene di dover approfondire l’attività investigativa.
Ilardo come racconta ancora Riccio con dovizia di particolari riferì che era un contatto operativo:
« Noi ci incontravamo presso la chiesa
di Santa Rita. Era un imprenditore di 50-55
anni e noi spesso, quando andavamo a
Torino, ci appoggiavamo in casa della sorella o del fratello di Chisena, che abitavano a Torino. Noi incontravamo questo esponente delle Brigate rosse. Grazie…»[3]
Qual era il nome dell’imprenditore? Si è mai indagato in questa direzione?
Quel che noi sappiamo, a detta di Riccio, questo nome l’avrebbe fatto Ilardo se fosse riuscito ad arrivare vivo il giorno del suo pentimento ufficiale. Purtroppo in mezzo ci sono i nove colpi di pistola che chiusero per sempre la bocca al pentito siciliano.
La sensazione che Moschella non fosse una semplice pedina nello scacchiere della criminalità organizzata, ma un nodo cruciale nella rete di relazioni tra mafia, Stato e apparati deviati sembra essere del tutto legittima.
Luigi Moschella che era stato pubblico ministero nel processo che si tenne a Torino contro le Brigate Rosse che vide tra gli imputati personaggi di vertice all’interno di quella organizzazione terroristica quali Renato Curcio, Alberto Franceschini.
Luigi Ilardo, l’uomo che avrebbe potuto cambiare la storia della lotta alla mafia, il confidente che aveva condotto gli inquirenti a un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano, si era spinto oltre il racconto tradizionale su Cosa Nostra. I suoi discorsi con il colonnello Michele Riccio non si limitavano ai boss siciliani o agli omicidi eccellenti. Parlavano anche di figure meno note, di uomini dell’ombra, di connessioni che superavano i confini della mafia per affondare nei gangli stessi dello Stato.
E qui entra in gioco Moschella, l’amico di Chisena, legati da una comune passione: il debole per le opere d’arte e l’antiquariato. Il suo nome non è un’eco qualunque: affiora nelle memorie investigative del colonnello Riccio come un tassello già comparso in indagini condotte anni prima, durante il servizio del militare sotto il comando del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e del colonnello Nicolò Bozzo. Ilardo lo cita a più riprese, sottolineando il suo ruolo all’interno di un sistema in cui la mafia non è solo mafia, ma qualcosa di più, un ingranaggio di un meccanismo molto più grande.
Ma prima di addentrarci nella vasta rete degli intrecci perversi tra mafia, massoneria, brigate rosse e quale ruolo in questo contesto esercitò il massone Chisena concentrerei l’attenzione su questo ambiguo personaggio che era il dott. Luigi Moschella!





Moschella: Il Magistrato nella Rete del Potere Oscuro
L’interesse di Riccio per Moschella non nasce nel vuoto. Già negli anni ‘70, il colonnello si era imbattuto nel suo nome, in un’epoca segnata da attentati dinamitardi, da una strategia della tensione in cui la criminalità organizzata e gli ambienti eversivi dell’estrema destra e della massoneria si muovevano su un terreno comune. Non è un caso, quindi, che il nome torni fuori dalle confidenze di Ilardo come un fantasma del passato, un richiamo a quegli anni in cui la mafia non era solo la cupola siciliana, ma un attore chiave nelle strategie oscure di destabilizzazione.[4]
L’indagine del colonnello Riccio su Moschella non era una semplice pista investigativa. Era il tentativo di ricomporre il puzzle di un sistema di connivenze che andava ben oltre la semplice criminalità. E Ilardo, con le sue informazioni, era il testimone più prezioso di questo intreccio.
Chi era davvero Luigi Moschella?
Era un uomo dai molteplici volti: magistrato di Messina, legato alla massoneria, con un debole per le opere d’arte e l’antiquariato, un settore che gli avrebbe garantito contatti con personaggi di dubbia reputazione. Ma soprattutto, Moschella era un uomo dei Servizi, un magistrato che non si limitava a indagare, ma partecipava attivamente ai giochi di potere.
Nel 1978, quando si aprì il primo processo alle Brigate Rosse a Torino, Moschella ricoprì un ruolo chiave. Ma secondo Riccio, la sua presenza non era casuale. Le sue connessioni con ambienti mafiosi e massonici lo rendevano un perno strategico per il mantenimento di un delicato equilibrio tra i vari poteri occulti. Non doveva emergere nulla che potesse compromettere il grande disegno
Siamo nel 1978, per cui prima ancora i Servizi conoscevano che il loro uomo Gianni Chisena, insieme ad Ilardo, incontravano Moschella.
Ma se ci fossero dubbi dell’amicizia che intercorreva tra Chisena, Ilardo e Moschella basti segnalare che il 15 aprile del 1986, giorno dell’arresto del magistrato messinese, i carabinieri sequestrano un’agenda telefonica ove era segnata l’utenza telefonica “in uso alla masseria di Lentini, vicino Catania, della famiglia Ilardo, dove al quel tempo risiedeva Chisena”
Sempre in quella agenda accanto ad altro numero c’era l’annotazione “Savona mass” a conferma di quello che mi aveva sempre detto l’Ilardo che il magistrato fosse un massone e amico di Luigi Savona, altro siciliano Gran Maestro della loggia torinese Ciclopi-Club, nata per rinsaldare le relazioni siculo-torinesi[5]
Ancora una volta la domanda è d’obbligo si è mai indagati in questa direzione?
Altro dato sconcertante che ci pone numerosi interrogativi e che era notorio a tutti e che Moschella, prima delle sue vicende giudiziarie, avesse dei rapporti poco chiari. Come lo stesso colonnello Riccio ebbe a precisare
Affidare un processo così delicato, che aveva visto già la morte di Fulvio Croce, a un magistrato notoriamente conosciuto per i suoi rappporti con la criminalità organizzata non mi sembra del tutto lineare, perchè i servizi segreti avrebbero dovuto segnalare che un magistrato aveva questi rapporti…[6]
Sappiamo l’amaro finale che venne riservato all’Italia onesta. Il 9 maggio del 1978, in via Caetani a Roma, venne ritrovato il corpo senza vita dell’onorevole Moro. Lo stesso giorno il Chisena e Ilardo fanno rientro in Sicilia dop un incontro avuto con i Servizi segreti a Roma.
Sulla vicenda Moro torneremo a breve, quello che vogliamo segnalare e che anche in questa occasione risulteranno profetiche le rivelazioni di Ilardo al colonnello Riccio. Nell’apprendere dalla radio che Moro era stato ucciso Chisena ebbe ad esclamare
«Allora l’hanno fatto. L’hanno voluto fare!»
Al che si chiude in silenzio e, ovvia-
mente, Ilardo mi dice: «Poi ne parleremo
meglio quando collaborerò ». Però mi fa comprendere che è stata una decisione presa… Mi fa comprendere che mentre Chisena si attendeva un esito, se ne è verificato invece un altro»[7]
I Nomi che Emergono: Andreotti, Tanassi e l’Ufficio Affari Riservati
Le indagini di Riccio portano alla luce anche i nomi eccellenti che gravitavano attorno a Moschella e alle operazioni occulte. Tra questi:
- Giulio Andreotti, che secondo Moschella era estraneo allo scandalo petrolifero, ma la cui figura emergeva comunque nelle indagini.
- Mario Tanassi, ex ministro della Difesa, più volte coinvolto in inchieste su corruzione e servizi deviati.
- L’Ufficio Affari Riservati del Viminale, che secondo Moschella era il vero burattinaio dietro molte operazioni coperte[8].
Tutto ciò seppur meritevole di studi e ricerche ci porterebbe lontano dalla vicenda Ilardo.
Ciò che appare meritevole di approfondimento è uno degli elementi più inquietanti di questa tragica vicenda che riguarda un biglietto del traghetto Messina-Villa San Giovanni, ritrovato nel borsello di Antonio Chichiarelli, il falsario autore del falso comunicato n.7 delle BR, quello che depistò le indagini indicando il Lago della Duchessa come luogo in cui sarebbe stato gettato il corpo di Moro, un mistero su cui Ilardo avrebbe potuto fornisce un tassello di verità su una vicenda che ha cambiato il corso della nostra storia….
COSE NOSTRE: IL DOPPIO INGANNO ANDATO IN ONDA SULLA RAI IL 3 GIUGNO DEL 2024
Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, l’ex pm nel processo Ilardo, Pasquale Pacifico, l’ex funzionario di polizia Mario Ravidà di stanza alla Dia di Catania, all’epoca dei fatti, delineano, in queste breve filmato, uno scenario agghiacciante che si nasconde dietro la morte di Luigi Ilardo.
Nelle parole del Ravidà ascolterete dei brevi riferimenti a Gianni Chisena
Note
[1] Audizione del colonnello Michele Riccio del 26 aprile del 2017 (II Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro);
[2] Idem;
[3] Idem;
[4] Il dottor Luigi Moschella è stato inquisito e condannato solo per la
ricettazione di alcuni lingotti d’oro, per le sue relazioni con un tale Gonella, un delinquente che gestiva il bar del tribunale di Torino. Se l’è cavata dal punto di vista amministrativo, però è stato condannato per ricettazione (Vedi Anna Vinci e Michele Riccio, La Strategia Parallela, Zolfo, 2024);
[5] Audizione del colonnello Michele Riccio del 26 aprile del 2017 (II Commissione parlamentare d’inchiesta sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro);
[6] Idem;
[7] Idem;
[8] Per chi volsse approfondire la parte dell’inchista condotta dal colonnello Riccio e la sua lunga attività contro il terrorismo e la mafia consiglio: Anna Vinci e Michele Riccio, La Strategia Parallela, Zolfo, 2024