“Cento Secondi”

Contrada e i cento secondi che sconvolsero via D’Amelio: misteri, depistaggi e verità negate

Nella storia italiana della strage di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta, i misteri non mancano. Anzi, sembrano moltiplicarsi col passare degli anni. Si è scritto molto, si è parlato ancora di più. Ma una cosa è certa: più si approfondisce, più si scava, più ci si rende conto che pezzi interi della verità sono stati fatti sparire.

E quando la verità scompare, in Italia, spesso dietro c’è l’ombra lunga dei servizi segreti.

In questa vicenda tragica e surreale, dove spariscono documenti e dove un intero edificio sembra cancellato dalle indagini, i servizi hanno avuto un ruolo che — diciamolo chiaramente — non è stato mai realmente chiarito.

Proprio i servizi di sicurezza che oggi, grazie a un decreto approvato dal governo e firmato dal Presidente Mattarella, godono di un ampliamento di poteri tale da garantire l’impunità anche nei casi più gravi.

Già, perché oggi in Italia, in un Paese dove i servizi, o almeno una parte di essi, hanno avuto un ruolo “cattivo e attivo” nelle stragi di sangue, si garantisce loro copertura e silenzio per legge.

Risponderanno solo al Presidente del Consiglio in barba alla Costituzione che definisce la nostra una democrazia parlamentare

Ma questa è un’altra storia.

Quella che vogliamo raccontarvi oggi riguarda invece proprio una delle tante storie in cui i servizi sono protagonisti occulti: la strage di via D’Amelio. Con due nomi su tutti: Bruno Contrada e Lorenzo Narracci

Quel 19 luglio la pista che portava a Contrada

“La verità è come l’acqua: cerca sempre di riaffiorare.”

Era una calda domenica, il 19 luglio 1992, quando una Fiat 126 imbottita di tritolo saltò in aria, uccidendo Paolo Borsellino e i suoi agenti di scorta.

Questa tragica vicenda ha molte sotto-trame. E tra queste ce n’è una che porta dritta ai vertici dei servizi segreti attivi in Sicilia in quegli anni.

Non si tratta di insinuazioni. È stato anche Luigi Ilardo, confidente del ROS poi assassinato, ebbe a definire Bruno Contrada: “l’anello di congiunzione tra mafia e istituzioni, l’uomo dei misteri“.

Bruno Contrada, ex numero tre del SISDE, fu a capo della Squadra mobile di Palermo e capo della sezione siciliana della Criminalpol

Indagato tre volte, archiviato tre volte

“Tre volte la verità ha bussato. Tre volte è stata respinta.”

Tra il 1992 e il 2002, Contrada viene iscritto tre volte nel registro degli indagati dalla DDA di Caltanissetta per concorso in strage con riferimento a via D’Amelio. E per tre volte la sua posizione viene archiviata dal gip, per mancanza di riscontri concreti. L’ultima archiviazione è firmata dal giudice Giovanbattista Tona l’8 gennaio 2002.

Ma è proprio in quel decreto che viene descritta una vicenda così singolare da meritare un titolo tutto suo: “I misteri dei cento secondi”.

Cento secondi, una bomba e il Sisde già informato

“In cento secondi si può cambiare la storia. O insabbiarla.”

Secondo quanto riportato nel decreto, i tabulati telefonici in uso a Bruno Contrada rilevano una telefonata alle 17:00 in punto del 19 luglio 1992 diretta al centralino degli uffici SISDE di Palermo. Ora, per chi avesse bisogno di una nota di contesto: la bomba esplose alle 16:58.

E allora sorge la domanda: com’è possibile che due minuti dopo l’esplosione qualcuno già sapesse che era avvenuto un attentato in via D’Amelio e telefonasse al Sisde?

Contrada, nelle sue dichiarazioni, afferma che la domenica del 19 luglio era uscito di casa in tarda mattinata e si era recato a prelevare la sua amica Maria Poma e si era diretto al porto di Palermo, dove aveva un appuntamento con il suo amico Gianni Valentino e sua moglie per una gita in barca

“Erano partiti intorno alle 13 e sulla barca, oltre a Contrada, la Poma, Valentino e la moglie c’erano due marinari”

Ma il racconto si fa ancora più fitto perché a quanto risulta Valentino aveva, nel frattempo, preso appuntamento con un altro funzionario del Sisde, il dott. Narracci, fedelissimo di Contrada, il quale lo stesso giorno sarebbe uscito in mare a bordo della sua barca.

Effettivamente dai tabulati relativi all’utenza del Valentino si ricava che il giorno della strage, alle ore 12,46, egli aveva telefonato ad un’utenza cellulare intestata ad una società di copertura del SISDE ed in uso al dott. Narracci.

Appena un minuto prima da quella stessa utenza, Narracci aveva effettuato una breve telefonata a Contrada

Gianni Valentino amava frequentare gli ambienti legati ai Servizi. Del resto ciò sembra provato non solo dalle agende dello stesso Contrada, ma anche dai tabulati telefoni intestati al Valentino e al negozio di abiti da sposa di cui lo stesso Valentino risultava titolare.

Ma non solo: emergeva anche che il Valentino era un personaggio noto al collaboratore di giustizia Calogero Ganci il quale aveva indicato il Valentino

“come soggetto al quale esponenti della sua cosca, in più occasioni si rivolsero peer accedere ai favori del personale della polizia”

A quanto ci è dato sapere i due natanti si incontrarono al largo e nell’imbarcazione del Narracci stavano il capitano Paolo Zanaroli e altre due ragazze.

Mare, sole e pranzo sulla barca del Valentino e nel pomeriggio, secondo il racconto di Contrada, Narracci e Zanaroli si allontanarono per accompagnare le due ragazze che erano con loro per fare ritorno alle ore 16 circa.

Durante la navigazione “sarebbe arrivata una telefonata ad uno dei cellulari del Valentino da parte della figlia che informava il padre che era scoppiata a Palermo una bomba e comunque c’era stato un attentato. Da lì, le chiamate al Sisde. Da lì, il ritorno a terra.

Ma le tempistiche non tornano. Nemmeno un po’!

In 100 secondi, accadono le seguenti cose

La bomba sventra via D’Amelio: l’esplosione è fissata esattamente alle ore 16:58 e 20 secondi.

Dopo 100 secondi, Bruno Contrada chiama dal suo cellulare il centro Sisde di via Roma a Palermo, in una calda domenica di luglio che stranamente risulta popolato di agenti negli uffici quando, solitamente, la domenica sono chiusi e a suo dire ottiene conferma dell’attentato.

In mezzo a quei centro secondi esiste, però, un’altra telefonata: quella che ha avvertito Valentino dell’esplosione di una bomba.

Tutto in cento secondi un misterioso informatore -Contrada dice la figlia dell’amico Valentino – afferra la cornetta di un telefono fisso, dunque non identificabile dai tabulati, forma il numero di Valentino e l’avverte dell’accaduto; Valentino informa Contrada e gli altri; Contrada afferra a sua volta il cellulare, compone il numero del Sisde e ottiene la risposta dagli efficientissimi agenti presenti negli uffici

Un tempismo da sceneggiatura. Peccato che questa non sia fiction.

Come poteva sapere la figlia di Valentino, a pochi secondi dal “botto” che c’era stato un attentato?

Come poteva sapere il Sisde che era esplosa una bomba in via D’Amelio solo dopo 100 secondi?

Le prime volanti giungono in via D’Amelio 10/15 minuti dopo lo scoppio e le prime confuse notizie che ci pervennero, in quell’inferno di fuoco e di morte, risalgono alle 17:30.

Del resto tutto risulta consacrato in migliaia di atti e sentenze pronunciate sull’eccidio di via D’Amelio come quella delle sale operative di polizia e carabinieri che parlavano genericamente di “esplosione” e di “incendio nella zona della Fiera” fino alle 17:10/17:15 senza ancora aver individuato il luogo preciso della strage.

Eppure Valentino e Contrada, in alto mare, pochi secondi dopo dell’esplosione sapevano tutto

Narracci, Zanaroli, e le versioni che si contraddicono

“Quando la memoria vacilla, la verità trema.”

Il racconto fornito da Contrada trova conferma nelle dichiarazioni di Narracci. Ma è il capitano Zanaroli a introdurre elementi discordanti: afferma che sulla barca erano solo in due e che sentirono l’esplosione dal mare, vedendo poi muoversi un furgone dei carabinieri verso Palermo.

Zanaroli sostiene che fu Contrada a telefonare al 113 e al centro operativo SISDE usando il cellulare di Narracci. E aggiunge che lui stesso chiamò il 112. Ma dalle indagini non risultano queste chiamate. Dall’utenza cellulare di Narracci non ci sono chiamate al 112 o al 113 immediatamente dopo l’attentato.

I tabulati parlano chiaro

“I numeri non mentono”

In compenso, risulta che Contrada alle 17:00 e alle 17:51 chiamò il centralino del SISDE di Palermo. Risulta anche una conversazione alle 15:56 dalla sua utenza con la propria abitazione e un’altra alle 18:06 con Maria Poma. Dai tabulati di Valentino emergono chiamate alle 17:52 al 112 e alle 17:54 al SISDE.

Un incrocio di numeri, orari, contatti. Ma nessuna vera spiegazione

Chi era a bordo? Chi era a terra?

“Testimoni discordanti, verità divergenti.”

Secondo Contrada, i due natanti si incontrarono in mare. C’erano Valentino, sua moglie, due marinai, Maria Poma, e sull’altra barca Narracci, Zanaroli e due ragazze. Ma Zanaroli non menziona le donne. E dice di essere arrivato sul posto prima di Contrada.

Sul luogo della strage, Zanaroli si distingue per un gesto singolare: lascia accedere alla scena un tale Roberto Campesi, sedicente ex carabiniere e collaboratore dei servizi, ma privo di qualsiasi titolo. Un ospite abusivo, nel cuore della zona rossa di via D’Amelio.

Un finale che non chiude nulla

“Fine di un’indagine. Inizio di altri misteri.”

Bruno Contrada, dopo esser stato indagato per concorso in strage, verrà rinviato a giudizio e condannato nel 2007 a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Una sentenza definitiva.

Il 14 aprile 2015 la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha stabilito che Contrada non poteva esser condannato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto il reato, all’epoca cui risalgono i fatti (fra il 1979 e il 1988), non “era sufficientemente chiaro e prevedibile” e Bruno Contrada “non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti”. Ma la Corte non ha mai messo in discussione la gravità dei fatti accertati dai giudici italiani.

E oggi?

Oggi i servizi segreti hanno ottenuto nuovi poteri. Risponderanno solo al governo. Come dire: tutto cambia, perché nulla cambi.

Il mistero resta. Come quei cento secondi che sembrano un battito di ciglia.

Forse contengono la verità su una strage che ancora oggi non conosciamo davvero?

E Narracci? Il fedelissimo di Contrada?

Lo scopriremo a breve….seguiteci su www.luigiilardo.it

Guglielmo Bongiovanni

📚 Fonti di cui ci siamo serviti

  • Tribunale di Caltanissetta – Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, Decreto di Archiviazione dell’8 gennaio 2002 a firma del Giudice, dott. Giovanbattista Tona

  • www.gioacchinogenchi.it

  • www.19luglio1992.com

  • Calogero Ganci, nato a Palermo nel 1960, è un ex mafioso e collaboratore di giustizia italiano. Figlio di Raffaele Ganci, boss della cosca della Noce e stretto alleato di Totò Riina, Calogero fu coinvolto in numerosi omicidi durante la sua militanza in Cosa Nostra. Nel 1996, mentre era detenuto nel carcere di Caltanissetta, decise di collaborare con la giustizia, confessando oltre cento delitti, tra cui l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo, del vicequestore Ninni Cassarà e del politico Giuseppe Insalaco. Partecipò anche alla strage della circonvallazione del 1982 e alla strage di Capaci del 1992. Il suo pentimento fu motivato dal timore di ritorsioni sulla propria famiglia e dalla condanna dell’omicidio del giovane Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, ucciso nel 1996 da un gruppo di mafiosi su ordine di Giovanni Brusca.

Questo articolo ha un commento

  1. Orlando

    Bellissima inchiesta seria e approfondita

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