….Si fida di un uomo, il colonnello Riccio, che ricevette l’incarico nel 1993, dall’allora direttore della Direzione investigativa antimafia Gianni De Gennaro. La scelta del colonnello di Mogliano Veneto non era casuale. De Gennaro lo conosceva bene sapeva dell’esperienza che il colonnello aveva acquisito sul campo. Non è un mistero delle abilità acquisite da Riccio, sia in operazioni sotto copertura, sia nella gestione di collaboratori importanti come l’ex brigatista rosso Patrizio Peci.
Ilardo e Riccio si trovano a combattere una “guerra” che secondo alcuni lo Stato non voleva vincere che fa solo finta di combattere.
La collaborazione tra Riccio e Ilardo sembra procedere bene tanto che attraverso le confidenze dell’ex uomo d’onore si portano a termine diverse operazioni che condurranno all’arresto di personaggi di rilievo all’interno di Cosa nostra.

Ma i due hanno un obiettivo molto più grande, stanare il numero due di Cosa Nostra, il boss sparito nel nulla, il corleonese Bernardo Provenzano.
L’ultimo passo che avrebbe condotto lo Stato a sferrare un duro colpo a quel “sistema criminale” di cui faceva parte anche Cosa Nostra. Ma l’obiettivo, inspiegabilmente sfuma all’ultimo secondo.
Perché?
Un omicidio di Stato
Ma al danno soggiunse anche la beffa perché, poco dopo, Luigi Ilardo verrà ucciso a colpi di pistola, a Catania, proprio quando doveva ufficializzarsi il suo passaggio da infiltrato a collaboratore di giustizia.
Anche su questo versante i conti non tornano perché Ilardo non aveva nessuna protezione è secondo alcuni una spiata della massoneria ha reso possibile l’uccisione di Ilardo il cui pentimento avrebbe potuto creare un terremoto all’interno di Cosa Nostra.
Il colonnello Riccio non ha dubbi al riguardo “L’ordine di ammazzare Ilardo è partito dallo Stato”.
Il colonnello Riccio non ha dubbi al riguardo “L’ordine di ammazzare Ilardo è partito dallo Stato”.

L’epilogo è ancora più amaro, come se fosse uscito dalla penna di un maestro del thriller, ma che purtroppo è un fatto realmente accaduto, il colonnello Riccio verrà arrestato dai Ros, nel 1997, anch’esso, verosimilmente, incarnava il ruolo del personaggio troppo scomodo.
Il giudice Nino Di Matteo, che si occupò del processo sulla trattativa Stato-mafia, nella sua requisitoria ebbe a dire che l’aspetto più tragico della vicenda non solo ha riguardato Luigi Ilardo, con la sua tragica fine, ma anche il colonnello Riccio “che è stato l’artefice e il motore di quelle investigazioni e che, pur con tutti i suoi limiti, le sue iniziali incertezze nella comprensione di quello che stava accadendo e nel coraggio di denunciarlo, ha finito per scontrarsi anch’egli con la volontà di quella parte dello Stato che evidentemente non voleva che la collaborazione di Ilardo portasse frutti, perché quei frutti erano allora ritenuti troppo pericolosi e destabilizzanti”.
Di Matteo non ha dubbi al riguardo sostenendo che in quel contesto storico, che abbraccia il periodo che va dal 1994 ai primi mesi del 1996, dalla collaborazione tra il colonnello Riccio e Luigi Ilardo emerge una sola verità:

“Provenzano non poteva essere catturato perché garante di quegli accordi che erano il frutto di quel percorso che i carabinieri del Ros avevano iniziato contattando Vito Ciancimino per capire cosa “Cosa nostra” volesse o pretendesse in cambio della cessazione della sua strategia di attacco frontale alle istituzioni”.
Ma lo Stato ci ha abituato a trasformare i buoni in cattivi e i cattivi in buoni, i bombaroli e stragisti in vittime e i giudici in carnefici.
Questo è il Paese che ha la memoria corta che dimentica molto in fretta.
Il finale è amaro per tutti gli italiani onesti perché, comunque la si metta e a qualunque storia si vuole credere, Provenzano sarà catturato solo undici anni dopo le confidenze di Ilardo, nel 2006, dopo quarantatré anni di latitanza. Tredici anni dopo l’arresto di Totò Riina detto u curtu.
Alla faccia dei proclami, degli slogan inutili, della “lotta alla mafia” e delle lacrime versate durante le commemorazioni delle vittime. Il teatrino studiato in maniera quasi perfetta riproposto in molte occasioni.
Luigi Ilardo fornirà molte indicazione al colonnello veneto divenendo noto come “fonte Oriente” sia perché proveniva dalla Sicilia orientale sia per i chiari riferimenti alla massoneria deviata.
Ilardo parlerà delle stragi di via D’Amelio e di Capaci, parlerà di massoneria, facendo il nome di un massone torinese di origine siciliana, Luigi Savona, il cui nome era già conosciuto essendo emerso in occasione di una indagine su Ordine Nuovo di Freda e Ventura.
Ci stiamo riferendo ad uno dei personaggi chiave che permise l’ingresso di Cosa nostra nella Massoneria nella seconda metà degli anni ’70.
Ilardo non si fermerà a Savona.
Citerà anche un certo Gianni Chisena, amico del Savona, anch’esso massone ed entrambi legati ai servizi segreti.
Fu lo stesso Ilardo che raccontò al colonnello di quei strani e criminali intrecci tra massoneria, estremismo di destra e servizi segreti quello che la cronaca ha reso famoso con il termine “strategia della tensione”; parlerà del traffico di armi che uscivano dalle basi Nato e della Marina in Sicilia, a Sigonella.
Proprio quegli stessi ambienti istituzionali deviati che negli anni settanta avevano fondato la strategia, coniata dall’ex terrorista nero Vincenza Vinciguerra, con la formula: destabilizzare per stabilizzare.
Sono gli stessi ambienti istituzionali che in passato avevano utilizzato i militari per i Golpe per poi passare ai terroristi fino ad arrivare alla criminalità organizzata che entra per spartirsi, anch’essa, una fetta della torta degli affari.
Nulla accade per caso!
In quest’ottica nacquero cordate d’interesse tra politici, imprenditori, professionisti e mafiosi. Un contesto dove gli uomini politici che realmente contavano avevano, probabilmente, un proprio imprenditore, dei professionisti e propri capimafia, determinando in qualche occasione scontri contrapposti.
Son gli stessi strani e criminali intrecci da cui oggi bisogna partire se si vuole dare una lettura esaustiva sul fenomeno delle mafie esistenti nel nostro Paese.
Un contesto diventato fondamentale e che ha permesso agli uomini di mafia di sedere sullo stesso tavolo con gli uomini dello Stato, dell’imprenditoria, della politica la cui di compensazione era assicurata dalla cosiddetta massoneria deviata.
Affari soldi e potere: in questo intreccio mortale, forse, sta la spiegazione di molti delitti e stragi che hanno insanguinato l’Italia terrorizzando la maggioranza dei cittadini italiani che per decenni non hanno percepito una presenza reale dello Stato.
Questa una delle tante storie sbagliate in un Paese sporco senza pretendere di portare una verità precostituita né tantomeno una verità assoluta ma fornire un racconto fondandolo sulle carte processuali che sono riuscito a reperire sul web.
La verità ha sempre due facce, in questo racconto i due protagonisti sono i due personaggi dei quali vi ho parlato sopra: un uomo di mafia e un uomo dello Stato accomunati nell’obiettivo di contribuire a dare un volto più pulito ad uno Stato che custodisce ancora numerosi misteri sui quali se non si fa piena luce finiremo con il pagare un caro prezzo quello di lasciare ai nostri figli una nazione fondata sulla menzogna.
Guglielmo Bongiovanni