
Il sangue di Luigi Ilardo grida ancora giustizia
Un video-testimonianza di Luana Ilardo da far vedere in ogni scuola
Una lezione di legalità da tramandare ai giovani
Un video di poco più di trenta minuti, una testimonianza che attraversa il cuore della nostra Repubblica e lo inchioda alle sue responsabilità. È la voce di Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo, l’ex mafioso infiltrato dentro Cosa Nostra per conto dello Stato, poi abbandonato e infine assassinato a Catania il 10 maggio 1996. Un racconto toccante, lucido, documentato, che meriterebbe di entrare in ogni aula scolastica come strumento didattico, come atto civile, come pietra d’inciampo.
Il doppio volto di Luigi Ilardo
Luana Ilardo ripercorre la vicenda del padre sin dalle origini familiari, dalla parentela con il boss di Caltanissetta Piddu Madonia, fino alla svolta radicale: il pentimento e l’inizio della collaborazione con il colonnello Michele Riccio, artefice dell’operazione di infiltrazione nella mafia siciliana. Per usare le parole della stessa Luana:
“Luigi Ilardo la mattina indossava il vestito di uomo d’onore e la sera collaborava con lo Stato per scardinare gli equilibri criminali e gli intrecci che all’epoca, come oggi, caratterizzano i legami tra mafia, politica, massoneria e servizi deviati.”
L’uomo che parlò di “Faccia da mostro”
Fu proprio Luigi Ilardo il primo a parlare di Giovanni Aiello, noto come Faccia da mostro. E fu lui a chiedere di poter visionare un frammento dell’esplosivo usato nella strage di Capaci. Forse avrebbe potuto fornire un contributo decisivo, nel caso fosse emersa la mano dell’artificiere mafioso Pietro Rampulla, legato alla famiglia Santapaola, alla destra eversiva e a Giuseppe Farinella, anch’esso citato da Ilardo a Riccio. È una pista che ritorna oggi di attualità, alla luce della decisione del GIP Graziella Luparello di sospendere l’archiviazione dell’inchiesta sulla pista nera per le stragi del 1992.
“Entità esterne a Cosa Nostra”
Luana Ilardo è netta: l’omicidio del padre, pur eseguito da Cosa Nostra catanese, fu ordinato da entità esterne a Cosa Nostra. Lo afferma senza esitazioni. E la storia della mancata cattura di Bernardo Provenzano, raccontata nel dettaglio da Luana, rappresenta uno dei capitoli più inquietanti. Lo Stato era a un passo da Provenzano, il 31 ottobre 1995 a Mezzojuso, ma decise di non intervenire. Provenzano rimase in quel casolare per altri sei lunghi anni.
Mori e Obinu: l’occasione mancata
Per quella mancata cattura finirono sotto processo, accusati di favoreggiamento aggravato, i vertici del ROS: Mario Mori e Mauro Obinu. Ma anche quel procedimento si concluse con un’assoluzione. La sentenza, però, rimarcò comportamenti non consoni da parte di chi aveva il dovere di agire.
La notifica fatale e l’ombra di Maria Stella Madonia
Il racconto di Luana si fa tragico quando descrive la notifica di un differimento pena di sei mesi, inviata da due carabinieri su ordine del capitano Damiano, non nelle mani di Ilardo – che collaborava con lo Stato – ma a Maria Stella Madonia, sorella di Piddu Madonia. Un atto consegnato a chi si incontrava con Provenzano, e che suonò come una condanna a morte.
Ilardo, dicono, aveva domicilio a Gela. Ma non è vero: abitava a Catania. E all’epoca, il concetto giuridico di “domicilio” era molto diverso da oggi. Ma il vero abisso si apre quando si scopre che il colonnello Riccio, responsabile dell’infiltrazione, non venne nemmeno informato della notifica. Tradimento, omissione, o peggio?
La riunione senza verbale e il pentimento mai ufficializzato
Luana ricorda anche la riunione di Roma in cui si doveva perfezionare il pentimento ufficiale di suo padre e inserirlo nel programma di protezione. Parteciparono il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra, quello di Palermo Giancarlo Caselli e la dott.ssa Teresa Principato. Ma non venne stilato alcun verbale. Gli unici appunti li prese la Principato – e andarono persi durante un trasloco.
Ilardo fu rimandato a Catania senza protezione e dopo pochi giorni venne ucciso sotto casa, la sera del 10 maggio 1996. Di quella riunione ci resta solo il racconto di Michele Riccio. E un gesto: Ilardo spostò la sedia verso Caselli, ignorando Tinebra. Non si fidava. Forse, se gli fosse stata data voce, avrebbe raccontato ancora molto.
“Preferisco essere la figlia di un mfioso”
Parole struggenti quelle di Luana, che racconta di come una parte della società continui a vederla non come la figlia di un uomo coraggioso, ma come “la figlia del mafioso”
Eppure Luigi Ilardo scelse lo Stato, e lo fece a rischio della vita. Come dice Luana:
“Rieducare i giovani alla legalità.”
Questo è il messaggio. Questo è ciò che il nostro sito porta avanti, con la memoria di un uomo che voleva spezzare il ciclo di sangue e tradimenti di Cosa Nostra. Una mafia fatta di stragi, affari, morte. Un mondo dove “i mafiosi finiscono con l’ammazzarsi tra loro”. Un mondo che Luigi Ilardo voleva disertare.
E per quel che può servire questa piccola realtà, nata per ricordare Luigi Ilardo, è fiera di godere dell’amicizia e della stima della “figlia di un mafioso”.
“Sento ancora il sangue di mio padre addosso”
“Mi sento ancora il sangue addosso di mio papà da quel 10 maggio del 1996.”
Queste le parole più laceranti di Luana. E quel sangue, che ancora grida giustizia, è il motivo per cui siamo qui. Quel sangue lo sentiamo addosso anche noi. E continueremo a lottare non solo per Luigi Ilardo, ma per tutte le vittime di mafia che ancora aspettano verità e giustizia.
Guarda il video
Sotto abbiamo postato il video dell’intervento di Luana Ilardo a TG2 Dossier, andato in onda il 13 luglio, programma a cura del direttore Antonio Preziosi. Una testimonianza che non ha bisogno di effetti speciali: basta ascoltare le parole e guardare gli occhi di Luana per capire che questa è una storia che appartiene a tutti noi.