Trent’anni di cecità: Messina denunciò il sistema, il procuratore Lombardo lo combatte
Introduzione
È stato fissato per il 2 luglio 2025, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, l’inizio del nuovo processo di secondo grado ‘Ndrangheta stragista, che vede imputati Giuseppe Graviano, boss di Cosa nostra, e Rocco Santo Filippone. Entrambi sono accusati di essere i mandanti degli attentati e degli omicidi avvenuti tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994 in cui morirono gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Lo scorso dicembre, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo per entrambi, ma ha condannato definitivamente Rocco Santo Filippone a 18 anni accertando in via definitiva che la ’Ndrangheta ha partecipato alle stragi e agli attentati ai carabinieri, riconoscendo che questi episodi fanno parte della strategia stragista dei primi anni Novanta, finalizzata a piegare lo Stato e ottenere benefici legislativi e penitenziari dalla politica.
È in questo contesto che le parole del procuratore Giuseppe Lombardo, che ha sostenuto l’accusa nel processo d’appello, acquistano un peso decisivo.
Al pari della testimonianza fornita dal pentito Leonardo Messina, ignorata per trent’anni e che delineava uno scenario molto simile a quello raccontato nella requisitoria del procuratore Lombardo a chiusura del processo d’appello contro la ‘ndrangheta stragista”.
Ed è con il pentito Leonardo Messina che vogliano iniziare a raccontarvi la storia di un processo, quello contro la ‘ndrangheta”, che per certi versi riveste un’importanza maggiore rispetto al procedimento passato alla storia come “Trattativa Stato-Mafia”.
Sotto troverete l’audio integrale della deposizione che Messina fece in Commissione parlamentare antimafia, all’epoca presieduta dall’on. Luciano Violante.
L’allarme di oggi: parole di Giuseppe Lombardo
«Parlare di mafie storiche (Cosa Nostra, ‘ndrangheta, Sacra Corona Unita, ndr) è assolutamente errato. È superato e antistorico ma facile da raccontare. Si tratta di cose accertate – dice Lombardo – non attuali e che non fanno più paura».
E invece «ci sono acquisizioni di grandissimo rilievo, che risalgono a 30 anni fa, che ci dicono che questo tipo di approccio non porta a nulla. E questo era in realtà il metodo Falcone: ci diceva che un approccio settoriale non fornirà mai risposte chiare sulle componenti apicali di questo sistema criminale, spesso e volentieri occulte.
Quando abbiamo cominciato a lavorare sulla componente invisibile e riservata del sistema criminale qualcuno ha avuto il coraggio di dire e di scrivere che se è invisibile non esiste e che probabilmente esiste solo nella mente di qualcuno». Una forma di disinformazione «inaccettabile per la fatica che costa fare un certo tipo di lavoro».
Questo approccio risale alle inchieste di Falcone e Borsellino «non vivevano di sensazioni ma lavoravano su elementi concreti». E dai loro risultati si è continuato a costruire: «Non possiamo in alcun modo ripartire da zero perché è un regalo al sistema mafioso che siamo chiamati a contrastare».

Un solo sistema, un solo nome: “La ’ndrangheta è solo un’etichetta”
Già nel dicembre del 1992 il pentito Leonardo Messina raccontava dinnanzi alla Commissione antimafia, che le denominazioni regionali — camorra, ’ndrangheta, Sacra Corona Unita — sono solo facciate di un sistema unico: «La struttura è tutta Cosa Nostra».
Le sue parole infrangono la narrazione tradizionale che separa le mafie per territorio. La sua visione è quella di una piattaforma criminale unificata, con camere di compensazione internazionali, rappresentanze mondiali, interessi comuni e una strategia condivisa: quella di un “sistema mafia” globale. In questo contesto, anche l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti viene letto in chiave unitaria. Alla domanda se l’agguato sia stato opera della ’ndrangheta, Messina risponde: «Sì. La ’ndrangheta è solo un nome. La struttura è tutta Cosa Nostra».
La “commissione mondiale”: la Spectre delle mafie
Messina racconta anche dell’esistenza di una commissione mondiale incaricata di decidere
«secondo l’interesse di un’unica organizzazione».
Non si tratta solo di traffici o affari. Si decide anche in merito a processi giudiziari, in cui potrebbero essere coinvolti “propri uomini”. L’interesse è unitario, spiega Messina: non delle singole mafie, ma del sistema nel suo complesso.
«Non esistono altre organizzazioni in Italia al di fuori di Cosa Nostra»
E racconta un episodio: «Ero a Pietraperzia, in provincia di Enna. C’erano tanti pacchi di scarpe. Mi dissero: “Devi essere contento, il tuo principale è stato eletto sottocapo mondiale. Da ieri la rappresentanza mondiale di tutte le organizzazioni è di Salvatore Riina e Giuseppe Madonia”».
La rigenerazione mafiosa: nasce la “Cosa Nostra parallela”
Ma mentre lo Stato si illude di aver indebolito la mafia, Messina denuncia l’avvio di una trasformazione segreta. I Corleonesi stanno creando «una struttura di non presentazione», una Cosa Nostra parallela, non visibile, fatta di uomini
“che non si presentano a nessuno”
ma continuano a gestire affari. È la fase rigenerativa del sistema, che si rinnova e si riorganizza per sfuggire alla repressione.
«Non sarà più Cosa Nostra, si chiamerà diversamente», dice. Ma il cuore del potere resterà intatto.
Il sogno autonomista: “La mafia vuole uno Stato tutto per sé”
La nuova strategia è politica. Messina racconta una riunione in provincia di Enna dove si discuteva di un piano autonomista: l’obiettivo era diventare padroni di un’ala dell’Italia.
«Cosa Nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di avere uno Stato tutto per sé».
A guidare questa strategia non è solo la mafia, ma la massoneria deviata, che fornisce gli agganci con imprenditori, istituzioni e “forze nuove”. Secondo Messina, queste formazioni politiche non vengono dalla Sicilia, ma da fuori, e rappresentano una nuova fase del patto tra mafia e politica.
Massoneria e mafia: il “potere diverso”
Il legame con la massoneria è centrale:
«Molti degli uomini d’onore appartengono alla massoneria»,
dice Messina. E invita la Commissione a non sottovalutare il dato, perché è lì che si annidano i veri snodi di potere, quelli “diversi” da quello punitivo, ma capaci di influenzare economia e politica. È lì, nelle logge deviate, che si genera il progetto di separatismo, e non si tratta di ipotesi: Messina parla per “conoscenza diretta”. Le sue parole anticipano di decenni le indagini sulle alleanze tra criminalità e movimenti autonomisti.
Lo stesso scenario delineato poco dopo dall’infiltrato Luigi Ilardo quando raccontava a Riccio delle vicende legate ai massoni Chisena e Savona dove mafia, politica, massoneria, ‘ndrangheta, servizi deviati erano un tutt’uno, legati da un comune disegno politico, affaristico e criminale.
Gli “invisibili”: politici e funzionari affiliati
Il collaboratore svela infine l’esistenza di strutture segrete dentro Cosa Nostra, riservate a uomini pubblici, politici, amministratori. «Non tutti devono sapere. Vi sono uomini che restano sconosciuti perché rivestono cariche pubbliche. Lo sa solo qualcuno». È un sistema gerarchico con punti di contatto obbligati, dove il nome dei veri capi è noto solo ai vertici. È il mondo degli “invisibili”, quello che l’allora Messina descrive con un linguaggio che solo anni dopo sarà riconosciuto nei rapporti investigativi sulla zona grigia tra mafia e istituzioni.
Oggi più che mai serve un approccio unitario
Oggi, forse più di ieri, una lettura del fenomeno mafioso nel suo complesso ci porterebbe a risultati più efficaci.
Invece la sensazione è quella di un ritorno al passato, cioè alla frammentazione dei fenomeni di mafia in mille processi e processini con il risultato che è sotto gli occhi di tutti. Processi che durano in eterno dove in molti casi la prescrizione salva tutti e tutto.
Conclusione: una verità troppo scomoda
Leonardo Messina aveva visto tutto, e l’aveva detto. Nel 1992. Ma la sua voce venne sottovalutata, forse perché troppo sconvolgente. Oggi, alla luce delle inchieste condotte dalla magistratura calabrese e siciliana, quelle parole tornano con forza. La sua è stata la prima denuncia del sistema criminale unificato, di una mafia mondiale, capace di travestirsi, cambiare nome, e infiltrarsi nei gangli vitali dello Stato. Messina ci aveva avvisati come lo aveva fatto Luigi Ilardo. Ma entrambi non furono ascoltati.
Guglielmo Bongiovanni