E se il passato non fosse mai finito?

“E se il passato non fosse mai finito?”

Un’inchiesta tra toghe, annullamenti e verità negate.

Abbiamo scelto di aprire questa serie di post, dedicati al tentativo di sabotare il maxiprocesso, in memoria di Giovanni Falcone visto che tra pochi giorni ricorrerà l’ennesimo anniversario della strage di Capaci.

Per iniziare ci siamo serviti delle parole di Attilio Bolzoni, storico giornalista de L’Ora, tra i primi a raccontare la verità dietro le stragi, le coperture, i depistaggi, le ombre che si addensavano sempre più fitte man mano che il sangue riempiva le strade di Palermo.

Corrado Carnevale

La scalata di Corrado Carnevale

È da lì che partiamo.

Da questa consapevolezza, da questa ferita.

Perché mentre a Palermo si celebrava il coraggio, a Roma si allestiva il sabotaggio.

Un sabotaggio senza bombe, senza sangue.

Un sabotaggio fatto di timbri, vizi di forma, annullamenti con rinvio.

Il maxiprocesso fu l’atto di accusa più potente contro Cosa Nostra.

E la mafia, come hanno raccontato Mutolo, Brusca, Cancemi, Giuffrè, non lo temeva davvero.

Perché sapeva che in Cassazione c’era chi “aggiustava tutto”.

Carnevale era, per loro, “l’uomo giusto al posto giusto”.

Non c’era bisogno di pagarlo. Bastava aspettarlo.

Per iniziare, infatti, abbiamo scelto un estratto del libro di Attilio Bolzoni “Uomini Soli” edito dalla Melampo.

Il coraggioso giornalista lodigiano, che ha vissuto a Palermo dal 1979 al 2004, traccia un ritratto potente e inquietante di Corrado Carnevale, magistrato siciliano dalla carriera fulminea, passato alla storia come “l’ammazzasentenze”.

Presidente della Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione, Carnevale annullò centinaia di sentenze, tra cui processi cruciali per mafia, terrorismo, e sovversione.

“Il giudice dei cavilli”

«Corrado Carnevale disprezza il giudice Giovanni Falcone e non ne fa mistero»

È siciliano di Licata, terra agrigentina. Nasce nel 1930, a ventitré anni è già uditore giudiziario, poi giudice di Tribunale, giudice di Appello, giudice di Cassazione. Sempre per concorso, immancabilmente primo. È una carriera di glorie e fasti quella di Corrado Carnevale, il giudice che ama il cavillo.

Lavora per due decenni all’Ufficio del Massimario, alla prima sezione civile e alle sezioni unite della Suprema Corte, va alla Corte di Appello di Roma, rientra in Cassazione.

Alla prima sezione penale dove approdano i delitti di mafia, terrorismo, omicidio, strage.

Nel dicembre 1985 diventa il presidente della prima sezione penale «Il più giovane presidente titolare della storia della Cassazione» che piega a livelli fisiologici l’arretrato. Quando si insedia sono 7065 i processi che attendono l’esame, nel maggio 1989 scendono a 837.

Prima del suo arrivo la prima sezione è chiamata «La corte dei rigetti», diventa la «Corte di San Carnevale». Esamina 6 mila processi l’anno, uno su tre è «cancellato», con o senza rinvio.

Alla prima sezione ci resta per sette anni meno quattro giorni.

È dotato di una memoria prodigiosa. I suoi colleghi dicono che conosce ogni carta del processo che giudica.

Come giudica è altro argomento.

La Cassazione è l’ultima spiaggia per la mafia di Palermo.

Dopo le pesanti condanne in primo grado e l’«aggiustatina» che il maxi processo ha subito in Appello, tutte le attese degli uomini d’onore si sono concentrate sulla Suprema Corte e nella persona di Carnevale, il presidente della prima sezione penale.

Già a inizio del 1991, Carnevale ha rimesso in libertà Michele Greco e 42 boss per decorrenza dei termini di carcerazione.

Giovanni Falcone studia una contromossa e il ministro Martelli ordina di riportarli all’Ucciardone dopo appena cinque giorni.

«Il mandato di cattura del governo»

commentano i mafiosi con rabbia.

Lo sanno tutti che dietro Martelli c’è Falcone.

Corrado Carnevale disprezza il giudice di Palermo e non ne fa mistero.

Dice:

«La Costituzione vuole il magistrato in toga e non in divisa»

Lo sbeffeggia:

«C’è chi si è messo in testa di fare l’angelo vendicatore dei mali che affliggono la società»

Aspetta pazientemente il maxi processo in Cassazione per farlo a pezzi.

Ma, al ministero, da qualche mese, è partito un monitoraggio sui provvedimenti della prima sezione penale della Suprema Corte. Ne scelgono 12.500.

Falcone e i suoi collaboratori li esaminano tutti, uno per uno. Si accorgono che i magistrati di quella sezione giudicano ogni singolo indizio autonomamente senza incrociarlo con gli altri.

Una «tecnica valutativa» stravagante e sospetta, che finirebbe per demolire il maxi processo.

Quante sentenze ha invalidato il presidente Carnevale fino a quel momento? Quasi 500.

Ha assolto Licio Gelli dall’accusa di sovversione e banda armata, ha annullato la condanna a Michele Greco per l’omicidio Chinnici e il processo per la strage dell’Italicus, ha cancellato i provvedimenti di arresto del prete mafioso calabrese don Stilo e del camorrista Giuseppe Misso, ha ordinato un nuovo processo per la strage del rapido 904 Napoli-Milano, ha azzerato 19 ergastoli a Mommo Piromalli e agli affiliati della sua cosca, ha respinto il ricorso di Enzo Tortora che vuole il suo processo lontano da Napoli e al contrario ha trasferito quello sui «fondi neri» dell’Iri da Milano a Roma.

Gli chiedono:

«Ma quante sentenze ha ammazzato, presidente?»

Risponde:

«Per ammazzare qualcosa, bisogna che questo qualcosa sia vivo».

Corrado Carnevale si muove nell’ombra per ottenere il maxi processo. Ma non ci riesce, ci va un altro magistrato a presiederlo. Nelle carceri i boss si sentono perduti.

Il 30 gennaio del 1992 la sentenza della Cassazione sfregia per sempre il potere della mafia. Gli ergastoli vengono confermati. L’unità verticistica di Cosa Nostra «supera l’esame di legittimità».

È la sconfitta più dura mai subita dalla mafia. E’ il prodigio di Giovanni Falcone.

(Dal libro: Uomini Soli di Attilio Bolzoni, edito dalla Melampo)

In che clima viviamo oggi?

La domanda è lecita. Forse obbligatoria.
Quella stagione è stata davvero archiviata? O qualcuno sta lentamente chiudendo i faldoni più scomodi, non per mancanza di prove, ma per eccesso di potere?

Di certezze ne abbiamo poche.
Ma un paio di dati preoccupanti restano lì, nudi, pesanti.

Il primo:
la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna nel processo passato alla storia come “Trattativa Stato-Mafia”.
Due gradi di giudizio — condanna in primo grado, assoluzione in appello.

Poi, all’improvviso, la Suprema Corte, inusualmente, entra nel merito e cancella tutto. Nessun rinvio. Nessun riesame. Solo il silenzio. Rimasto anche nel mistero la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso quando Luigi Ilardo portò lo Stato alle porte del covo dello Zio Binnu.

Il secondo:
un altro annullamento. Stavolta con rinvio. Sempre la Cassazione. Sempre un processo di peso.
La ‘Ndrangheta stragista. Un procedimento che, per portata e implicazioni, potrebbe essere persino più importante della Trattativa.
Anche qui, una frattura nella narrazione giudiziaria. Anche qui, qualcosa si è rotto.

Due processi, due storie, due verità giudiziarie che si stavano consolidando.
Ma che, improvvisamente, sono state riportate indietro. O azzerate.

“E se il passato non fosse mai finito?”

Perché oggi non viviamo solo l’eco di una stagione tragica.
Forse ne stiamo vivendo la replica?

Con meno sangue ma con le stesse regole?

Vige sempre in Cassazione la regola voluta da Giovanni Falcone del sorteggio per l’assegnazione dei processi?

Oppure sono assegnati secondo il volere del primo giudice di Cassazione come lo era ai tempi Corrado Carnevale?

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