La verità che lo Stato non ha voluto ascoltare

Ilardo non è il passato ma la chiave per capire il presente

Svelò il patto segreto tra mafia, politica e finanza. Lo hanno fatto sparire.

I nostri editoriali

Ilardo: Verità Proibite
Uno spazio di denuncia, memoria e confronto civile contro le mafie.

“Ilardo: Verità Proibite” è il nostro contenitore editoriale dedicato a Luigi Ilardo e alle sue rivelazioni rimaste inascoltate. Ogni puntata sarà un approfondimento sulle connessioni tra mafia, politica, imprenditoria e poteri deviati, con documenti, nomi e testimonianze.

Ma non solo. Questo spazio vuole essere aperto a chiunque voglia dire la sua, proporre riflessioni, raccontare esperienze, fare domande. Crediamo che la memoria debba essere partecipata, che la lotta alla mafia non possa restare chiusa nelle aule dei tribunali o nei silenzi delle istituzioni.

Invitiamo i lettori, i familiari delle vittime i cittadini consapevoli a contribuire.
Perché il silenzio uccide due volte. E la verità ha bisogno di chi la custodisce, ma anche di chi la condivide.

Luigi Ilardo, l’uomo che svelò il patto inconfessabile: la verità che lo Stato non ha voluto ascoltare

C’è un filo nero che unisce Palermo a Catania, Milano a Roma. Un filo fatto di denaro, voti, sangue e silenzi. E c’è un uomo, Luigi Ilardo, che ha avuto il coraggio di spezzarlo. Di raccontarlo. E per questo è stato assassinato.

Le sue rivelazioni non sono solo il diario di un infiltrato.

Sono la radiografia di un sistema che ha piegato la democrazia italiana ai voleri di un potere occulto, dove mafia, politica, finanza e massoneria si sono dati la mano. E non per caso.

Ilardo non era un “pentito” qualsiasi. Era il vicecapo della mafia di Caltanissetta. Un uomo d’onore. Ma anche un padre. Un cittadino. Un infiltrato al servizio dello Stato.

È a lui che dobbiamo la mappa più chiara – e disturbante – del patto segreto tra Cosa Nostra e pezzi della Seconda Repubblica.

Dell’Utri, Berlusconi, Forza Italia: l’inizio del nuovo patto

Nel cuore degli anni Novanta, quando il progetto mafioso di un partito autonomo fallisce, Cosa Nostra vira su Forza Italia. Non è una leggenda.

È la testimonianza viva di Ilardo, raccolta e trascritta dal colonnello Michele Riccio.

Marcello Dell’Utri, l’uomo-ponte tra Fininvest e i clan, diventa il garante della nuova alleanza: protezione in cambio di leggi favorevoli e nuovi spazi di affari. È tutto documentato.

E validato, anni dopo, dalla Cassazione che condanna Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma la verità era stata detta prima. Da Ilardo. E ignorata.

Dietro un incendio mai chiarito alla Standa di Catania, dietro certe candidature pilotate da Cosa Nostra, c’era l’accordo inconfessabile: la mafia avrebbe appoggiato Forza Italia. Il resto è storia nota: 61 a 0 in Sicilia. Ma nessuno volle ascoltare Ilardo.

Socialisti, andreottiani e affaristi: il mosaico del potere parallelo

Ilardo non si fermò a Dell’Utri. Parlò del PSI, di Salvo Andò, di Claudio Martelli, delle connivenze con i Santapaola e gli Ercolano, del legame stretto con gli imprenditori “di riferimento”. Fece nomi: Salvo Lima, Giovanni Gioia, Calogero Mannino. Svelò i legami con Ligresti, Gardini, Graci. Tratteggiò un sistema dove il voto mafioso era organizzato da imprenditori, non da picciotti. Dove i politici erano clienti, non padroni. Dove le leggi si scrivevano per convenienza, non per giustizia.

Nel 1985, raccontò Ilardo, la mafia tagliò i ponti con la DC e si rivolse al PSI, scegliendo Martelli e Andò come nuovi interlocutori. Fu quello, per Ilardo, il movente della strage di Pizzolungo: un messaggio per il giudice Carlo Palermo, colpevole di aver toccato i fili dell’alta finanza vicina a Craxi. E fu quello il prologo delle stragi che insanguinarono l’Italia tra il 1992 e il 1993.

Ilardo era un testimone perfetto. E fu ucciso prima di entrare nel programma di protezione

Le sue parole sono oggi la vera enciclopedia della convergenza criminale tra pezzi dello Stato e la criminalità organizzata.

Disse tutto: chi candidava, chi proteggeva, chi tradiva.

Indicò nomi, circostanze, incontri. Parlò dei “nemici da eliminare” e dei “protetti da eleggere”. Ogni dettaglio fu messo a verbale. Ogni nome, ogni retroscena fu consegnato alla magistratura.

Ma il sistema non poteva permettersi che la sua voce arrivasse in aula.

Il 10 maggio 1996 Luigi Ilardo fu ucciso. Lo Stato non lo aveva protetto. Lo Stato lo aveva tradito. Lo Stato – o almeno una sua parte – aveva scelto da che parte stare. E non era la sua.

Un sistema, non un’eccezione

Quello da questa prima parte delle rivelazioni di Ilardo che abbiamo voluto intitolare “rapporti mafia-politica” non è una teoria.

È una costellazione di fatti, nomi, sentenze, dossier. Non c’è più spazio per la retorica dell’eccezione. Non si tratta di “mele marce”.

Si tratta di un sistema. Un meccanismo che ha funzionato per decenni e che verosimilmente continua a funzionare e che ha permesso a Cosa Nostra di sopravvivere, mutare, investire.

Che ha protetto latitanti come Provenzano. Che ha garantito consenso politico a chi sapeva parlare la lingua del compromesso.

Il dossier del colonnello Riccio conferma tutto. Tutto era già stato detto da Luigi Ilardo.

Ilardo non è il passato. È la chiave per capire il presente

Chi oggi minimizza la figura di Ilardo, chi lo deride, chi lo riduce a strumento “dello Stato”, mente sapendo di mentire. Ilardo fu scomodo perché aveva visto troppo e capito tutto. Perché non si fermava alla mafia: voleva raccontare il potere. Quel potere che si traveste da istituzione, che promuove i fedeli e annienta i testimoni.

Con questo primo dossier abbiamo voluto restituire voce a chi è stato messo a tacere. Perché non si può più accettare la normalizzazione del crimine sotto la maschera della democrazia.

Luigi Ilardo parlava di un patto che va oltre Riina, oltre Provenzano. Parlava di chi decide, protegge, promuove e uccide.

E ora che i suoi appunti sono pubblici, il silenzio non è più una scusa. È complicità.

Presto affronteremo un’altra verità ancora più inquietante: chi ha voluto le stragi del 1992 e 1993, oltre la mafia? Chi ha guidato la mano che ha premuto il detonatore?

Luigi Ilardo voleva arrivare lì. A chi comanda davvero.

Per questo doveva morire.

E per questo noi continueremo a parlare.

Guglielmo Bongiovanni

Questo articolo ha un commento

  1. Orlando

    Racconto perfetto per chi vuole sapere….

I commenti sono chiusi.