Chi tradì Borsellino

Qui è un nido di vipere

Paolo mi disse: ‘materialmente mi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere. La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno'”

Agnese Borsellino

Ci sono vicende che, isolate, sembrano dettagli minori, episodi quasi marginali nella vastità della storia criminale e istituzionale italiana. Ma che, se riletti con uno sguardo organico, si rivelano tessere fondamentali di un disegno più grande, oscuro e volutamente nascosto.

La morte di Paolo Borsellino, gli arresti degli stragisti, il ruolo sotterraneo dei Servizi, le omissioni, i ritardi, le mancate catture e le mancate perquisizioni, fino ai misteri ancora fermi attorno agli omicidi di Attilio Manca e Luigi Ilardo: tutto questo compone un intreccio che nessuna inchiesta ha mai avuto il coraggio di affrontare nella sua totalità.

Non si tratta solo di cronache giudiziarie o di coincidenze inquietanti. Si tratta di una trama che, pur cambiando scenari e protagonisti, resta coerente nella sua struttura: la copertura sistematica degli apparati infedeli, la protezione dei vertici mafiosi, l’insabbiamento della verità.

Una trama dove piccoli episodi, solo apparentemente secondari, rivelano in realtà la natura stessa del sistema che ha insanguinato l’Italia e ha resistito, annidato nei gangli vitali dello Stato.

È in questo contesto che si inserisce il racconto che stiamo per proporre, un frammento tanto apparentemente marginale quanto, a ben guardare, rivelatore. Un episodio che emerge anche nella sentenza del Borsellino quater, e che abbiamo scelto di intitolare “Qui è un nido di vipere”.
A raccontarlo sono due testimoni d’eccezione: la dottoressa Alessandra Camassa, già procuratore di Marsala, e l’ex pubblico ministero Massimo Russo entrambi collaboratori di Paolo Borsellino quando guidava la Procura di Marsala. Due magistrati che, tra mille difficoltà e solitudini, hanno toccato con mano quell’intreccio velenoso di mafia, potere e tradimenti che ha reso impossibile, allora come oggi, una piena ricostruzione dei fatti.

Questa storia non è soltanto una memoria. È una finestra aperta su quello che ancora non è stato detto abbastanza. Un invito a rimettere insieme i pezzi, senza paura, senza censure, sapendo che solo uno sguardo complessivo, capace di leggere gli indizi dispersi come parti di un unico corpo, può restituirci la verità nascosta sotto anni di silenzi e di menzogne.

Perché, come vedremo, la storia di “Qui è un nido di vipere” non parla solo del passato. Parla anche di noi, del nostro presente, e di quello che siamo disposti, o no, a vedere.

IL GIORNO DEL CROLLO

Una giornata come tante

Era una giornata normale. Una di quelle in cui il lavoro sembrava scorrere tranquillo, senza scosse.
Alessandra Camassa ricorda quel momento come tanti altri vissuti alla Procura di Marsala: andava da Paolo Borsellino per discutere di indagini, aggiornamenti investigativi, strategia giudiziaria.
Borsellino era seduto alla sua scrivania, una robusta struttura in legno di noce, posta davanti alla finestra, le spalle rivolte verso l’esterno.
L’atmosfera era serena, operativa, priva di tensioni apparenti.

Poi, all’improvviso, accadde qualcosa di inaspettato.
Borsellino si alzò dal tavolo, si avvicinò a una poltrona lungo la parete opposta, si sedette e si distese quasi completamente, poggiando i piedi sulla seduta.
Non era un semplice gesto di stanchezza. Era il segno di un cedimento interiore.

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Non singhiozzava, ma piangeva.
Con voce spezzata, cominciò a ripetere, ossessivamente:
“Non… non avrei mai creduto, non posso credere, non posso credere che un amico mi abbia potuto tradire, non posso credere che un amico mi abbia tradito”.

Una scena che Alessandra Camassa non avrebbe mai dimenticato: l’uomo forte, l’instancabile magistrato, travolto da un dolore così grande da non poterlo più contenere.

Un dolore che parlava di tradimenti

Anche Massimo Russo era presente quel giorno.
Ricorda di essere entrato con Camassa nell’ufficio, attraversando la porta blindata. Paolo Borsellino li accolse con un mezzo sorriso e con la sua consueta ironia: “Che siete venuti a fare?” disse scherzando.
Si scambiarono poche battute, forse si accennò a un viaggio recente a Roma, a una cena con alcuni investigatori, probabilmente Carabinieri.

Ma anche per Russo quel giorno si impresse nella memoria con un’immagine precisa e definitiva.
Borsellino si alzò dalla scrivania, percorse un semiarco nella stanza e si accasciò su un divano a due o tre posti.
Con le lacrime agli occhi disse parole che ancora oggi risuonano piene di dolore e mistero:
“Mi hanno tradito, qualcuno mi ha tradito”, o forse, “un amico mi ha tradito”.

Camassa e Russo si guardarono smarriti. Non riuscivano a comprendere appieno il significato di quelle parole. Non riuscivano a immaginare chi, o cosa, potesse aver provocato un dolore così profondo in Paolo Borsellino.

Fu allora che il giudice aggiunse, parlando della Procura di Palermo:

“Qui è un… è un nido di vipere”.

Una frase secca, definitiva.
Un grido di accusa contro un ambiente velenoso, avvelenato non solo dai nemici dichiarati, ma da tradimenti che provenivano dall’interno, da chi avrebbe dovuto essere alleato, amico, compagno di lotta.

Un mosaico di verità tradite

Questa storia è solo l’inizio.
Come le ombre che avvolgono alcune rivelazioni del pentito Filippo Malvagna. Come i misteri che circondano l’ex agente dei servizi Ninni Sinesio o ancora la misteriosa riunione di Roma del 2 maggio del 1996, quando Ilardo parla per quatro ore con Caselli, Tinebra alla presenza della dott.ssa Principato e nessuno verbalizza cosa disse Ilardo in quella stanza.
Sono frammenti che racconteremo qui, uno dopo l’altro.
Tasselli di un disegno che, pezzo dopo pezzo, lascia intravedere sospetti sempre più concreti: prove che porterebbero a una verità pesante.
Provenzano trattò con i Carabinieri, scavalcando Riina.
E, uno dopo l’altro, fece cadere i latitanti storici fedeli allo stragista.
Compreso lo stesso Riina.

Ma siamo convinti che la verità non muore. Resiste. E aspetta chi ha il coraggio di guardarla in faccia.

Le ultime parole di Paolo Borsellino: un grido di verità

In questo video, Paolo Borsellino, a pochi giorni dalla sua morte, racconta con lucidità e coraggio il clima di tradimenti, solitudini e veleni che lo circondava. Un documento straordinario, che dà voce diretta alle paure e alle consapevolezze che abbiamo provato a raccontare in questo articolo.