L’ombra dei servizi segreti

Lorenzo Narracci. Le ombre di un uomo dei Servizi nei misteri di Capaci e via D’Amelio

“Dalle stragi del ’92 ai silenzi istituzionali”

Un nome sussurato

Ci sono nomi che attraversano la storia d’Italia senza mai imporsi apertamente sebbene appaiono nei faldoni giudiziari, nelle testimonianze sussurrate, nei margini delle grandi inchieste e nei processi.

Lorenzo Narracci è uno di questi.

Funzionario a Palermo durante il biennio nero 1992-1993.

Dopo Contrada rappresentava il vertice del del S.I.S.D.E. siciliano.

Narracci, emerge sempre ai margini, ma mai estraneo, nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio.

Il suo profilo di uomo dei Servizi Segreti è tracciato da atti processuali, verbali di interrogatorio, incriminazioni e successive archiviazioni e assoluzioni, in inchieste di connessioni e anomalie che ancora oggi pongono dei leciti interrogativi in molti di coloro che hanno un’ampia conoscenza dei tragici fatti del biennio stragista del 92/94.

Palermo, estate 1992: il mare, il Sisde e le bombe

È il 19 luglio 1992, il giorno in cui Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta vengono dilaniati dall’autobomba in via D’Amelio.

In quelle ore fatali, Lorenzo Narracci si trova — secondo quanto dichiarato dallo stesso — in mare, al largo della costa siciliana, insieme all’altro uomo dei Servizi Segreti che invece viene condannato, in via definitiva, a 10 anni di carcere per partecipazione esterna all’associazione mafiosa “cosa nostra”: il dott. Bruno Contrada.

Una coincidenza?

Forse?

O forse no?

Narracci, che come appartenente al SISDE era responsabile della sicurezza degli obiettivi sensibili a Palermo, si trova distante nel momento in cui l’attentato in via D’Amelio si compie. Ma della gita in barca ci siamo largamente occupati nel post i “Cento Secondi” a cui rinviamo i lettori.

Il mistero del bigliettino a Capaci

Ma i sospetti su Narracci non iniziano con via D’Amelio.

Già poche settimane prima, sulla scena della strage di Capaci, un ritrovamento inquietante scuote gli investigatori.

Secondo l’ex vicequestore Gioacchino Genchi, che lo scrive nel libro di Edoardo Montolli “Il Caso Genchi”

“Nei pressi della collinetta di Capaci, da dove era stato premuto il telecomando della strage che uccise Falcone, i poliziotti del nucleo anticrimine avevano trovato un biglietto con un’utenza cellulare di un funzionario del Sisde”

Il numero chiamava in causa Lorenzo Narracci.

Lo stesso che aveva la Y10 parcheggiata in via Fauro il giorno dell’attentato a Maurizio Costanzo del 14 maggio del 1993.

C’è chi ha sostenuto che l’attentato a Costanzo possa aver avuto due finalità:

Quello di mandare un pesante avvertimento all’uomo dei Servizi o quello di punire Maurizio Costanzo per le sue trasmissioni televisive contro la mafia.

L’ipotesi dell’attentato contro Narracci è del tutto ipotizzabile perchè nel luogo dell’attentato in via Fauro, dai rilievi tecnici, appare, in fotogrammi, anche l’auto del Narracci posteggiata nei pressi dell’esplosione.

Ma torniamo al bigliettino rinvenuto sul luogo della strage di Capaci dove erano riportati alcuni riferimenti tecnici.

Ancora una volta riprendiamo un dato sempre dal libro “Il Caso Genchi”

“Nec P300, Guasto numero 2 portare assistenza settore numero 2. Gus, via Selci numero 26 via Pacinotti”.

Vi era anche un numero telefonico, come già detto, riconducibile ad un apparecchio proprio in uso al Lorenzo Narracci.

Sempre dall’ex vicequestore di Palermo, Genchi, apprendiamo che quel numero era legato al “GUS”, ovvero, sempre secondo il racconto che ne fa Genchi

“si trattava di una base coperta dei servizi segreti romani”.

E il Nec P300? 

Genchi sul suo libro scriverà che questo telefono “era dello stesso tipo di telefono usato come clone” da mafiosi del calibro di Gioè e La Barbera che poi furono condannati per la strage di Capaci.

In merito alla vicenda del bigliettino, lo stesso Narracci, nel verbale di interrogatorio a cui venne sottoposto, datato 27 ottobre 2010, ebbe a dichiarare testualmente che “il bigliettino di cui trattasi non è mai stato in mio possesso e che la grafia non è a me attribuibile” dato, del resto, che aveva precisato anche in due relazioni di servizio del 18 dicembre 1995 e 30 maggio 1997.

Ma rimangono sul tappeto alcuni leciti interrogativi.

È credibile che un bigliettino tanto compromettente sia finito sulla scena dell’attentato per mera disattenzione di uomini dei Servizi Segreti che, oltretutto, non dovevano essere in quel posto?

O il Sisde era presente, magari con un compito non operativo, ma come coprotagonista, dietro le quinte della tragedia? 

E ancora, è lecito domandarsi

Si trattava solo di una casualità o c’è dell’altro dietro le molte connessioni, oltre al “bigliettino rinvenuto”, che ci porta a dei possibili “collegamenti” con la “struttura di intelligence” cui Narracci, Contrada e La Barbera erano appartenenti e che, in qualche modo, almeno per La Barbera che non essendo effettivo al SISDE, era però “vicino” all’operato dei Servizi?

Sarebbe anche lecito poter pensare, visto gli elementi emersi dalle indagini e dai processi, alla compromissione volontaria di elementi di prova che avrebbero potuto pregiudicare figure istituzionali appartenenti ad una possibile sovrastruttura segreta all’interno dei Servizi di Sicurezza stessi e di cui apparteneva anche Contrada amico e collega di La Barbera?

Le successive sentenze di assoluzione e archiviazione hanno escluso queste eventualità tranne che per il solo Contrada che venne condannato per partecipazione esterna a “cosa nostra”. 

L’inchiesta giudiziaria: accuse e archiviazioni

Nel 1996, la Procura di Caltanissetta iscrive Narracci nel registro degli indagati per strage e concorso esterno in associazione mafiosa. Quando viene convocato a testimoniare nel “Borsellino quater”, Narracci si avvale della facoltà di non rispondere.

Un comportamento legittimo, certo, ma che, in un clima di ricerca della verità, per un uomo delle Istituzioni, pesa come un macigno.

Va tenuto presente che nel 2016, l’indagine viene archiviata: l’insufficienza di prove impedisce l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un personaggio che ricopriva una posizione di vertice all’interno dei servizi siciliani dell’epoca.

Gaspare Spatuzza, l'uomo che smascherò il più grande depistaggio della storia giudiziaria italiana

La testimonianza di Spatuzza: l’uomo nel garage

C’è però un altro episodio, meno noto ai più, ma che rende ancora più inquietante i fatti sollevando altri interrogativi ed è quello relativo alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, boss mafioso legato ai fratelli Graviano e quindi alla famiglia mafiosa di Brancaccio grazie al quale, con le sue rivelazioni, si è potuto smascherare quello che è stato definito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana in riferimento al falso pentito Scarantino” sulla strage di via D’Amelio.

Spatuzza interrogato il 23 marzo del 2010 riconosce inizialmente Narracci tra le persone presenti nel garage di via Villasevaglios, dove, secondo le ricostruzioni, veniva imbottita di tritolo la Fiat 126 destinata alla strage di via D’Amelio.

Quindi Spatuzza, in un primo momento, avrebbe riconosciuto Narracci come una presenza “che gli sembrava familiare” ma, in seguito, non è più sicuro di questo riconoscimento.    

I riconoscimenti controversi: Gaspare Spatuzza

Difatti, nel 2010, Gaspare Spatuzza, collaboratore di giustizia, viene chiamato.

Guardando le fotografie postogli in visione dagli inquirenti, indica Narracci come compatibile con una delle figure viste nel garage.

Poi, dopo più attente valutazioni, lo esclude per “eccesso di capelli” rispetto al ricordo.

Via Fauro: un attentato dimenticato?

La sera del 14 maggio 1993, in via Fauro, a Roma, esplose un’autobomba.

L’obiettivo dichiarato è Maurizio Costanzo.

Sulla stessa via, a una manciata di metri, quindi, poco distante dal punto dell’esplosione è parcheggiata l’auto personale di Lorenzo Narracci.

 La domanda nasce spontanea se ci è concessa

Narracci era davvero solo un casuale abitante della zona?

Oppure era anch’egli un potenziale bersaglio o un elemento collegato a un contesto più ampio?

L’approdo all’Aisi e le domande inevase

Dopo il 1992, Narracci continua la sua carriera nei Servizi, sebbene questa cambia nome da SISDE ad AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna).

Quale ruolo ricoprì nell’intelligence successiva il Narracci?

Le sue attività post-1992 sono coperte da segreto per ragioni di sicurezza nazionale, segretezza o per altro?

In altre strutture investigative, chi viene sospettato, interrogato e indagato, per ragioni di ovvia opportunità (come accadde anche con Mario Mori dopo i fatti passati alla storia come quelli del fallito golpe detto della “Rosa dei “Venti”), viene allontanato dall’Ufficio di appartenenza.

Questo, per quanto ci risulta, con Narracci non accade: continuò a far parte della sua struttura di appartenenza anche se con nome diverso.

A questo punto e lecito domandarsi perché Narracci rimane nell’ambito dei Servizi Segreti dopo i fatti narrati e che lo videro in qualche modo interessato?

Una verità ancora da scrivere

Il nome di Lorenzo Narracci attraversa silenziosamente alcune delle pagine più tragiche della storia italiana relativamente agli attentati che hanno privato la Nazione di due eccezionali Magistrati e di uomini della Polizia del nucleo scorte, posti a loro protezione.

Fatti mai del tutto accertati, la sua figura, sebbene le archiviazioni e le assoluzioni, rimane, quindi, per quanto scritto, ricca di leciti dubbi e interrogativi. 

Perché dobbiamo sempre ricordarci che “senza verità giudiziaria o storica piena”, la memoria rimane assolutamente monca e ferita.

Guglielmo Bongiovanni

Fonti:

Edoardo Montolli, Il caso Genchi, Aliberti Editore, 2009;

Sentenza Borsellino quater emessa dalla Corte d’assise di Caltanissetta il 20 aprile del 2017;

Verbale di interrogatorio di persona sottoposta ad indagini del 27 ottobre del 2010;