Le Rivelazioni diMario Ravidà sull’omicidio Ilardo (seconda parte)

Seconda parte – “Lo Stato che non voleva sapere” Le rivelazioni di Mario Ravidà sull’omicidio Ilardo e molto altro

“Se solo si fosse voluto indagare davvero, oggi avremmo una verità storica. Ma qualcuno ha voluto solo cancellarla.” – Mario Ravidà

Ci sono vicende che, se prese singolarmente, possono sembrare anomalie. Ma quando si mettono insieme — come tessere di uno stesso mosaico — restituiscono un’immagine inquietante di Stato colluso, indagini bloccate e verità negate.

Nella seconda parte dell’intervista, Mario Ravidà ci accompagna in un viaggio all’interno della cosiddetta “zona grigia”: quella fascia opaca dove le mafie si confondono con pezzi di Stato, le informative scompaiono, e i servitori onesti vengono isolati.

Si parte dal caso Sturiale, ex mafioso e confidente, fonte di centinaia di relazioni dettagliatissime: tutte ignorate o dimenticate. Si prosegue con l’indagine sulla “pietra dorata”, che avrebbe potuto travolgere imprenditori, politici, avvocati e perfino esponenti dei servizi segreti. Ma nessuno pagò.

Infine, si arriva al cuore della macchina che cercò di distruggere il colonnello Riccio: Agatino Pappalardo, alto dirigente DIA, autore di una lettera diffamatoria letta nel processo Stato–mafia, e protagonista di un oscuro episodio.

Tre capitoli. Tre storie. Una sola domanda:
quanto in profondità si è voluto seppellire la verità?

Le confidenze tradite: il caso Sturiale

“Solo poche, pochissime, delle notizie che mi fornì Sturiale trovarono sbocco investigativo.”

Solo poche, pochissime, delle notizie che mi fornì Sturiale trovarono sbocco investigativo, altre andavano ad arricchire le semestrali che ogni DIA invia al parlamento sull’andamento delle criminalità territoriali e altre che, se non sono state “vendute”, ahimè, ai servizi segreti, cadevano nel dimenticatoio.

A testimoniare del peso e dell’importanza delle informazioni fornite da Eugenio Sturiale, l’ex commissario della Dia Mario Ravidà racconta un episodio specifico disegnando un quadro di complicità che abbracciavano anche settori della politica siciliana, servizi segreti e capi mafia.

Pietra dorata: mafia, università e servizi

“Praticamente nessuno rispose di nulla”

Una delle indagini iniziata a seguito le notizie che mi fornì Sturiale, erano relative ad una impresa sui Nebrodi, di cui lo stesso Sturiale aveva delle quote, che si occupava dell’estrazione di una “pietra ornamentale”.

Pietra con cui si effettuarono:

la pavimentazione dell’aeroporto di Palermo e i muri del raddoppio della linea ferrata Palermo Messina come i muri dell’autostrada Palermo Messina.

L’indagine accertò le connessioni con l’Università di Enna – Kore in quanto vi era un progetto di svariati miliardi di lire che prevedeva la costruzione dei muri e delle  facciate degli immobili universitari con questa pietra ornamentale.

Si accertarono altresì le connessioni con il capo mafia di Enna Raffaele Bevilacqua, del Rettore di Enna Salvo Andò, ex Ministro della Giustizia, di un importante  politico del PD Vladimiro Crisafulli, di due fratelli avvocati del foro di Catania di nome Grippaldi; del responsabile della mafia dei Nebrodi Sebastiano Rampulla, fratello di Pietro Rampulla, indagato come artificiere della strage di Capaci; di rappresentanti, prestanomi di quasi tutti i clan mafiosi di Catania che possedevano quote dell’impresa; di un imprenditore del cemento di nome Bernanasca; di altri mafiosi che avevano  anche contatti con esponenti dei servizi segreti.
Dall’indagine, chiamata poi “pietra dorata”, scaturirono tre distinte informative di reato.

Tutte e tre con elementi inconfutabili sulle responsabilità oggettive e soggettive, per come emerso dall’indagine:
una, relativa ad una compromissione politica del comune di Nicosia in Enna;
Una, per un traffico di esplosivo di 60kg, che dei mafiosi indagati, come da richiesta, procurarono e successivamente vendettero a persone appartenenti ai servizi segreti.

In quel periodo il Direttore dei servizi era Nicolò Pollari.

Esplosivo fatto poi sequestrare dalla Guardia di Finanza mentre si stava dirigendo a Roma.

Sulla vicenda del trasporto vennero arrestati dalla Guardia di Finanza, che operò, due mafiosi che contemporaneamente erano indagati da noi della D.I.A.

Uno di questi mafiosi si appellò al fatto che aveva agito su imput dei servizi segreti e per questo confermò i fatti un’esponente dei servizi che si era occupato dell’acquisto dell’esplosivo (credo 90 milioni di vecchie lire).

Dopo un periodo di detenzione, il mafioso, a seguito dell’intervento giudiziario dell’esponente dei servizi, venne dal Tribunale di Messina scarcerato.

Verrebbe da domandarsi cosa dovevano farci i servizi segreti con questo esplosivo?

Se volevano arrestarli, avrebbero avuto tutto il tempo di farlo poiché l’esplosivo, prima di essere acquistato, fu visionato da un componente dei Servizi.

Di questa indagine, sono stati mandati a giudizio solo i prestanomi mafiosi dell’impresa dei Bernanasca proprietaria della maggioranza di quote dell’impresa di estrazione della pietra e nessun provvedimento venne preso per altri mafiosi, avvocati e politici.

I prestanomi coinvolti, vennero tutti assolti, tranne uno. Praticamente nessuno rispose di nulla.

Meno male che l’indagine venne poi sfruttata per arricchire gli elementi di un’altra operazione “Operazione Montagna” fatta dalla Procura di Messina.

Io non so se in certi comportamenti Istituzionali possono esserci  dei coinvolgimenti dolosi nel  trasmettere la mia relazione in ritardo in Procura; nel non delegare indagini anche da parte della Procura o quant’altro. Sono abbastanza convinto che siano state “azioni” certamente dettate da una certa “superficialità“, nel non capire che quella attività mai disposta, poteva essere l’indagine che avrebbe potuto scoperchiare un “verminaio” di collusioni Istituzionali.

Agatino Pappalardo: il delegittimatore

“Questo Mori non me lo aveva detto…”

Certo, se a quanto sopra si associano alcuni inspiegabili comportamenti di Agatino Pappalardo, cugino della Monterosso, nonché’ alto Dirigente DIA, allora potrebbe sorgere, in un attento investigatore, qualche atroce dubbio.

Considerato che Pappalardo è anche colui che scrive una dura, diffamatoria e calunniosa lettera contro Riccio. Una lettera che, credo, sia stata indirizza alla Procura di Palermo quando questa era Diretta da Caselli (anche lui conoscente del Pappalardo per aver in passato lavorato insieme a Torino) e che viene letta durante le udienze del processo stato-mafia.

Lettera che insieme ad altre difficoltà create a Riccio, quando era in DIA, contribuì a determinare l’uscita volontaria di Riccio dalla DIA, per ritornare ai ROS, sotto il controllo e gli ordini di Mario Mori e Subranni.

Da quel  momento in poi, le eccezionali operazioni effettuate, quando Riccio era in D.I.A., si fermarono inspiegabilmente, culminando nella  mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso.

Se a questa lettera uniamo il fatto che sempre Pappalardo manda a chiamare me e il mio collega Arena con cui facevo “coppia investigativa” da sempre e ci chiude in una stanza, ordinandoci di non frequentare più Riccio perché’ stava per essere arrestato in quanto un criminale che si era appropriato di fondi DIA e che non aveva esitato a far uccidere quattro inermi brigatisti colti nel sonno e che, in ultimo, non sarebbe mai arrivato alla cattura di Provenzano allora gli elementi per poter presuppore una volontà diversa e per occultare la verità e conseguente giustizia, credo potremmo porci altre domande, anche queste rimaste senza risposta.

Conoscendo benissimo il Dott. Pappalardo, abbiamo confutato quanto da lui affermato, quando volle parlare privatamente con me e Arena e abbiamo fatto presente che il rapporto che intrattenevamo con Riccio era finalizzato alle notizie che da questo e Ilardo potevano pervenire in merito all’indagine “Chiara Luce” che avevamo ancora in atto;

Che non ci risultava che Riccio si era appropriato indebitamente di fondi DIA e che anzi aveva anticipato di tasca sua delle somme spese per la missione a Catania;

Che i quattro inermi terroristi avevano sparato per primi, ferendo gravemente ad un occhio un maresciallo dei carabinieri (recentemente deceduto). Cosa questa che ha innescato la reazione dei carabinieri di Riccio verso i terroristi.

Infine fu proprio Riccio che era arrivato al nascondiglio di Provenzano a Mezzojuso e che i carabinieri di Mori non precedettero all’arresto.

A questo punto il nostro Dirigente si irrigidisce ed esclama, come se parlasse tra sé e sé: “QUESTO MORI NON ME LO AVEVA DETTO”…!

Ora, ripeto, conoscendo Pappalardo, credo che anche lui, sia caduto nelle trame di Mori e per non fare invischiare la struttura DIA in questi fatti ha preferito cercare un modo per disfarsi del Riccio.

Magari, forse, spero, non sapendo le sospettate finalità di Mario Mori e gli accordi Stato-mafia in essere per non catturare Bernardo Provenzano.

Lo dimostra il fatto che Mori, a dire dello stesso Pappalardo con quella frase proferita “tra i denti”, non lo informò che si era arrivati al covo di Mezzojuso tramite Riccio-Ilardo ….

👉 Continia nella terza parte
A breve online su questo sito l’utima parte della conversazione avuta con l’ex commissaro della Dia catanese Mario Ravidà sulla mancata cattura di Provenzano, sulle dichiarazini mai verbalizzate di Ilardo, Ilardo doveva morire, Le agende di Riccio e la vendetta giudiziaria, la verità che fa paura

Guglielmo Bongiovanni

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