“Lo Stato che non voleva sapere” – Le rivelazioni di Mario Ravidà sull’omicidio Ilardo e molto altro
“Se solo si fosse voluto indagare davvero, oggi avremmo una verità storica. Ma qualcuno ha voluto solo cancellarla.” – Mario Ravidà
Ci sono storie che giacciono da anni sotto cumuli di polvere istituzionale, protette da archiviazioni sospette, silenzi calcolati e memorie smarrite. La vicenda di Luigi Ilardo – il mafioso che aveva scelto di collaborare e che venne ucciso la sera prima di entrare ufficialmente nel programma di protezione – è una di queste.
Ma dietro quell’omicidio si intravede qualcosa di più oscuro: una rete di omissioni, depistaggi e forse connivenze che chiama in causa non solo la mafia, ma settori delle istituzioni.
Per la prima volta, Mario Ravidà – ex sostituto commissario della DIA di Catania – rompe il silenzio con un racconto discorsivo e pieno di nomi, circostanze, date. Un testo che non lascia margini di ambiguità e non fa sconti a nessuno: magistrati, dirigenti, ufficiali, colleghi, politici.
Le sue parole raccontano dall’interno la macchina che ha tradito Luigi Ilardo. Ma anche quella che ha tentato di fermare il colonnello Michele Riccio. E forse – come dice lo stesso Ravidà – ciò che emerge è l’ombra di uno Stato parallelo.
Abbiamo deciso di pubblicare il testo integrale, che ci ha fornito il commissario Ravidà, dividendo il racconto in tre capitoli tematici, senza alterazioni, per favorirne la lettura e la riflessione.
Perché, oggi più che mai, serve accertare almeno la verità storica.
E forse, qualcuno comincia a temerla davvero
Il sodalizio con Michele Riccio
“Da subito si instaurò un rapporto di sintonia operativa con il Colonnello, che consentì l’arresto di diversi latitanti mafiosi.”
Ho conosciuto Riccio quando questi, da Dirigente della D.I.A. di Genova, ebbe l’incarico dell’allora Direttore della D.I.A. Gianni de Gennaro, di “trattare” un collaboratore e per tale motivo si “appoggiò”, per le varie incombenze, alla D.I.A di Catania.
Riccio mi fu presentato da Arena e da subito si instaurò un rapporto di “sintonia” operativa con il Colonnello, che consentì l’arresto di diversi latitanti mafiosi, tutti di primissimo piano nel panorama criminale regionale e provinciale. Ricordo l’arresto di Vincenzo Aiello; di Lucio Tusa; di Biagio Fragapane e altri.
Più o meno le cose funzionavano così: Riccio aveva l’esclusivo rapporto con l’infiltrato, che non era conosciuto da nessuno, tranne che da De Gennaro (all’epoca capo della Dia ndr) e forse altre due o tre persone.
Riccio, una volta acquisite le notizie dal suo infiltrato, le portava in Ufficio alla DIA di Catania ed insieme al Colonnello, con altre due/tre persone del mio ex Ufficio, individuavamo e organizzavamo i sopralluoghi dei covi dei latitanti e dopo aver aspettato che in quel nascondiglio entrassero e uscissero altre persone, per non far capire ai latitanti catturati chi avesse potuto tradirli, si organizzava l’irruzione con altro personale, sempre appartenente alla D.I.A. di Catania. In alcune irruzioni, partecipavano anche alcuni uomini della D.I.A. di Genova che da sempre avevano “lavorato” con Michele Riccio.
L’infiltrato Luigi Ilardo
“Con qualche ricerca, arrivammo a identificare Luigi Ilardo. Riccio ci confermò che era lui il suo collaboratore segreto.”
Solo qualche settimana prima del delitto di Ilardo, io e Arena, riuscimmo ad identificare l’infiltrato di Riccio, poiché il Colonnello ci confidò che il suo “collaboratore segreto” era un parente di Piddu Madonia e che si era fatto circa 15 anni di carcere. Allora, con qualche ricerca, arrivammo ad identificare Luigi Ilardo.
Questa cosa, per correttezza, l’abbiamo detta a Riccio e Riccio ci confermò che Ilardo era il suo “collaboratore segreto”.
Chiaramente non avevamo mai chiesto prima a Riccio chi fosse il suo infiltrato, poiché ritenevamo giusto mantenerne segretissima la vera identità di Ilardo.




Le omissioni della DIA
“Sono trascorsi 30 anni dall’omicidio Ilardo […] ma non sono stati mai inquisiti o nemmeno semplicemente indagati.”
Sono trascorsi 30 anni dell’omicidio Ilardo e sebbene ritengo vi siano episodi e fatti, non contestati, per delle Istituzioni che indubbiamente hanno ritardato e omesso atti e azioni obbligatorie per legge, non sono stati mai, per quanto mi risulti, inquisiti o nemmeno semplicemente indagati.
Ho appreso recentemente che per l’omicidio Ilardo, vi è ancora un fascicolo aperto alla Procura di Catania, in merito alle collusioni Istituzionali.
Gli episodi che lasciano perplessi sono:
In primo luogo le mancate indagini da parte della DIA di Catania, sebbene si era venuti a conoscenza, dopo cinque anni dalla morte di Ilardo, tramite una mia relazione di servizio contenente i nomi degli autori dell’omicidio, la loro appartenenza alla “squadra omicida di Maurizio Zuccaro”; a chi facevano capo come dipendenza mafiosa e persino le marche dei “mezzi” usati dai killer di Ilardo (una o due moto e un’autovettura).
Quello che si presta a delle domande, purtroppo rimaste senza risposta è il fatto che la DIA di Catania sapeva benissimo chi era Ilardo, le operazioni che aveva fatto fare e che quell’omicidio era quantomeno “differente” da qualsiasi altro omicidio di mafia proprio per i trascorsi di Riccio-Ilardo, conosciuti da tutti alla DIA di Catania.
Ho dovuto insistere con i miei dirigenti affinché si iniziasse un’attività investigativa sull’omicidio, mai accordata con la motivazione che non vi era personale disponibile per una nuova indagine.
La cooperativa edilizia e il doppio standard
“Quel che costrinse i miei dirigenti a trasmettere la relazione fu che mi accorsi di un’indagine partita da un anonimo su una cooperativa di cui ero socio anch’io.”
Credo che il fatto che costrinse i miei dirigenti ad inviare in Procura la mia relazione, fu che mi accorsi di un interrogatorio che alcuni miei colleghi della Guardia di Finanza, sempre della D.I.A., stavano espletando nei confronti di un geometra dell’ufficio tecnico di un vicino Comune, da me personalmente conosciuto poiché era il tecnico Comunale che si stava occupando delle concessioni ad una cooperativa edilizia che doveva sorgere in un vicino paese Etneo.
Cooperativa cui eravamo soci alcuni colleghi della DIA e altri della Squadra Mobile di Catania.
Avevamo già acquistato il terreno con fondi regionali con una Legge per cooperative sociali. Ebbene questo Geometra era stato chiamato dalla DIA, poiché il Procuratore della Repubblica del tempo aveva ricevuto un anonimo in cui si faceva riferimento alla nostra cooperativa edilizia come cooperativa che stava per nascere con fondi mafiosi.
E pertanto incaricava la DIA di investigare in questo senso. Dirigenza DIA che accettò di fare l’indagine.
A quel punto non ho più resistito ed ad alta voce nei corridoi della DIA denunciavo che quell’ufficio non faceva indagini su un omicidio come quello di Ilardo per mancanza di personale e invece trovava il personale per fare indagini su un anonimo ricevuto e inviato dal Procuratore, relativo ad una cooperativa edilizia formata da Poliziotti della DIA e di altre Forze dell’ordine.
Chiaramente non mi limitai solo a questo ma feci una relazione sulle vere motivazioni per cui quella cooperativa a cui ero iscritto io e miei colleghi, non poteva mai nascere: perché quell’area era di interesse di importanti imprenditori catanesi dove dovevano realizzare un parcheggio di un nascente centro commerciale.
Questa relazione, suscitò, a dire dalla mia dirigente Dott.ssa Monterosso, una reazione da parte del Procuratore che diffidò la Dirigenza a far conoscere ad altri investigatori della DIA quello che altri colleghi dello stesso Ufficio stavano facendo come indagini. Praticamente io non avrei dovuto conoscere le attività d’indagine di miei colleghi all’interno del mio stesso Ufficio.
Credo, ripeto, che fu in quel momento che a seguito di mie “energiche” proteste, costrinsi la mia Dirigenza a trasmettere la mia relazione sull’omicidio Ilardo alla Procura di Catania.
La Procura di Catania riceve la mia relazione, che fortunatamente era stata Protocollata, e non rilascia mai una doverosa e obbligatoria delega di indagini, sebbene si trattasse di una precisa e circostanziata notizia di reato.
Relazione che, per come appresi dagli stessi PM che poi mi interrogarono nel contesto dell’istruttoria del processo omicidio Ilardo, non si trovava agli atti della Procura e quindi sconosciuta.
Meno male che, come dicevo, la lettera di trasmissione della mia relazione era stata protocollata in uscita dalla DIA e indirizzata alla Procura di Catania.
Così come la Procura di Catania non aveva mai ricevuto (tranne alcune, a dire dai PM che mi interrogarono) le centinaia di relazioni di servizio che caratterizzarono il mio rapporto di confidenza con Eugenio Sturiale.
Relazioni di servizio tutte consegnate alle varie Dirigenze che si erano succedute dal 2001 al 2011 alla DIA di Catania. (2001 inizio rapporto con Sturiale, 2011 anno del mio pensionamento).
Relazioni che se fossero state tutte portate a conoscenza dell’AG e questa avrebbe delegato indagini sulle notizie che mi forniva Sturiale, credo, si sarebbe pesantemente indebolita la mafia Catanese e non solo.
Di tali relazioni di servizio, mi ero premunito a fare, nel tempo, delle raccolte che ho inserito in due note da me create e cioè nel 2006 e, credo, nel 2009. Due raccolte, che ho fatto avere in Procura ai Giudici che stavano istruendo il Processo sull’omicidio Ilardo…..
👉 Continua nella seconda parte…
A breve online su questo sito: le rivelazioni inedite di Ravidà su Sturiale, “pietra dorata”, i servizi segreti, la mancata cattura di Provenzano, l’informativa “Grande Oriente” e lo “Stato parallelo”.