La doppia versione: Riccio contro Damiano

La verità negata: Le ombre sul delitto di Stato

“Il prezzo del silenzio paga”

Luana Ilardo

La fonte che non doveva parlare

Era una delle tante serate piacevoli che si vivono a Catania quella del 10 maggio del 1996. L’estate era alle porte.

Luigi Ilardo stava rientrando nella sua abitazione in via Quintino Sella.

Doveva prepararsi: nei giorni successivi avrebbe incontrato i magistrati per ufficializzare la sua collaborazione.

Aveva già parlato, a Roma, davanti ai magistrati.

Aveva fatto nomi. Aveva raccontato di Provenzano, dei Madonia, della massoneria.

Poi, all’improvviso, nove colpi di pistola lo fermarono sotto casa.

Quella morte, da subito, ebbe l’odore acre del tradimento. Non solo mafioso. Ilardo era stato lasciato solo, esposto, vulnerabile. Le carte processuali, le sentenze e le testimonianze lo confermeranno vent’anni dopo.

E al centro di questa storia si intrecciano due narrazioni: quella del colonnello Michele Riccio, che di Ilardo fu gestore e confidente, e quella del colonnello Antonio Damiano, che collaborò con Riccio ma ne disconobbe in parte l’operato.

Questo capitolo ricostruisce le contraddizioni, le omissioni e i punti oscuri di quella gestione, restituendo voce a un uomo che poteva cambiare la storia dell’antimafia. Se solo gli fosse stato permesso di vivere.

La doppia versione: Riccio contro Damiano

La verità molte volte sta nelle carte. Basta saper mettere le tessere del puzzle al loro posto. Questo vale soprattutto per il caso Ilardo.

Una delle vicende che è stata sottaciuta per anni, ad esempio, è il confronto tra Riccio e Damiano.

Confronto che emerge con forza nel processo per l’omicidio di Luigi Ilardo, celebrato presso la IV sezione della Corte d’Assise di Catania, presieduta dalla dott.ssa Anna Castagnola, con pubblico ministero il dott. Pasquale Pacifico.

La sentenza, depositata il 21 marzo 2017, condannava all’ergastolo i mandanti mafiosi Giuseppe “Piddu” Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Benedetto Cocimano. [1]

In quel processo, Damiano — nel frattempo transitato al SISDE — depone il 24 aprile 2015.

Riccio, a sua volta, offre una narrazione dettagliata della gestione del confidente “Oriente”, ossia Ilardo. Ma le due versioni divergono in modo allarmante.

L’episodio del 31 ottobre 1995 al bivio di Mezzojuso è emblematico. Quel giorno, Ilardo fu accompagnato da Lorenzo Vaccaro all’incontro con Bernardo Provenzano.

Riccio sostiene di aver coordinato l’intera operazione, di aver dato istruzioni dettagliate al ROS di Caltanissetta.

Damiano afferma invece di aver ricevuto un semplice ordine generico, senza riferimenti alla finalità del servizio.

Eppure i giudici catanesi scrissero nella sentenza che:

«Non si comprende […] come i militari ivi presenti fossero riusciti ad individuare e fotografare le autovetture e i personaggi di interesse operativo senza alcuna indicazione in tal senso».[2]

Inoltre, Riccio afferma di aver trasmesso a Damiano, ben prima dell’omicidio, l’identità di Ilardo come fonte fiduciaria.

Damiano nega, spostando la propria presa di coscienza in un tempo successivo.

“Damiano nelle sue dichiarazioni spostò molto più tardi nel tempo il momento in cui venne a conoscenza dell’identità del collaboratore in Luigi Ilardo, dimenticando il servizio di Mezzojuso, ovvero l’incontro tra Ilardo e Provenzano”[3]

Sarà la stessa Corte catanese a confermare questo dato osservando che Damiano aveva collaborato con Riccio alla stesura del rapporto “Grande Oriente” e che in quel documento si faceva già riferimento alla vera identità della fonte³.

Il punto di rottura: la fuga di notizie

Ma il nodo più drammatico riguarda la fuga di notizie.

Secondo Riccio, la notizia della collaborazione imminente di Ilardo era trapelata dagli ambienti giudiziari e istituzionali e questo provocò un’improvvisa accelerazione del piano omicidiario.

Riccio riferisce che il colonnello La Stella venne a sapere da un magistrato, il procuratore aggiunto presso la procura di Caltanissetta dott. Giordano, che “un nuovo collaboratore” stava per essere ascoltato, e che ne parlò con Damiano.

Quest’ultimo, tuttavia, minimizzò, affermando di non ricordare eventi specifici e di non aver ravvisato alcun pericolo.

Del resto sulla vicenda esiste anche un nastro che il Riccio aveva registrato in occasione dell’incontro avvenuto con Damiano il 10 maggio del 1996, lo stesso giorno dell’omicidio Ilardo dove, secondo il racconto di Riccio

“si evinceva dalle parole del Damiano che la notizia in merito alla collaborazione di Ilardo era trapelata all’esterno dalla Procura di Caltanissetta ed erano stati menzionati chiaramente i nomi del dottor Tinebra (all’epoca a capo della procura nissena ndr) e del dott. Giordano”[4]

Del resto saranno gli stessi giudici catanesi che nella sentenza di primo grado sull’omicidio Ilardo scriveranno

«ove venisse effettivamente dimostrata tale fuga di notizie, essa finirebbe per saldarsi coerentemente con il racconto dei collaboratori di giustizia per spiegare ulteriormente l’improvvisa accelerazione del progetto omicidiario»[5]

La notifica alla cugina mafiosa

Uno degli episodi più controversi riguarda la notifica dell’atto di sospensione della pena. A dover ricevere il documento era Ilardo, residente a Catania. E invece venne notificato alla cugina, Maria Stella Madonia, residente a Gela e nota appartenente alla famiglia mafiosa Madonia.

Damiano, interrogato in aula dal PM Pacifico, dichiarò di:

«aver dato incarico a due suoi sottufficiali del ROS di Caltanissetta, persone di sua assoluta fiducia, di notificare l’atto […] a Maria Stella Madonia, cugina del collaboratore»[6].

Per Riccio, quella notifica rappresenta la prova di una strategia alternativa e di una gestione opaca delle informazioni. Scrive:

«Il fatto che Damiano non mi aveva informato dell’iniziativa presa […] era una prevaricazione del compito che Mori mi aveva assegnato […] ovvero quello di gestire il collaboratore»[7].

Maria Stella Madonia, sottolinea Riccio, era legata a Bernardo Provenzano e successivamente arrestata. Ilardo venne ucciso pochi giorni dopo quell’atto.

Su questa vicenda invito i lettori a consultare il nostro articolo “Omicidio di Stato” dove approfondiamo uno degli episdi più inquietanti della vicenda Ilardo

L’“accelerazione” secondo il PM Pacifico

Che ci sia stata un’accelerazione nella decisione di far tacere per sempre Ilardo è fuori discussione.

Lo stesso dott. Pasquale Pacifico che ha sostenuto l’accusa nel processo di primo grado sull’omicidio dell’infiltrato catanese, ha ripetuto più volte il concetto di “accelerazione” del piano omicidiario.

E la Corte d’Assise ne ha accolto integralmente la tesi:

«Il fatto che Ilardo stesse per diventare un collaboratore di giustizia aveva provocato una ‘accelerazione’ al piano di eliminarlo» [8].

Non è un caso che l’8 maggio 1996, due giorni prima del delitto, Ilardo si rechi a Gela proprio dalla cugina Maria Stella per verificare la possibilità di incontrare ancora una volta Bernardo Provenzano. L’incontro non avverrà. Due giorni dopo, Ilardo è morto.

Ilardo, l’uomo che poteva cambiare la storia

Luigi Ilardo non era un collaboratore qualsiasi. Aveva fornito informazioni decisive, aveva rivelato la posizione del rifugio di Provenzano, aveva aperto squarci sulle connessioni tra mafia, massoneria, apparati deviati dello Stato.

La Corte stessa lo riconosce:

«La collaborazione dell’Ilardo ha consentito importanti risultati investigativi, con la cattura di numerosi latitanti e l’individuazione di uno dei componenti del triumvirato che all’epoca reggeva ‘cosa nostra’ a Catania»[9].

Ma tutto si fermò la sera del 10 maggio.

Omicidio mafioso, sì. Ma maturato in un contesto di ritardi istituzionali, omissioni operative e scelte inspiegabili.

Non vogliamo sostituirci alla magistratura nella maniera più assoluta. Ma vogliamo solo evidenziare come in questa tragica storia qualcosa non torna.

Dinanzi ad un simile scenario possiamo affermare che dietro quell’omicidio ci sia qualcosa che vada oltre la semplice vendetta mafiosa?

Siamo fiduciosi nell’operato della magistratura augurandoci che l’indagine sull’omicidio Ilardo che, a quanto pare, risulta ancora aperta, possa portare al più presto delle novità positive non solo perchè lo chiede la famiglia Ilardo ma lo chiedono anche gli italiani onesti che ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni, non sanno chi ha voluto che Ilardo fosse messo a tacere per sempre.

Forse se l’atto fosse stato notificato a Ilardo e non alla cugina mafiosa. Se l’Arma e i vertici avessero agito con trasparenza, oggi parleremmo del più importante collaboratore di giustizia della storia recente.

Invece, parliamo di un uomo tradito. Due volte. Dalla mafia, e dallo Stato.

Guglielmo Bongiovanni

Note:

[1] Sentenza di primo grado emessa Corte d’Assise di Catania il 21 marzo 2017;

[2] Ibidem;

[3] Il colonnello Riccio cita anche una lettera anonima inviata al dottor Tinebra sulle riprese delle attività criminali del collaboratore, e assegnata a Damiano per indagini. Lettura, scrive ancora Riccio, di cui si era dimenticato di avermi subito dato copia. Riccio racconta anche la fallita operazione di cattura dei latitanti Emmanuello, episodio che secondo Damiano non è nemmeno accaduto, smentito da quanto “avevamo scritto nel rapporto Grande Oriente” (Anna Vinci e Michele Riccio, Strategia parallela, Zolfo 2024, pag. 450 e ss.);

[4] Anna Vinci e Michele Riccio, Strategia parallela, Zolfo, 2024;

[5] Sentenza di primo grado emessa Corte d’Assise di Catania il 21 marzo 2017;

[6] Ibidem;

[7] Ibidem;

[8] Ibidem;

[9] Ibidem;

Questo articolo ha un commento

  1. Esmeralda

    Che venga fatta giustizia una volta per tutte
    Che venga fuori la verità sulla morte di Luigi Ilardo e non solo su di lui
    Chi rimane vive un ergastolo dell’anima
    Tutti noi abbiamo il diritto di sapere la verità e si faccia giustizia

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