Ilardo, il testimone sacrificato: segreti, depistaggi e verità negate

Luigi Ilardo: il confidente sacrificato. Verità perdute tra pecore, omissioni e poteri occulti

Un uomo solo contro i poteri oscuri tra Stato e mafia. La sua voce stava per rivelare tutto. È stato messo a tacere.

C’è un’immagine grottesca e amara che ha attraversato le aule di giustizia italiane: quella di un’operazione saltata per colpa… delle pecore.

Sì, perché secondo quanto emerso in un processo, la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, in un’azione predisposta dal ROS dei Carabinieri, fu giustificata anche dal rischio che la presenza di pecore disturbasse l’intervento. Una motivazione talmente surreale da diventare il simbolo di una precisa volontà di non agire, o almeno, di temporeggiare. Ma la vicenda, purtroppo, è tutt’altro che ridicola.

Lo conferma anche il caporedattore di AntimafiaDuemila, Aron Pettinari, in un podcast che abbiamo voluto sottoporre all’attenzione dei nostri lettori sotto.

Sullo sfondo di questo episodio si consuma la tragedia di Luigi Ilardo, uomo d’onore e confidente del colonnello Michele Riccio, infiltrato all’interno di Cosa nostra e deciso, dopo anni di rischi e azioni sotto copertura, a collaborare apertamente con lo Stato.

Ilardo aveva già permesso l’arresto di decine di mafiosi, ma nel 1996 era pronto a fare il salto definitivo: non più solo fonte riservata, ma collaboratore di giustizia a tutti gli effetti.

Un passo decisivo, maturato in un drammatico incontro nella sede del ROS a Roma, dove Ilardo confessò la volontà di raccontare tutto ciò che sapeva: i legami tra mafia, massoneria, servizi segreti e istituzioni. E lo disse chiaramente davanti a figure apicali dell’Arma, tra cui Mario Mori, al quale – secondo il racconto di Riccio – Ilardo avrebbe detto:

molti attentati che ci avete addebitato a noi li avete in realtà commessi voi

La reazione di Mori? Un silenzio teso, pugni serrati.

Incredibilmente, quell’incontro non solo non fu registrato ma non esiste neanche un verbale.

A Riccio, inizialmente, fu dato ordine di non registrare quanto Ilardo avrebbe rivelato. Ma il colonnello disobbedì, salvando il salvabile con relazioni di servizio personali, poi decisive per ricostruire gli eventi. Quando Ilardo viene ucciso, il 10 maggio 1996, Riccio apprende la notizia da un altro ufficiale, il capitano Damiano, che parla apertamente di fughe di notizie:

qualcuno avrebbe fatto trapelare che Ilardo stava parlando con i carabinieri. Una falla letale.

Il giorno dopo, Riccio incontra Mario Subranni, generale e già comandante del ROS, che – secondo il suo racconto – avrebbe commentato con cinismo: “Ti hanno ammazzato il confidente…”. Quel confidente stava per raccontare verità scottanti, e aveva già parlato, il 2 maggio del 1996, con i magistrati Giancarlo Caselli, all’epoca capo della procura di Palermo, Giovanni Tinebra, capo della pricura di Caltanissetta e Teresa Principato membro dell’ufficio istruzione antimafia di Palermo, la quale era l’unica che aveva preso appunti su quanto andava dicendo Ilardo.

Ma anche qui, gli appunti, come confermato dalla stessa Principato, andarono persi durante un trasloco.

Tra le verità mai raccolte ufficialmente ci sarebbe stato anche il nome di Marcello Dell’Utri, menzionato da Ilardo in tempi non sospetti. E ancora, rivelazioni sui mandanti esterni delle stragi del ‘92-’93, sulle relazioni inconfessabili tra lo Stato e il crimine organizzato. Caselli, all’epoca procuratore capo a Palermo, era favorevole a registrare le dichiarazioni di Ilardo. Ma, secondo Riccio, si opposero Tinebra e Subranni, sostenendo che non serviva.

E invece Ilardo fu giustiziato otto giorni dopo quell’incontro a Roma.

Un omicidio che ancora oggi resta avvolto nel mistero, con un’indagine ancora aperta sui possibili mandanti esterni a Cosa nostra. Lo ha confermato anche l’avvocato Luigi Ligotti, legale della famiglia Ilardo. E non mancano i collaboratori di giustizia, come Antonino Giuffrè, che hanno parlato esplicitamente di fughe di notizie provenienti da ambienti istituzionali.

Ilardo era una mina vagante che avrebbe potuto far crollare interi apparati. Ma lo Stato ha preferito perderlo. E, come ci ricordano le sentenze che hanno assolto Mori e Mauro Obinu dall’accusa di favoreggiamento alla latitanza di Provenzano, nonostante le assoluzioni, restano gravi dubbi sul comportamento degli apparati di Stato: inerzia, omissioni, scarsa volontà d’azione.

È grazie alla determinazione di Riccio se oggi conosciamo almeno una parte di questa storia. Con ostinazione e coraggio, ha conservato le sue relazioni di servizio. Se non lo avesse fatto, la verità su Ilardo sarebbe stata sepolta per sempre.

Una verità che fa ancora paura.

Guglielmo Bongiovanni

 Guarda il reportage realizzato da Antimafia Duemila