Gianni Chisena, lo stratega criminale: Il cervello dietro i legami tra Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Servizi segreti
Il regista occulto delle connessioni mafiose tra Sicilia e Calabria, il sistema degli impieghi fittizi e il mistero di Luigi Ilardo: cosa avrebbe potuto rivelare se non fosse stato ucciso?
“Colonnello, lei, per capire quali siano i mandanti delle stragi del 1992-1993, deve pensare che quegli ambienti che hanno ispirato queste stragi del 1992-1993 sono gli stessi ambienti, ai quali ho partecipato anch’io, che le hanno poste in essere anche nei primi anni ’70”
(Luigi Ilardo)
.
La verità sta nei verbali
Gianni Chisena riveste un ruolo centrale se si vuole capire il peso e l’importanza che avrebbe potuto avere Luigi Ilardo.
In altri termini Ilardo avrebbe potuto aprire uno squarcio di verità su un “sistema criminale” all’interno del quale Cosa nostra era solo uno di tanti tasselli che comprendeva servizi segreti deviati, massoneria, ‘ndrangheta, apparati deviati dello Stato.
A tal fine vogliamo raccontarvi una storia che ci aiuta a capire fino in fondo chi era Gianni Chisena, lo stratega anche nel tessere le relazioni tra Cosa nostra e N’drangheta.
Una storia che emerge dall’indagine del colonnello Riccio denominata “Grande Oriente” [1]
L’uomo nell’ombra: Chisena, il ponte tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta
Gianni Chisena non era un semplice esecutore, né un capo mafioso tradizionale, ma uno stratega con un ruolo cruciale nell’orchestrare le relazioni tra Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta.
La sua abilità non stava solo nella gestione del crimine, ma soprattutto nella capacità di costruire alleanze strategiche tra le più pericolose organizzazioni criminali d’Italia.
Tra le sue mosse più significative vi fu l’organizzazione della permanenza di Luigi Ilardo in Calabria, quale rappresentante ufficiale della famiglia mafiosa catanese dei Santapaola.
Un’operazione che avrebbe avuto implicazioni fondamentali per gli equilibri mafiosi tra Sicilia e la regione calabrese.
Ilardo, come racconta Riccio
fu ospite a metà anni Settanta del boss Natale Iamonte, figura di spicco del crimine organizzato calabrese con base a Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria [2]
Iamonte inizialmente era legato a Domenico Tripodo, detto il “mammasantissima” della ‘Ndrangheta, ma poi ne divenne acerrimo nemico, alleandosi con il potente clan De Stefano.
Il contesto in cui Ilardo si inserì era quindi altamente instabile e pieno di tensioni interne, con un delicato equilibrio tra le varie fazioni criminali in lotta per il controllo del territorio.
Chisena, per giustificare il suo soggiorno in Calabria, gli fece ottenere un impiego fittizio presso la Liquichimica di Saline Ioniche, un’industria che si rivelò un ingranaggio essenziale per il traffico illecito tra mafia e multinazionali del tabacco e che rappresenta uno dei più emblematici esempi di come la criminalità organizzata abbia saputo infiltrarsi nel tessuto economico e industriale italiano.



Liquichimica: l’azienda fantasma al servizio delle mafie
Gianni Chisena svolse un ruolo determinante nella gestione di questa struttura, formalmente destinata alla produzione di bioproteine derivate dal petrolio, ma di fatto utilizzata come copertura per operazioni illecite.
L’inserimento di Ilardo nella Liquichimica non fu casuale.
La società, che formalmente si occupava di produzione industriale, nascondeva in realtà un vasto traffico di sigarette di contrabbando. Grazie a questa copertura, Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta organizzavano sbarchi notturni di enormi quantità di tabacco sulle spiagge di Saline Ioniche, creando un commercio parallelo che si estendeva fino all’isola di Malta, dove venivano chiusi accordi con le principali multinazionali del settore.
Il colonnello Riccio non si fermò alla superfice dei fatti approfondendo, grazie alle rivelazioni di Ilardo, la figura di Gianni Chisena.
Il colonnello veneto accertò, difatti, che la Liquichimica non era solo un canale per il traffico di sigarette.
Lo stabilimento, realizzato nei primi anni Settanta grazie al finanziere Raffaele Ursini, rientrava in un più ampio progetto finanziato dallo Stato attraverso il “Pacchetto Colombo”, un’operazione da circa duemila miliardi di lire, voluta dal Ministro dell’Industria democristiano Emilio Colombo, per rilanciare l’economia calabrese [3]
L’impianto avrebbe dovuto produrre bioproteine dai derivati del petrolio, destinate a diventare mangimi per animali.
Ma dopo pochi mesi, i prodotti vennero dichiarati cancerogeni, e lo stabilimento chiuse i battenti. Il risultato fu una cattedrale nel deserto che distrusse le coltivazioni di bergamotto per fare spazio a edifici in cemento e lasciò senza lavoro cinquecento operai che furono messi in cassa integrazione e rimasero in tale condizione per ben ventitré anni, drenando risorse statali per miliardi di lire, soldi che finirono in parte nei circuiti mafiosi.
Gli appalti mafiosi dietro la Liquichimica
Il quadro offerto dal Riccio è davvero inquietante. E’ cosa nota che dalla chiusura dell’impianto emerse una rete di corruzione e collusioni tra mafia e politica.
Tutto aveva una sua logica precisa, nulla era lasciato al caso, basti pensare che i lavori di costruzione dello stabilimento erano stati assegnati ai fratelli Costanzo, Cavalieri del Lavoro di Catania, che a loro volta subappaltarono il tutto a Natale Iamonte, boss della ‘Ndrangheta.
In altri termini
Nitto Santapaola pagava la tangente a Iamonte e ai De Stefano [4]
La strategia parallela: sequestri e alleanze con l’estrema destra
L’abilità strategica di Chisena non si limitava al controllo economico e alle coperture fittizie. Parallelamente, fu tra i registi di una lunga campagna di sequestri di persona, concentrati soprattutto a Milano e in Lombardia, un’area strategica per il riciclaggio di denaro e le connessioni con ambienti eversivi dell’estrema destra.
Ma Chisena non si limitava agli affari legati alla Liquichimica. Intorno a lui orbitava un vero e proprio commando di uomini fidati, tutti di origine calabrese e con trascorsi nella destra extraparlamentare.
Tra questi spiccava Annunziato Turro Palmiro alias “Nuccio” noto per la sua ferocia come killer e per aver partecipato a scontri armati con le forze dell’ordine che entrerà a far parte integrante della Mafia legandosi prima ai Madonia di Caltanissetta e poi con Santapaola
Il Riccio nella sua indagine “Grande Oriente” scrive che
Il Turro non era solamente noto quale elemento della destra eversiva [5]
ma anche per gli
scontri a fuoco, durante i quali era rimasto anche ferito, ma anche a seguito del suo arresto con l’avvocato Nicola Bolignano di Reggio Calabria, di comune militanza politica, per la detenzione di bombe a mano e munizioni.
L’organizzazione di Chisena arrivò perfino a far evadere Palmiro Turro dall’ospedale civile di Reggio Calabria, dove era stato ricoverato dal carcere di Messina per un intervento agli occhi. Grazie alla complicità di un avvocato vicino all’estrema destra, Turro riuscì a sottrarsi alla giustizia, diventando un elemento chiave della struttura mafiosa di Chisena.
Turro e il suo gruppo furono determinanti nell’omicidio di Giuseppe Calderone, capomafia catanese negli anni ’70 come ci racconta nel suo rapporto “Grande Oriente” Michele Riccio
Insieme al Chisena e agli altri calabresi costituirà il commando che riuscirà ad uccidere il Calderone Giuseppe, mandante insieme al Di Cristina, già eliminato dai corleonesi, della morte di Madonia Francesco. Nell’occasione veniva ferito anche l’autista e guardiaspalle del boss, il Turi Lanzafame [6]
Del resto lo stesso Ilardo aveva conosciuto, durante il suo soggiorno in Calabria, il Turro e raccontava al colonnello veneto anche della collaborazione che questi, affiliato alla cosca di Domenico Martino, aveva offerto, al pari di altri esponenti della ‘Ndrangheta, ai Servizi Segreti nel gestire l’allontanamento prima dalla Calabria di Franco Freda e poi il suo espatrio in Francia.
Freda, all’epoca, accussato per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre del 1969 e leader del gruppo padovano di Ordine Nuovo [7]
Sempre in quel periodo Ilardo ebbe modo di conoscere Francesco Pazienza, all’epoca agente dei servizi segreti coinvolto in numerose indagini in materia di terrorismo e stragismo, che si trovava in Sicilia a Palermo e con il suo amico Cannizzaro ebbero alcuni incontri. Venne presentato come uomo di Cosa nostra perché l’agente segreto aveva fatto espressa richiesta ai suoi contatti di avere degli abboccamenti con persone dell’organizzazione.
Con lui discusse di poter realizzare per l’Arma dei Carabinieri una base per gli elicotteri a Bocca di Falco. In seguito ebbe ancora qualche occasione di vedere il personaggio anche a Roma, ma di ciò si ripromise di parlarne in seguito.
Tutto sembra tornare anche il messaggio che Ilardo diede al colonnello Riccio:
se si vuole risalire ai mandanti delle stragi del 1992/93 bisogna guardare lontano perchè sono gli stessi ambienti che hanno ispirato le stragi degli anni ’70
Un’infiltrazione criminale che avrebbe potuto essere svelata
Tutti questi intrecci e operazioni criminali sarebbero potuti emergere in maniera ancora più dettagliata se Luigi Ilardo non fosse stato assassinato il 10 maggio 1996 a Catania.
Ilardo aveva acquisito informazioni cruciali sulla rete criminale che collegava Chisena, la Liquichimica e i vertici di Cosa Nostra con la N’drangheta e i servizi segreti e apparati deviati delle istituzioni.
La magistratura ha mai indagato in questa direzione?
Visto che il fascicolo Ilardo risulta ancora aperto e oggetto di indagine ci auguriamo che la tragica vicenda del pentito Ilardo venga riaperto nelle sedi opportune per trovare i responsabili di quelle entità esterne a Cosa nostra che hanno determinato il processo di accelerazione dell’uccisione di Luigi Ilardo, come del resto risulta accertato dalla sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’assise di Catania nel marzo del 2017.
Una cosa certa, se ci è concessa e della quale siamo fermamente convinti leggendo le carte che abbiamo a disposizione, se Ilardo fosse sopravvissuto avrebbe potuto rivelare dettagli fondamentali sui traffici illeciti gestiti tramite la Liquichimica e sui personaggi chiave della strategia mafiosa, compreso Annunziato Turro
Ilardo rappresentava una minaccia concreta per i clan, tanto che il suo omicidio avvenne poco prima di un incontro programmato con i magistrati per la sua ufficializzazione come collaboratore di giustizia.
La sua morte lasciò in sospeso molte delle rivelazioni che avrebbero potuto svelare il completo intreccio tra mafia, finanza e politica, ambienti legati all’estrema destra oltre che portare alla luce ulteriori tasselli determinanti per scoprire chi stava dietro alle stragi di Capaci e via D’amelio e dietro le stragi di Milano, Roma e Firenze del 1993
Guglielmo Bongiovanni
Note
[1] Per maggiori approfondimenti vedi Indagine Grande Oriente del 30 luglio del 1996, documento declassificato il 17 gennaio del 2017 reperibile sul web; vedi altresì Anna Vinci e Michele Riccio, La strategia parallela, Zolfo 2024;
[2] ibidem;
[3]ibidem;
[4] ibidem;
[5] ibidem;
[6] ibidem;
[7] Quanto detto trova conferma nelle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia calabresi Lauro e Barreca, che hanno compiutamente illustrato il ruolo avuto dai Servizi Segreti nella vicenda Freda con la partecipazione degli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, Natale Iannò e Domenico Martino, tutti affiliati alla ‘Ndrangheta e dai componenti della Famiglia Saccà ( Indagine Grande Oriente del 30 luglio del 1996, documento declassificato il 17 gennaio del 2017 reperibile sul web);